Il Canto V del Paradiso rappresenta una tappa fondamentale nel percorso ascensionale di Dante attraverso i regni celesti, collocandosi nella prima parte della terza cantica della Divina Commedia. Strutturalmente bipartito, il canto si sviluppa inizialmente con un’approfondita spiegazione dottrinale sui voti religiosi e sul libero arbitrio, per poi proseguire con l’ascesa del poeta e di Beatrice al cielo di Mercurio, dimora degli spiriti attivi che operarono per gloria terrena.
Sotto la sapiente guida di Beatrice, sempre più luminosa man mano che si avvicinano a Dio, Dante affronta questioni teologiche complesse come il valore del voto quale offerta volontaria della libertà umana e la responsabilità morale dell’individuo, elementi che costituiscono il nucleo filosofico dell’intero canto.
Indice:
- Canto 5 Paradiso della Divina Commedia: testo completo e parafrasi
- Canto 5 Paradiso della Divina Commedia: riassunto e spiegazione
- Canto 5 Paradiso della Divina Commedia: i personaggi
- Analisi del Canto 5 del Paradiso: elementi tematici e narrativi
- Figure retoriche nel Canto 5 del Paradiso della Divina Commedia
- Temi principali del Canto 5 del Paradiso della Divina Commedia
- Il Canto 5 del Paradiso in pillole
Canto 5 Paradiso della Divina Commedia: testo completo e parafrasi
| Testo Originale | Parafrasi |
|---|---|
| «S’io ti fiammeggio nel caldo d’amore di là dal modo che ‘n terra si vede, sì che del viso tuo vinco il valore, | «Se io risplendo davanti a te con un calore d’amore superiore a quello che si può vedere sulla terra, tanto che supero la capacità visiva dei tuoi occhi, |
| non ti maravigliar, ché ciò procede da perfetto veder, che, come apprende, così nel bene appreso move il piede. | non ti meravigliare, perché questo deriva dalla perfetta visione che ho di Dio, la quale, non appena comprende qualcosa, si dirige verso quel bene che ha compreso. |
| Io veggio ben sì come già resplende ne l’intelletto tuo l’etterna luce, che, vista, sola e sempre amore accende; | Io vedo bene come già risplende nel tuo intelletto la luce eterna di Dio, che, una volta vista, da sola e sempre accende amore; |
| e s’altra cosa vostro amor seduce, non è se non di quella alcun vestigio, mal conosciuto, che quivi traluce. | e se qualche altra cosa attira il vostro amore, non è altro che una qualche traccia di quella luce divina, mal compresa, che là traspare. |
| Tu vuo’ saper se con altro servigio, per manco voto, si può render tanto che l’anima sicuri di letigio». | Tu vuoi sapere se con un altro servizio, in sostituzione di un voto non mantenuto, si può offrire una compensazione tale che l’anima si metta al sicuro da ogni contestazione divina». |
| Sì cominciò Beatrice questo canto; e sì com’uom che suo parlar non spezza, continüò così ‘l processo santo: | Così Beatrice iniziò questo canto; e come persona che non interrompe il proprio discorso, continuò in questo modo il suo santo ragionamento: |
| «Lo maggior don che Dio per sua larghezza fesse creando, e a la sua bontate più conformato, e quel ch’e’ più apprezza, | «Il dono più grande che Dio nella sua generosità fece creando, più conforme alla sua bontà, e quello che Egli apprezza di più, |
| fu de la volontà la libertate; di che le creature intelligenti, e tutte e sole, fuoro e son dotate. | fu la libertà di volontà; di cui le creature intelligenti, tutte quante e solo esse, furono e sono dotate. |
| Or ti parrà, se tu quinci argomenti, l’alto valor del voto, s’è sì fatto che Dio consenta quando tu consenti; | Ora ti apparirà chiaro, se da qui argomenti, l’alto valore del voto, se è fatto in modo tale che Dio acconsenta quando tu acconsenti; |
| ché, nel fermar tra Dio e l’uomo il patto, vittima fassi di questo tesoro, tal qual io dico; e fassi col suo atto. | poiché, nel fermare il patto tra Dio e l’uomo, si fa sacrificio di questo tesoro, cioè della libertà, tale quale io dico; e lo si fa con un atto della propria volontà. |
| Dunque che render puossi per ristoro? Se credi bene usar quel c’hai offerto, di maltolletto vuo’ far buon lavoro. | Dunque cosa si può rendere come compensazione? Se credi di poter usare bene ciò che hai offerto, vuoi fare buone opere con denaro mal tolto. |
| Tu se’ omai del maggior punto certo; ma perché Santa Chiesa in ciò dispensa, che par contra lo ver ch’i’ t’ho scoverto, | Tu sei ormai certo del punto principale; ma poiché la Santa Chiesa concede dispense in questa materia, il che sembra contrario alla verità che ti ho rivelato, |
| convienti ancor sedere un poco a mensa, però che ‘l cibo rigido c’hai preso, richiede ancora aiuto a tua dispensa. | conviene che tu rimanga ancora un po’ a tavola, perché il cibo solido che hai assunto richiede ancora aiuto alla tua digestione. |
| Apri la mente a quel ch’io ti paleso e fermalvi entro; ché non fa scïenza, sanza lo ritenere, avere inteso. | Apri la mente a ciò che ti rivelo e fissalo dentro; perché non costituisce conoscenza l’aver compreso senza trattenere. |
| Due cose si convegnono a l’essenza di questo sacrificio: l’una è quella di che si fa; l’altr’è la convenenza. | Due cose fanno parte dell’essenza di questo sacrificio: l’una è la materia di cui si compone; l’altra è l’accordo. |
| Quest’ultima già mai non si cancella se non servata; e intorno di lei sì preciso di sopra si favella: | Quest’ultima non si cancella mai se non è osservata; e proprio riguardo a questa si è parlato così precisamente sopra: |
| però necessitato fu a li Ebrei pur l’offerere, ancor ch’alcuna offerta si permutasse, come saver dei. | perciò fu necessario per gli Ebrei fare comunque un’offerta, anche se qualche offerta poteva essere sostituita, come devi sapere. |
| L’altra, che per materia t’è aperta, puote ben esser tal, che non si falla se con altra materia si converta. | L’altra, che ti è nota come materia, può ben essere tale che non si sbaglia se viene sostituita con altra materia. |
| Ma non trasmuti carco a la sua spalla per suo arbitrio alcun, sanza la volta e de la chiave bianca e de la gialla; | Ma nessuno cambi di sua iniziativa il peso che ha sulle spalle, senza il consenso di chi possiede sia la chiave bianca che quella gialla; |
| e ogne permutanza credi stolta, se la cosa dimessa in la sorpresa come ‘l quattro nel sei non è raccolta. | e considera sciocca ogni sostituzione, se la cosa abbandonata non è compresa in quella nuova come il quattro nel sei. |
| Però qualunque cosa tanto pesa per suo valor che tragga ogne bilancia, sodisfar non si può con altra spesa. | Perciò qualunque cosa pesa tanto per il suo valore da far pendere ogni bilancia, non si può soddisfare con altra spesa. |
| Non prendan li mortali il voto a ciancia; siate fedeli, e a ciò far non bieci, come Ieptè a la sua prima mancia; | Non prendano i mortali il voto alla leggera; siate fedeli, e nel fare ciò non siate storti, come fu Iefte con la sua prima promessa; |
| cui più si convenia dicer ‘Mal feci’, che, servando, far peggio; e così stolto ritrovar puoi il gran duca de’ Greci, | al quale sarebbe stato più opportuno dire ‘Ho fatto male’, che, mantenendo il voto, fare peggio; e così stolto puoi considerare il grande condottiero dei Greci, |
| onde pianse Efigènia il suo bel volto, e fé pianger di sé i folli e i savi ch’udir parlar di così fatto cólto. | a causa del quale Ifigenia pianse per la sua bella vita, e fece piangere di sé sia i folli che i saggi che sentirono parlare di un simile rito. |
| Siate, Cristiani, a muovervi più gravi: non siate come penna ad ogne vento, e non crediate ch’ogne acqua vi lavi. | Siate, o Cristiani, più prudenti nel muovervi: non siate come piuma ad ogni vento, e non crediate che ogni acqua vi possa assolvere. |
| Avete il novo e ‘l vecchio Testamento, e ‘l pastor de la Chiesa che vi guida; questo vi basti a vostro salvamento. | Avete il nuovo e il vecchio Testamento, e il pastore della Chiesa che vi guida; questo vi basti per la vostra salvezza. |
| Se mala cupidigia altro vi grida, uomini siate, e non pecore matte, sì che ‘l Giudeo di voi tra voi non rida! | Se la cattiva cupidigia vi suggerisce altro, siate uomini, e non pecore stolte, così che l’Ebreo non rida di voi tra di voi! |
| Non fate com’agnel che lascia il latte de la sua madre, e semplice e lascivo seco medesmo a suo piacer combatte!». | Non fate come l’agnello che abbandona il latte di sua madre, e semplice e vivace gioca da solo a suo piacimento!». |
| Così Beatrice a me com’ïo scrivo; poi si rivolse tutta disïante a quella parte ove ‘l mondo è più vivo. | Così Beatrice mi parlò come io scrivo; poi si rivolse tutta desiderosa verso quella parte dove il mondo è più luminoso. |
| Lo suo tacere e ‘l trasmutar sembiante puoser silenzio al mio cupido ingegno, che già nuove questioni avea davante; | Il suo tacere e il mutare aspetto imposero silenzio alla mia mente desiderosa di sapere, che già aveva davanti nuove domande; |
| e sì come saetta che nel segno percuote pria che sia la corda queta, così corremmo nel secondo regno. | e così come una freccia che colpisce il bersaglio prima che la corda dell’arco sia ferma, così noi corremmo verso il secondo regno celeste. |
| Quivi la donna mia vid’io sì lieta, come nel lume di quel ciel si mise, che più lucente se ne fé ‘l pianeta. | Qui vidi la mia donna così felice, quando si immerse nella luce di quel cielo, che il pianeta se ne fece più luminoso. |
| E se la stella si cambiò e rise, qual mi fec’io che pur da mia natura trasmutabile son per tutte guise! | E se la stella cambiò aspetto e sorrise, quale diventai io che per mia natura sono mutevole in tutti i modi! |
| Come ‘n peschiera ch’è tranquilla e pura traggonsi i pesci a ciò che vien di fori per modo che lo stimin lor pastura, | Come in una peschiera che è tranquilla e limpida i pesci si avvicinano a ciò che viene dall’esterno in modo tale da considerarlo loro cibo, |
| sì vid’io ben più di mille splendori trarsi ver’ noi, e in ciascun s’udia: «Ecco chi crescerà li nostri amori». | così io vidi più di mille splendori avvicinarsi a noi, e in ciascuno si udiva: «Ecco chi accrescerà il nostro amore». |
| E sì come ciascuno a noi venìa, vedeasi l’ombra piena di letizia nel folgór chiaro che di lei uscia. | E mentre ciascuno veniva verso di noi, si vedeva l’anima piena di letizia nel fulgore chiaro che da essa usciva. |
| Pensa, lettor, se quel che qui s’inizia non procedesse, come tu avresti di più savere angosciosa carizia; | Pensa, o lettore, se ciò che qui si inizia non continuasse, come tu avresti un’angosciosa mancanza di sapere di più; |
| e per te vederai come da questi m’era in disio d’udir lor condizioni, sì come a li occhi mi fur manifesti. | e da te stesso capirai come da questi spiriti mi veniva il desiderio di udire le loro condizioni, non appena mi furono manifesti agli occhi. |
| «O bene nato a cui veder li troni del trïunfo etternal concede grazia prima che la milizia s’abbandoni, | «O uomo nato per la felicità, a cui la grazia concede di vedere i troni del trionfo eterno prima che il servizio militare terreno sia abbandonato, |
| del lume che per tutto il ciel si spazia noi semo accesi; e però, se disii di noi chiarirti, a tuo piacer ti sazia». | noi siamo accesi della luce che si diffonde per tutto il cielo; e perciò, se desideri sapere di noi, soddisfati a tuo piacere». |
| Così da un di quelli spirti pii detto mi fu; e da Beatrice: «Dì, dì sicuramente, e credi come a dii». | Così mi fu detto da uno di quegli spiriti pii; e da Beatrice: «Parla, parla con sicurezza, e credi loro come a dèi». |
| «Io veggio ben sì come tu t’annidi nel proprio lume, e che de li occhi il traggi, perch’e’ corusca sì come tu ridi; | «Io vedo bene come tu abiti nella tua propria luce, e che la trai dagli occhi, perché essa brilla quando tu sorridi; |
| ma non so chi tu se’, né perché aggi, anima degna, il grado de la spera che si vela a’ mortai con altrui raggi». | ma non so chi tu sia, né perché tu abbia, anima degna, il grado di questa sfera celeste che si nasconde ai mortali con i raggi altrui». |
| Questo diss’io diritto a la lumera che pria m’avea parlato; ond’ella fessi lucente più assai di quel ch’ell’era. | Questo dissi rivolto direttamente a quella luce che prima mi aveva parlato; per cui essa si fece molto più lucente di quanto era prima. |
| Sì come il sol che si cela elli stessi per troppa luce, come ‘l caldo ha róse le temperanze d’i vapori spessi, | Così come il sole che si cela a se stesso per troppa luce, quando il calore ha dissolto le temperature moderate dei densi vapori, |
| per più letizia sì mi si nascose dentro al suo raggio la figura santa; e così chiusa chiusa mi rispuose nel modo che ‘l seguente canto canta. | per maggiore letizia così si nascose a me dentro al suo raggio la figura santa; e così chiusa chiusa mi rispose nel modo che il seguente canto racconta. |
Canto 5 Paradiso della Divina Commedia: riassunto e spiegazione
Il Canto V del Paradiso si articola in due parti ben distinte: nei primi 84 versi Beatrice completa la spiegazione dottrinale sui voti iniziata nel canto precedente, mentre nella seconda sezione (vv. 85-139) Dante e la sua guida ascendono al cielo di Mercurio, dove incontrano le anime degli spiriti attivi.
La prima parte si apre con Beatrice che appare ancora più luminosa, manifestando attraverso lo splendore l’intensificarsi della sua sapienza divina. Riprendendo il discorso sui voti, ella sottolinea come il libero arbitrio sia il dono più prezioso concesso da Dio all’uomo: “Lo maggior don che Dio per sua larghezza / fesse creando, e a la sua bontate / più conformato, e quel ch’e’ più apprezza, / fu de la volontà la libertate” (vv. 19-22). Questo concetto costituisce il fondamento teologico dell’intero canto, poiché il voto rappresenta proprio il sacrificio volontario di questa libertà.
Beatrice sviluppa un’articolata argomentazione sul valore dei voti religiosi, spiegando che essi non possono essere sostituiti arbitrariamente. La guida distingue tra l’essenza del voto (l’impegno verso Dio) e la sua materia (l’oggetto specifico promesso), precisando che la materia può essere commutata solo con qualcosa di valore maggiore e sempre con l’autorizzazione ecclesiastica, rappresentata metaforicamente dalle “chiavi bianche e gialle” del papato.
Il discorso assume toni severi quando Beatrice ammonisce sui rischi di prendere i voti alla leggera, concludendo con una critica implicita alla facilità con cui la Chiesa concedeva dispense: “Non prendano li mortali il voto a ciancia” (v. 64). La trattazione teologica è resa accessibile attraverso similitudini ed esempi concreti che illustrano concetti complessi con immagini familiari al lettore medievale.
Nella seconda parte del canto, la narrazione si sposta dall’esposizione dottrinale all’esperienza diretta dell’ascesa al cielo di Mercurio. Dante descrive questo movimento con una potente similitudine: “Sì come saetta che nel segno / percuote pria che sia la corda queta, / così corremmo nel secondo regno” (vv. 91-93). L’immagine della freccia che raggiunge il bersaglio prima che la corda dell’arco abbia finito di vibrare esprime efficacemente la straordinaria velocità del passaggio tra i cieli.
Giunti nel cielo di Mercurio, i pellegrini sono accolti da una moltitudine di anime luminose che si avvicinano con gioia, paragonabili a pesci che accorrono verso qualcosa che ritengono cibo. Queste sono le anime di coloro che operarono virtuosamente ma con una componente di ambizione terrena. Tra queste, una si avvicina particolarmente a Dante manifestando il desiderio di comunicare: è l’anima dell’imperatore Giustiniano, che si rivelerà pienamente nel canto successivo.
Il cielo di Mercurio rappresenta un momento cruciale nel percorso ascensionale dantesco perché segna il passaggio da una riflessione puramente teologica (i voti) a una dimensione più politica e storica (l’Impero) che verrà sviluppata nel canto seguente. Il pianeta Mercurio, tradizionalmente associato all’eloquenza e all’attività, è la sede appropriata per le anime che unirono virtù e ambizione.
L’atmosfera luminosa e gioiosa di questa seconda sezione contrasta con la severità della trattazione dottrinale precedente, illustrando una caratteristica fondamentale della struttura del Paradiso dantesco: l’alternanza tra momenti didascalici e esperienze estatiche, tra verità rivelate e incontri personali. Questa dialettica continua permette al lettore di assimilare gradualmente le complesse verità teologiche attraverso l’esperienza emotiva della narrazione.
Canto 5 Paradiso della Divina Commedia: i personaggi
Nel viaggio ascensionale del Canto V del Paradiso, i personaggi si caricano di profonda simbologia, riflettendo la complessità teologica dell’opera dantesca. Le figure che popolano questa sezione della terza cantica svolgono ruoli distintivi nel percorso di elevazione spirituale del protagonista.
Dante pellegrino si presenta come un discepolo attento e desideroso di apprendere. La sua condizione umana emerge nel momento in cui fatica a sostenere lo splendore di Beatrice, manifestando i limiti della percezione terrena davanti alla luce divina. Il suo atteggiamento è caratterizzato da una crescente capacità di comprensione delle verità teologiche, simboleggiata dalla progressiva assuefazione alla luminosità paradisiaca.
Il poeta si mostra particolarmente ricettivo agli insegnamenti sui voti e sul libero arbitrio, temi centrali nel canto, dimostrando un’evoluzione spirituale già significativamente avanzata rispetto all’inizio del viaggio.
Beatrice assume in questo canto la piena funzione di guida teologica e maestra spirituale. La sua figura appare trasfigurata rispetto alla donna terrena celebrata nella Vita Nova, presentandosi ora come emanazione della sapienza divina. Dante la descrive avvolta in una luce sempre più intensa, simbolo della crescente vicinanza a Dio:
“S’io ti fiammeggio nel caldo d’amore / di là dal modo che ‘n terra si vede, / sì che del viso tuo vinco il valore” (vv. 1-3)
Il suo ruolo pedagogico si manifesta attraverso la spiegazione dottrinale sui voti, dove dimostra un’autorevolezza che trascende la dimensione umana. Lo sguardo di Beatrice diventa strumento di comunicazione non verbale, segnalando a Dante quando può parlare con le anime incontrate. La sua funzione mediatrice tra l’umano e il divino è enfatizzata dalla capacità di rendere accessibili concetti teologici complessi.
Nel cielo di Mercurio appaiono le anime degli spiriti attivi, caratterizzate da una luminosità festosa e da un desiderio ardente di comunicazione. Queste anime si distinguono per il loro zelo e la loro operosità, qualità che avevano manifestato in vita e che ora, purificate, indirizzano completamente verso l’amore divino. Dante le descrive come “splendori viventi” che si avvicinano con gioia al pellegrino:
“Ed ecco un altro di quelli splendori / ver’ me si fece, e ‘l suo voler piacermi / significava nel chiarir di fori” (vv. 106-108)
Tra queste anime emerge una figura particolare, uno spirito che si avvicina a Dante manifestando il desiderio di comunicare con lui. Sebbene in questo canto rimanga anonimo, si tratta dell’imperatore Giustiniano, che sarà pienamente presentato nel canto successivo. La sua presenza anticipa la riflessione politico-giuridica che caratterizzerà il Canto VI, creando un ponte tematico all’interno della struttura narrativa del Paradiso.
L’interazione tra questi personaggi crea una dinamica di insegnamento e apprendimento che rispecchia il percorso conoscitivo del lettore stesso. Dante personaggio diventa il tramite attraverso cui il lettore accede alle verità spirituali, mentre Beatrice rappresenta l’illuminazione intellettuale necessaria a comprendere i misteri divini. Le anime beate, infine, testimoniano la realizzazione concreta dell’unione con Dio, obiettivo ultimo del viaggio paradisiaco.
Analisi del Canto 5 del Paradiso: elementi tematici e narrativi
Il Canto V del Paradiso si distingue per una sofisticata architettura tematica e narrativa che intreccia questioni teologiche con l’esperienza personale del poeta. La struttura si articola in due sezioni ben distinte, creando un perfetto equilibrio tra la dimensione dottrinale e quella esperienziale del viaggio ultraterreno.
Il tema dominante della prima parte è quello del libero arbitrio, presentato come “lo maggior don che Dio per sua larghezza / fesse creando”. Dante, attraverso le parole di Beatrice, elabora una complessa riflessione teologica sul valore della libertà umana come fondamento della dignità e della responsabilità morale dell’individuo. Il libero arbitrio viene presentato come prerogativa esclusiva delle “creature intelligenti”, caratteristica che le avvicina alla natura divina.
Intimamente connesso a questo tema è quello del voto religioso, che rappresenta il sacrificio volontario della propria libertà. L’apparente paradosso tra libertà e vincolo viene risolto nella visione dantesca attraverso la concezione dell’amore come forza che eleva l’anima: la vera libertà consiste nell’adesione volontaria alla volontà divina. Quando l’uomo offre la propria libertà a Dio mediante il voto, compie l’atto più nobile possibile, trasformando il dono ricevuto in dono restituito.
La riflessione sulla natura del voto introduce un’importante considerazione sul rapporto tra essenza e materia del voto stesso. Beatrice spiega che mentre l’essenza (l’impegno verso Dio) è irrinunciabile, la materia (l’oggetto specifico promesso) può essere sostituita, ma solo con l’autorizzazione ecclesiastica e con qualcosa di maggior valore. Questa distinzione rivela la finezza del pensiero teologico dantesco e la sua capacità di articolare concetti complessi attraverso distinzioni precise.
Sul piano narrativo, il canto mostra una graduale transizione dall’astratta discussione dottrinale all’esperienza concreta dell’ascesa. Questa progressione riflette il metodo didattico dell’intero poema, dove la comprensione intellettuale precede e prepara l’esperienza diretta. Il poeta fiorentino riesce magistralmente a trasformare una discussione teologica in un evento narrativo coinvolgente, ponendo il lettore di fronte alla meraviglia dello spettacolo celeste.
Particolarmente efficace è il passaggio dalla prima alla seconda parte del canto, quando Dante e Beatrice ascendono al cielo di Mercurio. La similitudine della freccia (“Sì come saetta che nel segno / percuote pria che sia la corda queta”) traduce l’esperienza mistica in un’immagine dinamica e comprensibile, rendendo accessibile l’ineffabile attraverso il linguaggio poetico.
L’incontro con le anime del cielo di Mercurio segna un ulteriore elemento narrativo significativo: il dialogo con i beati diventa occasione di apprendimento diretto. Le anime, descritte come splendori gioiosi che accorrono verso il pellegrino, manifestano quella stessa attività zelante che le caratterizzò in vita. Questa corrispondenza tra vita terrena e condizione ultramondana sottolinea la continuità etica che Dante vede tra i due mondi.
Fondamentale per la tessitura narrativa del canto è anche la figura di Beatrice, presentata in una duplice dimensione: guida teologica che istruisce con rigore dottrinale e presenza luminosa che incarna fisicamente la verità che espone. La sua bellezza crescente è descritta come manifestazione visibile della progressiva vicinanza a Dio, stabilendo così un legame diretto tra estetica e trascendenza.
Il canto si configura dunque come un esempio perfetto dell’abilità dantesca di fondere didascalismo e narrazione, riflessione astratta e rappresentazione concreta. Questo equilibrio si manifesta anche nella strategia retorica adottata: concetti teologici complessi vengono illustrati attraverso metafore accessibili, e il discorso dottrinale è costantemente vivificato da immagini poetiche memorabili.
Figure retoriche nel Canto 5 del Paradiso della Divina Commedia
Il Canto V del Paradiso si distingue per la ricchezza di figure retoriche che Dante impiega sapientemente per rendere comprensibili concetti teologici complessi. La luminosità, elemento centrale del canto, viene resa attraverso metafore di straordinaria bellezza: Beatrice “fiammeggia nel caldo d’amore” (v. 1), manifestazione visibile della grazia divina che la pervade. La luce diventa così simbolo tangibile dell’illuminazione spirituale che caratterizza l’ascesa paradisiaca.
Le similitudini rappresentano uno strumento essenziale per collegare l’esperienza celeste alla comprensione terrena. Memorabile quella ai versi 91-93, dove Dante paragona la rapidità dell’ascesa al cielo di Mercurio a una “saetta che nel segno / percuote pria che sia la corda queta”. Questa immagine dinamica condensa efficacemente l’istantaneità del passaggio tra le sfere celesti, rendendo percepibile al lettore un’esperienza altrimenti inimmaginabile.
Il canto è impreziosito da numerose antitesi che evidenziano la complessità del pensiero teologico: libertà/vincolo, dono/sacrificio, essenza/materia del voto. Queste contrapposizioni rispecchiano la dialettica fondamentale che attraversa l’intero poema: la tensione tra l’umano e il divino, fra libero arbitrio e provvidenza.
Particolarmente significativo è l’uso dell’iperbato e dell’anastrofe, inversioni sintattiche che conferiscono solennità al discorso di Beatrice. Quando afferma “Lo maggior don che Dio per sua larghezza / fesse creando” (vv. 19-20), l’inversione dell’ordine naturale delle parole crea una sospensione che amplifica l’importanza del concetto espresso.
La perifrasi viene utilizzata per riferirsi a elementi dottrinali: le “chiavi bianche e gialle” (v. 57) indicano l’autorità papale, evitando un riferimento diretto ma creando un’immagine visiva che richiama i colori dello stemma pontificio. Tale figura consente a Dante di elevare il linguaggio a livello poetico anche quando affronta argomenti teologici.
L’anadiplosi arricchisce i passaggi didattici, come nei versi 41-42: “ché non fa scienza, / sanza lo ritenere, avere inteso”, dove la ripetizione connettiva tra le proposizioni enfatizza il processo conoscitivo descritto da Beatrice.
Dante impiega anche efficaci sineddochi: quando parla delle “pecore matte” (v. 80) per indicare i cristiani sviati, utilizza la parte per il tutto creando un’immagine pastorale che risuona con la tradizione evangelica.
Le allegorie permeano l’intero canto: l’ascesa fisica diventa simbolo dell’elevazione spirituale, mentre il crescente splendore di Beatrice rappresenta l’avvicinamento progressivo alla verità divina. Queste figure non sono mai meramente ornamentali, ma costituiscono lo strumento privilegiato attraverso cui Dante rende accessibile l’ineffabile esperienza paradisiaca.
Il climax ascendente caratterizza la struttura retorica del canto: l’intensificarsi della luce, il crescere dell’eloquenza di Beatrice e l’approfondimento dei temi teologici creano un movimento ascensionale che rispecchia il percorso stesso del poeta verso Dio.
Queste figure retoriche, intrecciate con maestria nel tessuto poetico, non sono semplici abbellimenti stilistici, ma strumenti essenziali che permettono a Dante di tradurre in linguaggio umano l’esperienza trascendente, rendendo accessibili al lettore i complessi concetti teologici che costituiscono l’ossatura concettuale del Paradiso.
Temi principali del Canto 5 del Paradiso della Divina Commedia
Il quinto canto del Paradiso si struttura attorno ad alcuni temi cardine che risuonano nell’intera opera dantesca, offrendo una visione profonda della teologia medievale e della concezione dantesca dell’esistenza umana.
Il libero arbitrio emerge come tema dominante, presentato da Beatrice come “lo maggior don che Dio per sua larghezza / fesse creando”. Questa libertà di scelta rappresenta l’essenza stessa dell’umanità e costituisce il fondamento della responsabilità morale dell’individuo. Dante sottolinea come proprio questa facoltà distingua l’uomo dalle altre creature, elevandolo alla somiglianza con Dio stesso.
Intimamente connesso al primo, il tema del voto religioso viene esplorato nella sua complessità teologica. Il voto rappresenta il sacrificio volontario della propria libertà sull’altare dell’amore divino, un atto paradossale in cui l’uomo realizza la massima espressione della propria libertà proprio nel momento in cui decide di vincolarla. Questa concezione riflette la visione dantesca della vera libertà come adesione consapevole alla volontà divina.
Il rapporto tra Chiesa e fedeli emerge nelle riflessioni sulle dispense ecclesiastiche. Pur riconoscendo l’autorità delle “chiavi bianche e gialle” (il potere papale), Dante introduce una sottile critica agli abusi del potere ecclesiastico, anticipando temi che diventeranno centrali nei canti successivi.
La progressiva illuminazione spirituale costituisce un altro tema fondamentale, simboleggiata dall’ascesa al cielo di Mercurio e dall’intensificarsi della luce di Beatrice. Questo processo rappresenta il percorso dell’anima verso la comprensione delle verità divine, guidato dalla ragione illuminata dalla fede.
Infine, il tema dell’eloquenza e della comunicazione viene introdotto attraverso l’incontro con le anime del cielo di Mercurio, tradizionalmente associato agli spiriti eloquenti e attivi. L’anima che si avvicina a Dante (Giustiniano) incarna la capacità di trasmettere verità attraverso la parola, tema caro al poeta che vedeva nella poesia uno strumento di elevazione spirituale e morale.
Il Canto 5 del Paradiso in pillole
| Aspetto | Sintesi Breve | Punti Chiave |
|---|---|---|
| Riassunto e Spiegazione | Suddivisione in due parti: spiegazione dottrinale sui voti (vv. 1-84) e ascesa al cielo di Mercurio (vv. 85-139) | Beatrice spiega il valore del voto religioso e il concetto di libero arbitrio |
| Personaggi | Dante come pellegrino, Beatrice come guida teologica, anime luminose del cielo di Mercurio | Beatrice appare più splendente, le anime si avvicinano festosamente |
| Elementi Tematici | Libero arbitrio come dono divino, sacralità del voto, responsabilità morale dell’uomo | Il voto è sacrificio volontario della libertà a Dio |
| Figure Retoriche | Metafore della luce, similitudine della freccia, antitesi tra libertà e vincolo, perifrasi per l’autorità ecclesiastica | “S’io ti fiammeggio nel caldo d’amore”, “come saetta che nel segno percuote” |
| Temi Principali | Libertà della volontà come massimo dono divino, commutazione dei voti, ascesa spirituale | “Lo maggior don che Dio per sua larghezza fesse creando… fu de la volontà la libertate” |
| Struttura Poetica | Terzine di endecasillabi a rima incatenata, linguaggio elevato per temi teologici | Alternanza tra spiegazione dottrinale e narrazione dell’esperienza |
| Transizione Narrativa | Dal discorso sui voti all’ascesa al cielo di Mercurio, anticipazione dell’incontro con Giustiniano | Preparazione all’esposizione storico-politica del Canto VI |