6 Canto Divina Commedia: Testo, Parafrasi e Analisi

Divina Commedia, Canto 6 Inferno: testo, parafrasi, figure retoriche e analisi

Il canto 6 dell’Inferno della Divina Commedia rappresenta la tappa del viaggio ultraterreno di Dante Alighieri attraverso il terzo cerchio, dove sono puniti i golosi. Qui il poeta fiorentino esplora le conseguenze dell’intemperanza e dell’attaccamento eccessivo ai piaceri terreni, mostrandoci anime immerse in un fango putrido, tormentate da una pioggia gelida e dilaniante sotto la custodia del mostruoso Cerbero.

Indice:

Canto 6 Inferno della Divina Commedia: testo completo e parafrasi

TestoParafrasi
Al tornar de la mente, che si chiuseQuando mi tornarono i sensi,
dinanzi a la pietà d’i due cognati,sopraffatti davanti all’angoscia dei due cognati (Paolo e Francesca)
che di trestizia tutto mi confuse,che mi riempì di tristezza,
novi tormenti e novi tormentatimi vedo intorno nuove pene e nuovi dannati,
mi veggio intorno, come ch’io mi movain qualunque modo mi muova,
e ch’io mi volga, e come che io guati.e mi guardi intorno.
Io sono al terzo cerchio, de la piova etterna, maladetta, fredda e greve; regola e qualità mai non l’è nova.Sono nel III Cerchio, dove cade una pioggia eterna, maledetta, fredda e molesta; il suo ritmo e la sua qualità non mutano mai.
Grandine grossa, acqua tinta e neveNell’aria oscura si riversano una grandine spessa,
per l’aere tenebroso si riversa;acqua sporca e neve; la terra
pute la terra che questo riceve.che ne è bagnata manda un odore sgradevole.
Cerbero, fiera crudele e diversa,Cerbero, belva crudele e mostruosa,
con tre gole caninamente latralatra come un cane con tre teste
sovra la gente che quivi è sommersa.sopra i dannati che sono sdraiati nel fango.
Li occhi ha vermigli, la barba unta e atra,Ha gli occhi rossi, il muso sporco e unto,
e ’l ventre largo, e unghiate le mani;il ventre gonfio e le zampe con artigli;
graffia li spirti, ed iscoia ed isquatra.graffia, scuoia e fa a pezzi i dannati.
Urlar li fa la pioggia come cani;La pioggia li fa urlare come cani;
de l’un de’ lati fanno a l’altro schermo;cercano di proteggersi l’un l’altro coi fianchi;
volgonsi spesso i miseri profani.i miseri peccatori si voltano spesso.
Quando ci scorse Cerbero, il gran vermo,Quando Cerbero, il mostro orribile,
le bocche aperse e mostrocci le sanne;ci vide, spalancò le fauci e ci mostrò le zanne;
non avea membro che tenesse fermo.non aveva parte del corpo che non tremasse.
E ’l duca mio distese le sue spanne,E il mio maestro aprì le mani,
prese la terra, e con piene le pugnaprese un po’ di terra e la gettò coi pugni
la gittò dentro a le bramose canne.pieni nelle fauci fameliche del mostro.
Qual è quel cane ch’abbaiando agogna,Come quel cane che abbaia ed è affamato,
e si racqueta poi che ’l pasto morde,e poi si placa quando addenta il boccone,
ché solo a divorarlo intende e pugna,poiché non ha altro pensiero che divorarlo,
cotai si fecer quelle facce lordeallo stesso modo si placarono
de lo demonio Cerbero, che ’ntronale facce sozze del demonio Cerbero,
l’anime sì, ch’esser vorrebber sorde.che rintrona a tal punto le anime che vorrebbero essere sorde.
Noi passavam su per l’ombre che adonaNoi camminavano sulle anime
la greve pioggia, e ponavam le pianteche la pioggia pesante abbatte, e poggiavamo i piedi
sovra lor vanità che par persona.sui loro corpi inconsistenti, dall’aspetto umano.
Elle giacean per terra tutte quante,Esse erano tutte sdraiate per terra,
fuor d’una ch’a seder si levò, rattotranne una che si mise a sedere
ch’ella ci vide passarsi davante.non appena ci vide passare davanti.
«O tu che se’ per questo ’nferno tratto»,Mi disse: «O tu che sei guidato attraverso
mi disse, «riconoscimi, se sai:l’Inferno, riconoscimi, se ne sei in grado:
tu fosti, prima ch’io disfatto, fatto».tu nascesti prima che io morissi».
E io a lui: «L’angoscia che tu haiGli risposi: «L’angoscia
forse ti tira fuor de la mia mente,che dimostri ti rende irriconoscibile,
sì che non par ch’i’ ti vedessi mai.proprio come se non ti avessi mai visto.
Ma dimmi chi tu se’ che ’n sì dolenteMa dimmi chi sei tu,
loco se’ messo e hai sì fatta pena,che sei posto in un luogo così doloroso
che, s’altra è maggio, nulla è sì spiacente».e subisci una pena tale che, forse, altre sono più gravi, ma nessuna è altrettanto spiacevole».
Ed elli a me: «La tua città, ch’è pienaE lui rispose: «La tua città,
d’invidia sì che già trabocca il sacco,che è tanto piena di invidia
seco mi tenne in la vita serena.che ormai ha raggiunto il limite, mi ospitò nella vita terrena.
Voi cittadini mi chiamaste Ciacco:Voi fiorentini mi chiamaste Ciacco:
per la dannosa colpa de la gola,a causa della colpa della gola,
come tu vedi, a la pioggia mi fiacco.come vedi, sono fiaccato dalla pioggia.
E io anima trista non son sola,E io non sono l’unico dannato qui,
ché tutte queste a simil pena stannopoiché queste altre anime sono soggette alla stessa pena
per simil colpa». E più non fé parola.per lo stesso peccato». Poi non disse più nulla.
Io li rispuosi: «Ciacco, il tuo affannoIo risposi: «Ciacco, il tuo affanno
mi pesa sì, ch’a lagrimar mi ’nvita;mi angoscia al punto che mi viene da piangere;
ma dimmi, se tu sai, a che verrannoma dimmi, se lo sai, quale sarà il destino
li cittadin de la città partita;degli abitanti della città divisa (Firenze);
s’alcun v’è giusto; e dimmi la cagionese qualcuno di loro è giusto;
per che l’ha tanta discordia assalita».e dimmi la causa della discordia che l’ha assalita».
E quelli a me: «Dopo lunga tencioneE quello a me: «Dopo una lunga contesa verranno allo scontro violento,
verranno al sangue, e la parte selvaggiae la parte del contado (i Bianchi) caccerà
caccerà l’altra con molta offensione.l’altra (i Neri) con gravi danni.
Poi appresso convien che questa caggiaPoi è destino che i Bianchi cadano prima di tre anni,
infra tre soli, e che l’altra sormontie che l’altra parte prenda il sopravvento con l’aiuto di un uomo (Bonifacio VIII)
con la forza di tal che testé piaggia.che, ora, si tiene in bilico fra le due fazioni.
Alte terrà lungo tempo le fronti,I Neri resteranno a lungo al potere,
tenendo l’altra sotto gravi pesi,opprimendo i Bianchi con pesanti condanne,
come che di ciò pianga o che n’aonti.nonostante le loro lamentele.
Giusti son due, e non vi sono intesi;I fiorentini giusti sono solo due (sono pochissimi)
superbia, invidia e avarizia sonoe nessuno li ascolta; superbia,
le tre faville c’hanno i cuori accesi».invidia e avarizia sono le tre scintille che hanno acceso i cuori».
Qui puose fine al lagrimabil suono.Qui smise di parlare con tono lamentoso.
E io a lui: «Ancor vo’ che mi ’nsegni,E io gli dissi: «Voglio che tu mi spieghi
e che di più parlar mi facci dono.altre cose e che parli ancora con me.
Farinata e ’l Tegghiaio, che fuor sì degni,Dimmi dove sono Farinata Degli Uberti,
Iacopo Rusticucci, Arrigo e ’l Moscae il Tegghiaio, che furono così degni cittadini,
e li altri ch’a ben far puoser li ’ngegni,Iacopo Rusticucci, Arrigo, Mosca dei Lamberti e tutti gli altri che si adoperarono con l’ingegno per far bene:
dimmi ove sono e fa ch’io li conosca;fa’ che io conosca il loro destino,
ché gran disio mi stringe di saverepoiché ho gran desiderio di sapere se il Cielo
se ’l ciel li addolcia, o lo ’nferno li attosca».li addolcisce o l’Inferno li avvelena».
E quelli: «Ei son tra l’anime più nere:E lui: «Essi sono tra le anime più malvagie:
diverse colpe giù li grava al fondo:varie colpe li collocano nel fondo dell’Inferno
se tanto scendi, là i potrai vedere.e se scenderai fin laggiù, li potrai vedere.
Ma quando tu sarai nel dolce mondo,Ma quando sarai tornato nel dolce mondo terreno,
priegoti ch’a la mente altrui mi rechi:ti prego di ricordarmi ai vivi:
più non ti dico e più non ti rispondo».non ti dico altro e non ti rispondo più».
Li diritti occhi torse allora in biechi;Allora Ciacco strabuzzò gli occhi,
guardommi un poco, e poi chinò la testa:mi guardò un poco e poi chinò la testa:
cadde con essa a par de li altri ciechi.ricadde insieme alle altre anime dannate.
E ’l duca disse a me: «Più non si destaE il maestro mi disse:«Non si rialzerà più,
di qua dal suon de l’angelica tromba,fino al suono della tromba angelica,
quando verrà la nimica podesta:quando verrà la potestà nemica (Cristo giudicante):
ciascun rivederà la trista tomba,ciascuno di essi rivedrà la triste tomba,
ripiglierà sua carne e sua figura,si rivestirà del proprio corpo mortale,
udirà quel ch’in etterno rimbomba».ascolterà la sentenza finale».
Sì trapassammo per sozza misturaCosì oltrepassammo la sozza mescolanza
de l’ombre e de la pioggia, a passi lenti,delle anime e della pioggia, a passi lenti,
toccando un poco la vita futura;parlando un poco della vita ultraterrena;
per ch’io dissi: «Maestro, esti tormentiallora dissi: «Maestro,
crescerann’ei dopo la gran sentenza,queste pene aumenteranno dopo la sentenza finale,
o fier minori, o saran sì cocenti?».o diminuiranno, o resteranno immutate?»
Ed elli a me: «Ritorna a tua scienza,E lui a me: «Torna alla tua scienza (la Fisica aristotelica),
che vuol, quanto la cosa è più perfetta,secondo la quale, quanto più una creatura è perfetta,
più senta il bene, e così la doglienza.tanto più sentirà il piacere e il dolore.
Tutto che questa gente maladettaAnche se questi dannati maledetti
in vera perfezion già mai non vada,non saranno mai perfetti, tuttavia dopo il Giudizio
di là più che di qua essere aspetta».raggiungeranno la completezza del loro essere».
Noi aggirammo a tondo quella strada,Noi percorremmo il Cerchio in tondo,
parlando più assai ch’i’ non ridico;dicendo molte altre cose che non riferisco;
venimmo al punto dove si digrada:venimmo al punto in cui si scende nel IV Cerchio
quivi trovammo Pluto, il gran nemico.e qui trovammo Pluto, il gran nemico.

 

Canto 6 Inferno della Divina Commedia: Riassunto e Spiegazione

Il terzo cerchio dell’Inferno, dove si svolge il sesto canto, è dedicato alla punizione dei golosi. Qui Dante e Virgilio si trovano immersi in una realtà infernale caratterizzata da una pioggia incessante, definita “etterna, maladetta, fredda e greve”, che simboleggia il contrappasso per coloro che in vita si abbandonarono senza freno ai piaceri della tavola.

L’ambientazione è particolarmente significativa: i dannati giacciono nel fango putrido, tormentati da una pioggia gelida e maleodorante che non concede loro tregua. Il principio del contrappasso si manifesta in modo evidente: chi si è lasciato dominare dagli istinti corporei e ha goduto eccessivamente dei piaceri materiali è ora costretto a giacere come un oggetto inanimato in un ambiente che rappresenta l’antitesi del godimento sensoriale.

A guardia del cerchio si erge Cerbero, mostro mitologico dalle tre teste canine che incarna la voracità insaziabile. La sua descrizione è terrificante: occhi rossi, barba unta e nera, ventre largo e zampe artigliate con cui graffia, scuoia e squarta le anime dei dannati. Quando scorge Dante e Virgilio, Cerbero spalanca le sue fauci e mostra le zanne, latrando furiosamente. Virgilio, per placarlo temporaneamente, raccoglie della terra e la getta nelle sue bocche affamate – gesto simbolico che ribadisce come l’appetito degradato possa essere soddisfatto solo con materia vile.

Proseguendo il cammino tra i corpi giacenti nel fango, Dante viene riconosciuto da un’anima che si solleva a sedere. Si tratta di Ciacco, un concittadino fiorentino probabilmente noto ai tempi di Dante per la sua ingordigia (il nome stesso significa “porco” in italiano antico). Pur nella sua degradazione, Ciacco mantiene intatta la facoltà di ragionare e dialogare lucidamente.

Il dialogo tra Dante e Ciacco rappresenta il cuore del canto e si sviluppa attorno a due nuclei tematici principali. Inizialmente, il poeta chiede a Ciacco di spiegargli la natura della sua pena: l’anima descrive la condizione dei golosi, condannati a giacere nel fango sotto la pioggia eterna, immagine eloquente della degradazione cui conduce l’abbandono agli istinti corporei.

Successivamente, la conversazione si sposta sulla situazione politica di Firenze, aprendo la dimensione civile che caratterizza tutti i sesti canti della Commedia. Ciacco pronuncia una profezia sulle sorti della città, lacerata dal conflitto tra le fazioni dei Bianchi e dei Neri. Predice che dopo aspri conflitti (“dopo lunga tencione”) i Neri prevarranno sui Bianchi, cacciandoli da Firenze (evento che coinvolgerà lo stesso Dante nel 1302). Secondo Ciacco, la causa della discordia cittadina risiede in tre vizi fondamentali: “superbia, invidia e avarizia”, definite “le tre faville c’hanno i cori accesi”.

Dante chiede poi notizie di altri illustri fiorentini (Farinata, Tegghiaio, Rusticucci, Arrigo e Mosca), ma Ciacco risponde che si trovano più in basso nell’Inferno, poiché macchiati di colpe più gravi della gola. Questo passaggio sottolinea la gerarchia morale dell’ordinamento infernale dantesco.

Nel finale del canto, Dante pone a Virgilio una questione teologica fondamentale: se dopo il Giudizio Universale, quando le anime si ricongiungeranno ai corpi risorti, le pene dei dannati aumenteranno o diminuiranno. La risposta di Virgilio richiama la dottrina aristotelico-tomistica: più un essere è perfetto, più intensamente percepisce sia il bene sia il dolore. Pertanto, dopo la resurrezione dei corpi, quando le anime raggiungeranno una maggiore completezza ontologica, anche i tormenti saranno avvertiti più intensamente.

Il canto si conclude con l’uscita di Dante e Virgilio dal terzo cerchio e l’avvicinarsi alla discesa verso il quarto, sottolineando la progressione del viaggio infernale verso peccati considerati sempre più gravi nella scala morale dantesca.

Canto 6 Inferno della Divina Commedia: I Personaggi

Il terzo cerchio dell’Inferno è dominato principalmente da due figure emblematiche: Cerbero, il guardiano mostruoso, e Ciacco, anima dannata fiorentina che dialoga con Dante.

Cerbero: Il Guardiano del Terzo Cerchio

Cerbero si presenta come una creatura terrificante, descritta da Dante con dettagli vividi che ne accentuano la natura bestiale e mostruosa:

“Cerbero, fiera crudele e diversa,
con tre gole caninamente latra
sovra la gente che quivi è sommersa.”

Questo demone tricefalo incarna perfettamente il vizio della gola attraverso i suoi attributi fisici repellenti:

  • Le tre teste che simboleggiano l’eccesso e la smodatezza del peccato
  • Gli occhi rossi che esprimono rabbia e cupidigia incontrollata
  • La barba unta e nera, segno di sporcizia e degradazione morale
  • Il ventre largo che rappresenta l’insaziabilità tipica dei golosi

Cerbero non è semplicemente un guardiano: è l’allegoria vivente del peccato stesso. Il mostro tormenta i dannati graffiandoli e dilaniandoli, riproducendo eternamente la voracità che caratterizzò la loro vita terrena. Significativo è anche il modo in cui Virgilio placa temporaneamente la bestia, gettando del fango nelle sue fauci, simbolo di come un appetito degradato possa essere soddisfatto solo con materia vile.

Ciacco: Voce Politica e Morale

Il secondo personaggio fondamentale del canto è Ciacco, un concittadino fiorentino di Dante:

“Ed elli a me: ‘La tua città, ch’è piena
d’invidia sì che già trabocca il sacco,
seco mi tenne in la vita serena’”

Il nome stesso “Ciacco” (che in fiorentino significava “porco”) è emblematico della sua condizione di peccatore goloso. Nonostante il poeta non fornisca molte informazioni storiche sul personaggio, Ciacco assume una funzione narrativa cruciale nel canto:

  • Rappresenta il collegamento tra il peccato individuale e la corruzione collettiva
  • Diventa profeta politico, predicendo le future divisioni di Firenze tra Bianchi e Neri
  • Identifica le tre cause della discordia civile: “superbia, invidia e avarizia”

È significativo che, nonostante la sua degradazione fisica, Ciacco mantenga intatte le facoltà intellettive, dimostrando una lucida capacità di analisi politica. Questo contrasto tra decadimento fisico e acutezza mentale sottolinea la concezione dantesca della persona umana come entità complessa, in cui la dimensione razionale può sopravvivere anche nella condizione di dannazione.

Il dialogo tra Dante e Ciacco costituisce un momento emblematico della Commedia, in cui la riflessione sul peccato individuale si intreccia con la critica politica e sociale. L’incontro diventa così un’occasione per Dante-autore di inserire nel poema non solo la condanna del vizio della gola, ma anche una feroce critica alla Firenze del suo tempo, dilaniata da conflitti interni che porteranno all’esilio dello stesso poeta nel 1302.

Analisi del Canto 6 dell’Inferno: Elementi Tematici e Narrativi

Il sesto canto dell’Inferno dantesco si distingue per la sua complessità tematica e narrativa, costruendo un intreccio di elementi teologici, morali e politici che riflettono la visione del poeta del mondo ultraterreno e terreno.

Il contrappasso, principio cardine della giustizia divina nell’Inferno, si manifesta qui con particolare efficacia: i golosi, che in vita hanno subordinato la ragione al piacere della gola, giacciono ora nel fango fetido, tormentati da una pioggia gelida e battente. Questo ribaltamento rappresenta perfettamente la condizione di chi ha vissuto abbandonandosi agli istinti corporei più bassi. I golosi sono ridotti a una condizione subumana, distesi a terra come animali, privati di individualità e dignità. La pena fisica rispecchia la degradazione spirituale: come in vita hanno ingurgitato cibo senza misura, ora sono costretti a ingoiare fango putrido in un’eternità di sofferenza sensoriale.

L’incontro con Ciacco costituisce uno snodo narrativo fondamentale, poiché rappresenta il primo dialogo esteso con un’anima dannata che Dante riconosce. Questo fiorentino, il cui nome stesso allude alla sua condizione di peccatore (“ciacco” significa “porco” in fiorentino), diventa portavoce di una lucida analisi politica nonostante la sua degradazione fisica. La capacità di Ciacco di formulare profezie politiche precise introduce un elemento che sarà ricorrente nel poema: il contrasto tra la miseria morale del dannato e la sua lucidità intellettuale. Attraverso questo personaggio, Dante sottolinea come la colpa morale non cancelli necessariamente le facoltà razionali, creando un potente strumento narrativo per comunicare la sua visione politica.

La profezia di Ciacco su Firenze costituisce il primo intervento politico diretto nel poema e anticipa l’esilio stesso del poeta. Le parole “Dopo lunga tenzone / verranno al sangue, e la parte selvaggia / caccerà l’altra con molta offensione” prefigurano gli scontri tra Bianchi e Neri che porteranno, nel 1302, alla cacciata dei Bianchi (tra cui Dante stesso). Questa profezia ex-eventu consente al poeta di inserire nel quadro narrativo eventi storici successivi al viaggio ultraterreno, datato fittiziamente al 1300, creando un legame diretto tra la dimensione ultraterrena e quella storica contemporanea.

L’identificazione delle tre “faville” che hanno acceso i cuori dei fiorentini – “superbia, invidia e avarizia” – rappresenta una diagnosi morale della crisi politica. Dante suggerisce che i conflitti civili non sono semplicemente lotte di potere, ma manifestazioni di una corruzione morale profonda. Questo legame tra etica individuale e caos sociale è uno dei temi centrali del poema, che verrà sviluppato ulteriormente nei canti successivi.

Particolarmente significativo è il passaggio finale del canto, quando Dante interroga Virgilio sulla sorte dei dannati dopo il Giudizio Universale. Chiedendo se le pene aumenteranno, diminuiranno o rimarranno invariate dopo la resurrezione dei corpi, il poeta introduce una sofisticata riflessione teologica. La risposta di Virgilio, che cita la “scienza” aristotelico-tomistica secondo cui “quanto la cosa è più perfetta, / più senta il bene, e così la doglienza”, anticipa il tema della resurrezione corporea che culminerà nel Paradiso. Questa integrazione tra filosofia aristotelica e teologia cristiana rivela la profonda cultura di Dante e la sua capacità di sintetizzare tradizioni diverse in una visione coerente.

Figure retoriche nel Canto 6 dell’Inferno della Divina Commedia

Il canto 6 dell’Inferno della Divina Commedia è ricco di figure retoriche che Dante utilizza magistralmente per amplificare l’impatto emotivo e simbolico del testo. L’abilità poetica dell’Alighieri si manifesta attraverso un uso sapiente di metafore, similitudini e altri espedienti stilistici che rendono vivida e indimenticabile l’esperienza del terzo cerchio infernale.

La metafora della pioggia rappresenta uno degli elementi retorici più potenti del canto. Dante la descrive come “etterna, maladetta, fredda e greve” (v. 7-8), trasformandola in simbolo tangibile della punizione divina. L’aggettivazione negativa crea un’atmosfera di oppressione perenne, riflettendo la natura del peccato dei golosi: come in vita si abbandonarono senza freno ai piaceri della tavola, così nell’aldilà sono condannati a subire eternamente l’inclemenza di questo diluvio infernale. La pioggia diventa quindi metafora dell’eccesso che caratterizzava questi peccatori, ora costretti a un eccesso di sofferenza fisica.

Particolarmente efficace è la similitudine di Cerbero, paragonato a un cane affamato che si acquieta solo quando ottiene cibo:

“Qual è quel cane ch’abbaiando agogna,\ne si racqueta poi che ‘l pasto morde,\nché solo a divorarlo intende e pugna,\ncotai si fecer quelle facce lorde…” (vv. 28-31)

Questa similitudine non solo animalizza il mostro infernale, ma stabilisce anche un parallelo con i golosi stessi, ridotti in vita a un comportamento bestiale dalla loro ingordigia. L’immagine del cane che abbaia e si placa solo quando ottiene cibo rispecchia l’insaziabilità che caratterizzava questi dannati durante la loro esistenza terrena.

Significativo è anche l’uso delle allitterazioni, particolarmente evidenti nei versi che descrivono l’ambiente del terzo cerchio:

Grandine grossa, acqua tinta e neve\nper l’aere tenebroso si riversa;\npute la terra che questo riceve” (vv. 10-12)

L’insistenza sulle consonanti “r” e “gr” crea un effetto sonoro che amplifica la sensazione di disagio e repulsione, contribuendo a costruire un paesaggio sonoro che riflette la natura disgustosa della pena.

Dante impiega anche l’iperbole nella descrizione di Cerbero, “fiera crudele e diversa” con “occhi vermigli” e “ventre largo”, accentuando i tratti mostruosi della creatura per evidenziarne la natura demoniaca e vorace. Questa esagerazione retorica serve a intensificare il terrore che il mostro suscita, specchio del terrore che dovrebbe suscitare il peccato stesso.

Nel dialogo con Ciacco troviamo invece efficaci metonimie politiche, come “la parte selvaggia” (v. 65) per indicare la fazione dei Bianchi, creando un linguaggio allusivo che arricchisce la dimensione profetica del discorso.

Altro elemento retorico rilevante è l’anafora presente nella profezia di Ciacco, con la ripetizione di “poi appresso” (vv. 67-68) che scandisce ritmicamente la predizione degli eventi futuri, conferendo autorità e solennità alle sue parole.

L’utilizzo di queste figure retoriche da parte di Dante non è mai ornamentale, ma sempre funzionale alla costruzione del significato profondo del testo, intrecciando magistralmente forma e contenuto in una’unità poetica di straordinaria efficacia espressiva e simbolica.

Temi principali del Canto 6 dell’Inferno della Divina Commedia

Nel canto 6 dell’Inferno della Divina Commedia, Dante sviluppa diversi temi fondamentali che si intrecciano magistralmente, creando un tessuto narrativo ricco di significati morali e politici. Il contrappasso, principio cardine della giustizia divina nella visione dantesca, trova qui una delle sue più efficaci rappresentazioni: i golosi, che in vita si sono abbandonati smodatamente ai piaceri della tavola, giacciono ora in un fango nauseabondo, tormentati da una pioggia gelida e battuti senza tregua da Cerbero. La pena rispecchia perfettamente il peccato, poiché chi ha vissuto schiavo degli istinti più bassi viene ora immerso nella materia più vile.

L’intemperanza costituisce il fulcro morale del canto. Il vizio della gola, per Dante, non rappresenta semplicemente l’eccesso alimentare, ma simboleggia una più ampia incapacità di controllare gli appetiti e gli istinti. Questo abbandono ai piaceri materiali conduce a una progressiva bestializzazione dell’essere umano, rappresentata efficacemente da Cerbero, mostro dalle tre teste canine che incarna la voracità insaziabile. L’immagine delle anime distese nel fango, quasi indistinguibili tra loro, enfatizza come l’eccesso materiale conduca a una perdita dell’individualità e della dignità umana.

Il simbolismo del fango e della pioggia pervade tutto il canto, fungendo da potente metafora della degradazione morale. Il fango, miscela informe di terra e acqua, rappresenta la condizione di chi, abbandonandosi ai piaceri materiali, ha perso la propria forma spirituale. La pioggia incessante, descritta come “etterna, maladetta, fredda e greve”, simboleggia la persistenza della punizione divina e l’oppressione costante che grava sulle anime dannate. Questi elementi naturali trasfigurati in strumenti di punizione sottolineano come il peccato rappresenti una deviazione dall’ordine naturale voluto da Dio.

Particolarmente significativo è il legame tra morale e politica che emerge dall’incontro con Ciacco. Attraverso la profezia sulla sorte di Firenze, Dante stabilisce una connessione diretta tra la decadenza morale individuale e il degrado della vita civile. Le “tre faville c’hanno i cuori accesi” – superbia, invidia e avarizia – sono presentate come le cause fondamentali della discordia civile fiorentina. Questa correlazione tra vizi personali e disordini sociali anticipa uno dei temi centrali dell’intera Commedia: la necessità di una riforma morale come presupposto per il rinnovamento politico.

La critica alla società fiorentina si fa esplicita quando Ciacco definisce Firenze “piena d’invidia sì che già trabocca il sacco”. Il linguaggio metaforico del “sacco” che trabocca suggerisce l’idea di una città ormai satura di vizio, incapace di contenerne altro. La Firenze descritta da Dante, dilaniata dalle lotte tra fazioni, diventa l’emblema della degenerazione civile causata dall’abbandono delle virtù morali in favore degli interessi personali e di parte.

Infine, il canto introduce il tema della giustizia divina attraverso la domanda di Dante sulla condizione delle anime dopo il Giudizio Universale. La risposta di Virgilio, che richiama principi aristotelico-tomistici, evidenzia come la perfezione ontologica raggiunta con la resurrezione dei corpi renderà più intense sia le gioie dei beati che i tormenti dei dannati. Questo passaggio rivela la profonda conoscenza teologica di Dante e la sua capacità di integrare questioni dottrinali all’interno della narrazione poetica.

Il Canto 6 dell’Inferno della Divina Commedia in pillole

AspettoDescrizione Sintetica
AmbientazioneTerzo cerchio infernale caratterizzato da fango putrescente, pioggia gelida e grandinosa, atmosfera opprimente e buia
Pena dei GolosiGiacere nel fango sotto pioggia eterna, essere dilaniati da Cerbero, soffrire fame e sete perpetue
CerberoMostro tricefalo con occhi rossi, barba unta e nera, ventre largo, simbolo della voracità insaziabile
CiaccoFiorentino goloso che profetizza il destino politico di Firenze e le lotte tra fazioni
Figure RetoricheMetafore della pioggia e del fango, similitudini con cani affamati, allitterazioni che evocano suoni cupi
Temi CentraliContrappasso dei golosi, critica alla corruzione fiorentina, riflessione sulla giustizia divina
ProfeziaPredizione delle lotte civili a Firenze, vittoria momentanea dei Bianchi e successivo ritorno dei Neri
Significato allegoricoCondanna dell’intemperanza fisica come riflesso della degradazione morale e civile

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