Divina Commedia, Canto 6 Purgatorio: testo, parafrasi e figure retoriche

Divina Commedia, Canto 6 Purgatorio: testo, parafrasi e figure retoriche

Il Canto 6 del Purgatorio di Dante rappresenta un momento cruciale con un potente messaggio politico e un'importante invettiva contro l'Italia.

Il Canto 6 del Purgatorio rappresenta un momento cruciale nella seconda cantica della Divina Commedia di Dante Alighieri. Questo canto si distingue per il suo potente messaggio politico e per la famosa invettiva contro l’Italia, inserendosi perfettamente nella struttura allegorica e didattica dell’intero poema. Collocato nell’Antipurgatorio, zona che precede il Purgatorio vero e proprio, il canto si concentra sulle anime dei morti per violenza che si pentirono solo in punto di morte.

La struttura del Canto 6 si sviluppa attraverso tre momenti fondamentali: l’incontro con altre anime che chiedono preghiere, il commovente abbraccio tra Virgilio e Sordello da Goito, e infine la celebre invettiva contro l’Italia, Firenze e l’autorità imperiale. Quest’ultimo elemento conferisce al canto un’importanza particolare nell’economia dell’intera opera, trasformandolo in uno dei momenti più intensi di riflessione politica all’interno del poema dantesco.

Il canto si colloca all’interno del più ampio quadro teologico della redenzione attraverso la preghiera e il pentimento, temi centrali del Purgatorio, dove le anime attendono di purificarsi per poi ascendere al Paradiso. La dimensione politica si intreccia profondamente con quella spirituale, riflettendo la visione dantesca della necessità di un ordine sia terreno che ultraterreno.

Indice:

Canto 6 Purgatorio della Divina Commedia: testo completo e parafrasi

Testo OriginaleParafrasi
Quando si parte il gioco de la zara,Quando finisce una partita di dadi,
colui che perde si riman dolente,colui che ha perso rimane afflitto,
repetendo le volte, e tristo impara;ripetendo i tiri e imparando tristemente dai suoi errori;
con l’altro se ne va tutta la gente;tutta la gente se ne va con il vincitore;
qual va dinanzi, e qual di dietro il prende,chi gli cammina davanti, chi lo prende da dietro,
e qual dallato li si reca a mente;e chi, standogli a fianco, si fa ricordare da lui;
el non s’arresta, e questo e quello intende;egli non si ferma, e presta attenzione sia all’uno che all’altro;
a cui porge la man, più non fa pressa;verso chi gli porge la mano non fa più ressa;
e così da la calca si difende.e così si difende dalla folla.
Tal era io in quella turba spessa,Così ero io in quella folla fitta,
volgendo a loro, e qua e là, la faccia,volgendo verso di loro il viso, da una parte e dall’altra,
e promettendo mi sciogliea da essa.e facendo promesse mi liberavo da quella.
Quiv’era l’Aretin che da le bracciaC’era l’Aretino che dalle braccia
fiere di Ghin di Tacco ebbe la morte,feroci di Ghino di Tacco ebbe la morte,
e l’altro ch’annegò correndo in caccia.e l’altro che annegò mentre correva all’inseguimento.
Quivi pregava con le mani sporteLì pregava con le mani protese
Federigo Novello, e quel da PisaFederico Novello, e quello di Pisa
che fé parer lo buon Marzucco forte.che fece apparire il buon Marzucco forte.
Vidi conte Orso e l’anima divisaVidi il conte Orso e l’anima separata
dal corpo suo per astio e per inveggia,dal suo corpo per odio e per invidia,
com’e’ dicea, non per colpa commisa;come egli diceva, non per colpa commessa;
Pier da la Broccia dico; e qui proveggia,Parlo di Pier della Broccia; e qui provveda,
mentr’è di qua, la donna di Brabante,mentre è in vita, la donna del Brabante,
sì che però non sia di peggior greggia.affinché per questo non finisca in una schiera peggiore (l’Inferno).
Come libero fui da tutte quanteNon appena fui libero da tutte
quell’ombre che pregar pur ch’altri prieghi,quelle anime che pregavano soltanto che altri pregassero,
sì che s’avacci lor divenir sante,affinché si accelerasse il loro diventare sante,
io cominciai: “El par che tu mi nieghi,io cominciai: “Sembra che tu mi neghi,
o luce mia, espresso in alcun testoo mia guida, espressamente in qualche passo
che decreto del cielo orazion pieghi;che la preghiera possa piegare un decreto del cielo;
e questa gente prega pur di questo:eppure questa gente prega solo per questo:
sarebbe dunque loro speme vana,sarebbe dunque la loro speranza vana,
o non m’è ‘l detto tuo ben manifesto?”.oppure il tuo discorso non mi è ben chiaro?”.
Ed elli a me: “La mia scrittura è piana;Ed egli a me: “Il mio scritto è chiaro;
e la speranza di costor non falla,e la speranza di costoro non sbaglia,
se ben si guarda con la mente sana;se si osserva bene con mente sana;
ché cima di giudicio non s’avvallapoiché l’altezza del giudizio divino non si abbassa
perché foco d’amor compia in un puntoperché il fuoco d’amore compia in un istante
ciò che de’ sodisfar chi qui s’astalla;ciò che deve soddisfare chi qui si ferma;
e là dov’io fermai cotesto punto,e là dove io affermai questo punto,
non s’ammendava, per pregar, difetto,non si rimediava, col pregare, al difetto,
perché ‘l priego da Dio era disgiunto.perché la preghiera era disgiunta da Dio.
Veramente a così alto sospettoVeramente riguardo a un dubbio così profondo
non ti fermar, se quella nol ti dicenon ti fermare, se colei non te lo dice
che lume fia tra ‘l vero e lo ‘ntelletto.che sarà luce tra il vero e l’intelletto.
Non so se ‘ntendi: io dico di Beatrice;Non so se comprendi: io parlo di Beatrice;
tu la vedrai di sopra, in su la vettatu la vedrai lassù, sulla cima
di questo monte, ridere felice”.di questo monte, ridere felice”.
E io: “Segnore, andiamo a maggior fretta;E io: “Signore, andiamo con maggior fretta;
ché già non m’affatico come dianzi,perché non mi affatico più come prima,
e vedi omai che ‘l poggio l’ombra getta”.e vedi ormai che il monte getta l’ombra”.
“Noi andetrem con questo giorno innanzi”,“Noi andremo avanti finché dura questo giorno”,
rispuose, “quanto più potremo omai;rispose, “quanto più potremo ormai;
ma ‘l fatto è d’altra forma che non stanzi.ma il fatto è di natura diversa da quella che tu immagini.
Prima che sie là sù, tornar vedraiPrima che tu sia lassù, vedrai tornare
colui che già si cuopre de la costa,colui (il sole) che già si nasconde dietro la costa,
sì che ‘ suoi raggi tu romper non fai.così che tu non fai più ombra ai suoi raggi.
Ma vedi là un’anima che, postaMa vedi là un’anima che, ferma
sola soletta, inverso noi riguarda:tutta sola, guarda verso di noi:
quella ne ‘nsegnerà la via più tosta”.quella ci insegnerà la via più breve”.
Venimmo a lei: o anima lombarda,Arrivammo da lei: o anima lombarda,
come ti stavi altera e disdegnosacome te ne stavi altera e sdegnosa
e nel mover de li occhi onesta e tarda!e nel movimento degli occhi dignitosa e lenta!
Ella non ci dicea alcuna cosa,Ella non ci diceva alcuna cosa,
ma lasciavane gir, solo sguardandoma ci lasciava andare, solo guardandoci
a guisa di leon quando si posa.a modo di leone quando riposa.
Pur Virgilio si trasse inverso lei,Virgilio però si diresse verso di lei,
pregando che ne mostrasse la viapregando che ci mostrasse la via
migliore, e quella non rispuose al detto,migliore, e quella non rispose alla richiesta,
ma di nostro paese e de la vitama del nostro paese e della vita
ci ‘nchiese; e ‘l dolce duca incominciavaci chiese; e la dolce guida cominciava
“Mantüa…”, e l’ombra, tutta in sé romita,“Mantova…”, e l’ombra, tutta concentrata in sé,
surse ver’ lui del loco ove pria stava,si alzò verso di lui dal luogo dove prima stava,
dicendo: “O Mantoano, io son Sordellodicendo: “O Mantovano, io sono Sordello
de la tua terra!”; e l’un l’altro abbracciava.della tua terra!”; e l’uno abbracciava l’altro.
Ahi serva Italia, di dolore ostello,Ahi serva Italia, dimora di dolore,
nave sanza nocchiere in gran tempesta,nave senza nocchiero in grande tempesta,
non donna di provincie, ma bordello!non signora di province, ma bordello!
Quell’anima gentil fu così presta,Quell’anima nobile fu così pronta,
sol per lo dolce suon de la sua terra,solo per il dolce suono del nome della sua terra,
di fare al cittadin suo quivi festa;a fare lì festa al suo concittadino;
e ora in te non stanno sanza guerrae ora in te non stanno senza guerra
li vivi tuoi, e l’un l’altro si rodei tuoi vivi, e l’uno rode l’altro
di quei ch’un muro e una fossa serra.di quelli che un muro e un fossato racchiude.
Cerca, misera, intorno da le prodeCerca, misera, intorno alle tue coste
le tue marine, e poi ti guarda in seno,i tuoi confini, e poi guarda nel tuo interno,
s’alcuna parte in te di pace gode.se qualche parte in te gode di pace.
Che val perché ti racconciasse il frenoA che serve che ti aggiustasse il freno
Iustinïano, se la sella è vòta?Giustiniano, se la sella è vuota?
Sanz’esso fora la vergogna meno.Senza di esso sarebbe la vergogna minore.
Ahi gente che dovresti esser devota,Ahi gente che dovresti essere devota,
e lasciar seder Cesare in la sella,e lasciar sedere Cesare in sella,
se bene intendi ciò che Dio ti nota,se comprendi bene ciò che Dio ti indica,
guarda come esta fiera è fatta fellaguarda come questa bestia è diventata feroce
per non esser corretta da li sproni,per non essere corretta dagli sproni,
poi che ponesti mano a la predella.da quando mettesti mano alle redini.
O Alberto tedesco ch’abbandoniO Alberto tedesco che abbandoni
costei ch’è fatta indomita e selvaggia,costei che è diventata indomita e selvaggia,
e dovresti inforcar li suoi arcioni,e dovresti cavalcare i suoi arcioni,
giusto giudicio da le stelle caggiagiusto giudizio dalle stelle cada
sovra ‘l tuo sangue, e sia novo e aperto,sul tuo sangue, e sia inaudito ed evidente,
tal che ‘l tuo successor temenza n’aggia!così che il tuo successore ne abbia timore!
Ch’avete tu e ‘l tuo padre sofferto,Perché tu e tuo padre avete tollerato,
per cupidigia di costà distretti,trattenuti là per cupidigia,
che ‘l giardin de lo ‘mperio sia diserto.che il giardino dell’impero sia deserto.
Vieni a veder Montecchi e Cappelletti,Vieni a vedere Montecchi e Cappelletti,
Monaldi e Filippeschi, uom sanza cura:Monaldi e Filippeschi, uomo incurante:
color già tristi, e questi con sospetti!quelli già afflitti, e questi con sospetti!
Vien, crudel, vieni, e vedi la pressuraVieni, crudele, vieni, e vedi l’oppressione
d’i tuoi gentili, e cura lor magagne;dei tuoi nobili, e cura le loro piaghe;
e vedrai Santafior com’è oscura!e vedrai Santafiora com’è insicura!
Vieni a veder la tua Roma che piagneVieni a vedere la tua Roma che piange
vedova e sola, e dì e notte chiama:vedova e sola, e giorno e notte chiama:
“Cesare mio, perché non m’accompagne?”.“Cesare mio, perché non mi accompagni?”.
Vieni a veder la gente quanto s’ama!Vieni a vedere quanto si ama la gente!
e se nulla di noi pietà ti move,e se nessuna pietà di noi ti commuove,
a vergognar ti vien de la tua fama.vieni a vergognarti della tua fama.
E se licito m’è, o sommo GioveE se mi è lecito, o sommo Giove
che fosti in terra per noi crucifisso,che fosti in terra per noi crocifisso,
son li giusti occhi tuoi rivolti altrove?sono i tuoi giusti occhi rivolti altrove?
O è preparazion che ne l’abissoOppure è una preparazione che nell’abisso
del tuo consiglio fai per alcun benedel tuo consiglio fai per qualche bene
in tutto de l’accorger nostro scisso?del tutto separato dalla nostra comprensione?
Ché le città d’Italia tutte pienePerché le città d’Italia tutte piene
son di tiranni, e un Marcel diventasono di tiranni, e un Marcello diventa
ogne villan che parteggiando viene.ogni villano che viene a parteggiare.
Fiorenza mia, ben puoi esser contentaFirenze mia, ben puoi essere contenta
di questa digression che non ti tocca,di questa digressione che non ti riguarda,
mercé del popol tuo che si argomenta.grazie al tuo popolo che ragiona.
Molti han giustizia in cuore, e tardi scoccaMolti hanno giustizia nel cuore, e tardi scatta
per non venir sanza consiglio a l’arco;per non venire senza riflessione all’arco;
ma il popol tuo l’ha in sommo de la bocca.ma il tuo popolo l’ha sulla punta della lingua.
Molti rifiutan lo comune incarco;Molti rifiutano l’incarico pubblico;
ma il popol tuo sollicito rispondema il tuo popolo premurosamente risponde
sanza chiamare, e grida: “I’ mi sobbarco!”.senza essere chiamato, e grida: “Io mi sottopongo!”.
Or ti fa lieta, ché tu hai ben onde:Ora rallegrati, perché tu hai ben donde:
tu ricca, tu con pace e tu con senno!tu ricca, tu con pace e tu con senno!
S’io dico ‘l ver, l’effetto nol nasconde.Se io dico il vero, l’effetto non lo nasconde.
Atene e Lacedemona, che fennoAtene e Sparta, che fecero
l’antiche leggi e furon sì civili,le antiche leggi e furono così civili,
fecero al viver bene un picciol cennofecero al vivere civile un piccolo cenno
verso di te, che fai tanto sottilirispetto a te, che fai tanto sottili
provedimenti, ch’a mezzo novembreprovvedimenti, che a metà novembre
non giugne quel che tu d’ottobre fili.non giunge quello che tu d’ottobre fili.
Quante volte, del tempo che rimembre,Quante volte, nel tempo che ricordi,
legge, moneta, officio e costumelegge, moneta, ufficio e costume
hai tu mutato, e rinovate membre!hai mutato, e rinnovato le classi sociali!
E se ben ti ricordi e vedi lume,E se ben ricordi e vedi chiaro,
vedrai te somigliante a quella infermavedrai te simile a quell’inferma
che non può trovar posa in su le piume,che non può trovare riposo sulle piume,
ma con dar volta suo dolore scherma.ma col girarsi protegge il suo dolore.

Canto 6 Purgatorio della Divina Commedia: riassunto e spiegazione

Il sesto canto del Purgatorio si apre con una potente similitudine tratta dal gioco della zara, un antico gioco d’azzardo con i dadi. Dante paragona la situazione in cui si trova – circondato da anime che chiedono preghiere – a quella del vincitore al gioco, attorniato da persone che gli chiedono parte della vincita. Questa immagine efficace introduce immediatamente il tema dell’importanza delle preghiere dei vivi per abbreviare il tempo di permanenza delle anime in Purgatorio.

Il canto si struttura in tre momenti fondamentali che si succedono con ritmo crescente. Il primo è dedicato all’incontro con le anime dei morti per violenza che si pentirono solo in punto di morte. Tra queste, Dante incontra diverse figure storiche: Benincasa da Laterina, giudice aretino ucciso da Ghino di Tacco; Federico Novello, ghibellino ucciso dai guelfi neri; Gano degli Scornigiani, pisano ucciso da Ugolino della Gherardesca; Marzucco degli Scornigiani, padre di Gano, che perdonò l’assassino del figlio; Orso degli Alberti, ucciso da un parente; Pierre de la Brosse, consigliere di Filippo III di Francia, condannato ingiustamente. Attraverso questa galleria di personaggi, il poeta tocca temi a lui cari: la giustizia terrena e divina, la vendetta, il perdono e la redenzione.

Il secondo momento cruciale è rappresentato dall’incontro con Sordello da Goito, poeta e politico mantovano del XIII secolo. Questo episodio assume un’importanza particolare quando Sordello, riconoscendo in Virgilio un concittadino, lo abbraccia con grande trasporto esclamando: “O gloria de’ Latin […] o pregio etterno del loco ond’io fui!” (vv. 116-117). Questo gesto di fraternità basato sul semplice amore per la patria comune diventa per Dante lo spunto perfetto per il terzo e più importante momento del canto.

Il terzo momento, infatti, è rappresentato dalla celebre invettiva contro l’Italia che occupa ben 76 versi (dal v. 76 al v. 151). Si tratta di una delle più potenti digressioni politiche dell’intera Commedia, in cui il poeta abbandona momentaneamente la narrazione del viaggio per esprimere direttamente il suo pensiero politico. L’invettiva si articola in tre parti distinte: prima una condanna generale dell’Italia, apostrofata come “serva” e “albergo di dolore”, paragonata a una “nave senza nocchiero in gran tempesta”; poi una critica all’imperatore Alberto I d’Asburgo, colpevole di aver abbandonato il “giardin de lo ‘mperio”; infine un attacco specifico a Firenze, la città natale di Dante, ironicamente descritta come malata che si agita nel letto cercando inutilmente sollievo.

La progressione dell’invettiva dal generale al particolare (Italia-Impero-Firenze) rispecchia perfettamente la visione politica dantesca, imperniata sulla necessità di un ordine universale garantito dall’autorità imperiale. Il confronto tra l’abbraccio fraterno tra Sordello e Virgilio e le guerre fratricide che dilaniavano l’Italia contemporanea sottolinea con amara ironia il divario tra ciò che l’Italia potrebbe essere e ciò che realmente è.

Il canto, pur nella sua forte componente politica, non perde mai di vista la dimensione spirituale del viaggio purgatoriale. Le anime incontrate all’inizio, che chiedono preghiere, ricordano costantemente il tema della comunione tra i vivi e i morti, elemento fondamentale della teologia cristiana. La preghiera diventa così strumento di redenzione e simbolo della misericordia divina che consente la salvezza anche a chi si pente all’ultimo istante.

Nella struttura complessiva della Commedia, è interessante notare come in ciascuna delle tre cantiche il sesto canto sia dedicato a temi politici: nell’Inferno attraverso Ciacco Dante parla di Firenze, nel Purgatorio allarga lo sguardo all’Italia, mentre nel Paradiso, attraverso Giustiniano, tratterà dell’Impero universale, seguendo una progressione dal particolare all’universale che riflette perfettamente la sua visione politica e cosmologica.

Canto 6 Purgatorio della Divina Commedia: i personaggi

Il Canto 6 del Purgatorio presenta un numero limitato ma significativo di personaggi, ciascuno con un preciso ruolo simbolico all’interno dell’economia narrativa e ideologica dantesca.

Sordello da Goito: poeta e simbolo politico

La figura di Sordello da Goito rappresenta l’incontro più significativo di questo canto. Trovatore e politico mantovano del XIII secolo, Sordello è noto principalmente per il “Compianto in morte di Ser Blacatz”, componimento in cui critica aspramente i principi europei per la loro mancanza di virtù. Dante lo sceglie come personaggio emblematico proprio per questa sua dimensione di poeta civile e critico dell’autorità politica.

La caratterizzazione di Sordello è potente e incisiva: “anima lombarda” dall’aspetto “altero e disdegnoso” e dal portamento nobile, incarnazione della dignità intellettuale e morale. Il suo atteggiamento solitario e riflessivo, prima dell’incontro con Virgilio, riflette anche la condizione dell’intellettuale in un’epoca di crisi politica.

Dante conferisce a Sordello una funzione duplice:

  1. Simbolo dell’orgoglio municipale positivo, che diventa occasione per mettere in risalto, per contrasto, l’assurdità delle lotte fratricide italiane
  2. Guida temporanea che nei canti successivi accompagnerà i pellegrini nella Valletta dei Principi Negligenti

L’importanza di Sordello si manifesta pienamente nel suo celebre abbraccio con Virgilio, gesto di fratellanza spontanea che sgorga dal semplice riconoscimento della comune origine mantovana: “‘O Mantovano, io son Sordello / de la tua terra!’ – e l’un l’altro abbracciava” (vv. 74-75). Questo abbraccio, carico di significato politico, diventa per Dante il contrappunto ideale alla condizione di un’Italia dilaniata dalle guerre intestine.

Virgilio: guida e simbolo letterario

Virgilio mantiene in questo canto il suo ruolo di guida di Dante, ma assume anche una valenza simbolica particolare. La sua identità di mantovano lo rende protagonista del commovente incontro con Sordello, mentre la sua figura di sommo poeta latino lo eleva a simbolo della grandezza culturale italica.

Come autore dell'”Eneide”, poema che celebra la fondazione di Roma e la sua missione civilizzatrice, Virgilio rappresenta quell’ideale di unità politica sotto l’egida dell’Impero che Dante considerava l’unica soluzione ai mali dell’Italia. Il riconoscimento entusiastico da parte di Sordello, che lo saluta come “gloria de’ Latin” (v. 116) e “pregio etterno del loco ond’io fui” (v. 117), sottolinea ulteriormente il suo valore simbolico.

La figura di Virgilio si arricchisce in questo canto di una dimensione patriottica che si aggiunge al suo ruolo di guida razionale e morale, evidenziando come l’amore per la propria terra rappresenti un valore positivo quando non degenera nel campanilismo.

Le anime dei morti per violenza

Al principio del canto, Dante incontra una serie di anime accumunate dall’essere morte di morte violenta e dall’essersi pentite solo in punto di morte. La loro condizione riflette la teologia del Purgatorio: pur essendo salve grazie al pentimento finale, devono attendere più a lungo prima di iniziare la purificazione a causa del loro ritardo nel rivolgersi a Dio.

Tra queste anime figurano:

  • Benincasa da Laterina, giudice aretino ucciso da Ghino di Tacco
  • Federico Novello, ghibellino ucciso dai guelfi neri
  • Gano degli Scornigiani, pisano ucciso da Ugolino della Gherardesca
  • Marzucco degli Scornigiani, padre di Gano, che perdonò l’assassino del figlio
  • Orso degli Alberti, ucciso da un parente
  • Pierre de la Brosse, consigliere di Filippo III di Francia, condannato ingiustamente

Queste anime hanno una duplice funzione narrativa: da un lato, testimoniano l’importanza della preghiera dei vivi per le anime purganti; dall’altro, illustrano gli effetti devastanti delle guerre civili e delle vendette private che insanguinavano l’Italia del tempo dantesco.

La presenza di vittime di violenza politica e familiare prepara tematicamente la successiva invettiva contro l’Italia, creando un collegamento diretto tra la sorte individuale e la condizione collettiva. Il ritratto di queste anime, che chiedono umilmente preghiere, contrasta drammaticamente con l’orgoglio dei vivi che si massacrano reciprocamente in lotte fratricide, sottolineando l’assurdità delle divisioni terrene nella prospettiva dell’eternità.

Analisi del Canto 6 Purgatorio: elementi tematici e narrativi

Il Canto 6 del Purgatorio rappresenta uno dei momenti di maggiore intensità politica e spirituale della Divina Commedia, in cui Dante fonde magistralmente la dimensione ultraterrena con quella terrena. La struttura narrativa del canto si sviluppa attraverso tre momenti fondamentali che costruiscono una progressione tematica culminante nell’invettiva contro l’Italia.

Il primo elemento tematico significativo è quello della preghiera come strumento di mediazione tra vivi e morti. Le anime dei defunti che circondano Dante all’inizio del canto chiedono preghiere per abbreviare la loro permanenza in Purgatorio, evidenziando uno dei capisaldi della teologia medievale: la comunione tra la Chiesa militante (i vivi) e la Chiesa purgante (le anime del Purgatorio). Questa comunicazione tra i due mondi rappresenta un elemento cardine della visione dantesca, in cui la solidarietà spirituale può trascendere i confini della morte.

Il tema dell’identità e dell’appartenenza emerge con forza nell’incontro tra Virgilio e Sordello. Il riconoscersi come concittadini mantovani scatena un abbraccio spontaneo che rivela quanto il legame con la propria terra d’origine fosse considerato sacro e indissolubile. Questo episodio serve a Dante per evidenziare, per contrasto, la tragica situazione dell’Italia contemporanea, dove i concittadini, anziché abbracciarsi, si combattono ferocemente.

La giustizia, tema centrale dell’intero poema, emerge con particolare vigore in questo canto attraverso la presentazione delle anime che hanno subito morti violente. Figure come Benincasa da Laterina, ucciso da Ghino di Tacco, o Federico Novello, vittima delle lotte tra guelfi e ghibellini, incarnano le conseguenze tragiche delle faide e delle guerre civili che insanguinavano l’Italia del XIV secolo. La loro presenza nell’Antipurgatorio riflette la visione dantesca di una giustizia divina che, pur nella sua misericordia, richiede tempi di purificazione proporzionati alla gravità del ritardo nel pentimento.

L’elemento tematico più eclatante del canto è indubbiamente la riflessione politica, che si sviluppa nell’invettiva contro l’Italia, contro l’imperatore Alberto I d’Asburgo e contro Firenze. Qui Dante espone la sua visione politica, fondata sull’ideale di un impero universale capace di garantire pace e giustizia. Il poeta vede nella frammentazione politica italiana la causa principale dei conflitti che affliggono la penisola. Le città-stato in perenne guerra tra loro sono il simbolo di un’Italia “serva” e “di dolore ostello”, metafora di un degrado morale che riflette il disordine politico.

Il contesto storico-politico in cui si colloca il canto è quello dell’Italia degli inizi del XIV secolo, caratterizzata da profonde divisioni: le lotte tra guelfi e ghibellini, tra Impero e Papato, tra i vari comuni e signorie creano un quadro di frammentazione che Dante considera fatale per il destino della penisola. L’assenza dell’imperatore, che secondo la concezione dantesca dovrebbe garantire l’ordine temporale in armonia con il papa (garante dell’ordine spirituale), lascia l’Italia priva di una guida sicura.

La struttura narrativa del canto, con il suo passaggio dall’incontro con le anime all’abbraccio tra Virgilio e Sordello e infine all’invettiva, riflette una progressione dal particolare all’universale, dalla dimensione individuale a quella collettiva e politica. Questo movimento espansivo caratterizza l’intera architettura della Commedia, ma trova nel Canto 6 del Purgatorio una delle sue manifestazioni più evidenti.

Va notato che il Canto 6 del Purgatorio si inserisce in una sorta di trittico politico che comprende anche il Canto 6 dell’Inferno (incentrato su Firenze) e il Canto 6 del Paradiso (focalizzato sull’Impero). Questa simmetria non è casuale ma riflette la visione dantesca di una progressione che va dal particolare (Firenze) al generale (Italia) fino all’universale (Impero), un percorso che corrisponde anche alla progressiva elevazione spirituale del pellegrino attraverso i tre regni ultraterreni.

La fusione di elementi spirituali e politici che caratterizza il canto riflette la visione dantesca dell’inscindibile legame tra ordine terreno e ordine divino. Per Dante, il disordine politico non è solo un problema pratico ma un vero e proprio peccato contro il disegno divino, che prevede una corrispondenza armonica tra le istituzioni umane e l’ordine cosmico. L’invettiva contro l’Italia diventa così non solo una critica politica ma anche un richiamo alla responsabilità morale dei governanti e dei cittadini.

L’analisi del Canto 6 del Purgatorio rivela come Dante, attraverso una complessa architettura narrativa e tematica, costruisca un messaggio al tempo stesso politico e spirituale, in cui la condanna del presente si accompagna alla speranza di una futura redenzione, sia per l’Italia che per l’umanità intera.

Figure retoriche nel Canto 6 del Purgatorio della Divina Commedia

Nel Canto 6 del Purgatorio, Dante impiega un ricco repertorio di figure retoriche per amplificare l’impatto emotivo e concettuale del suo messaggio politico-spirituale. Queste figure non sono meri abbellimenti stilistici, ma strumenti essenziali attraverso cui il poeta veicola la sua visione dell’Italia e del mondo ultraterreno.

La similitudine del gioco della zara apre il canto con straordinaria efficacia (vv. 1-9): Dante paragona la situazione delle anime che lo circondano a quella dei giocatori dopo una partita di dadi. Come il vincitore viene attorniato da chi chiede parte della vincita, così il poeta è circondato dalle anime che implorano preghiere. Questa similitudine, tratta dalla vita quotidiana, riesce a rendere immediatamente comprensibile la scena ultraterrena, creando un ponte tra l’esperienza terrena e quella spirituale. Il paragone con un gioco d’azzardo, attività moralmente ambigua, sottolinea inoltre la differenza tra la frivolezza terrena e la serietà delle questioni spirituali.

Particolarmente potente è la metafora dell’Italia come nave senza nocchiero (vv. 76-78): “Nave sanza nocchiere in gran tempesta” sintetizza efficacemente la condizione di un paese privo di guida politica. L’immagine della tempesta evoca il caos delle guerre civili, mentre l’assenza del nocchiero rappresenta la mancanza dell’autorità imperiale che, secondo la visione dantesca, dovrebbe garantire ordine e giustizia. La potenza di questa metafora risiede nella sua capacità di condensare in pochi versi un’intera visione politica.

La metafora dell’Italia come “bordello” (v. 78) colpisce per la sua crudezza espressiva. Definendo l’Italia non più “donna di provincie” ma “bordello”, Dante utilizza un termine volutamente scandaloso per evidenziare il degrado morale e politico del paese, suscitando nel lettore un senso di vergogna e indignazione che lo spinge alla riflessione critica.

Altrettanto efficace è la metafora di Firenze come inferma (vv. 148-151), che paragona la città a un malato che si agita nel letto cercando sollievo ma trovando solo maggior dolore. L’immagine rende perfettamente l’idea dell’inutilità dei continui cambiamenti legislativi e politici della città, incapaci di risolvere i problemi di fondo.

Il canto è ricco di apostrofi che conferiscono pathos e intensità all’invettiva dantesca: “Ahi serva Italia, di dolore ostello” (v. 76), “O Alberto tedesco” (v. 97), “Vieni a veder la tua Roma che piagne” (v. 112). Queste apostrofi, indirizzate rispettivamente all’Italia, all’imperatore Alberto I d’Asburgo e nuovamente all’imperatore invitato a vedere Roma abbandonata, trasformano il discorso in un’accorata arringa che coinvolge emotivamente il lettore.

Le interrogative retoriche arricchiscono ulteriormente il tessuto espressivo del canto: “Che val perché ti racconciasse il freno / Iustiniano, se la sella è vota?” (vv. 88-89). Questa domanda, che non richiede risposta perché la risposta è implicita, sottolinea l’inutilità delle buone leggi (il “freno” di Giustiniano) senza un’autorità (la “sella” vuota dell’imperatore) che le faccia rispettare.

Particolarmente raffinato è l’uso dell’ironia e del sarcasmo nella parte finale dell’invettiva rivolta a Firenze (vv. 139-144). Dante finge di elogiare la città mettendola al di sopra delle antiche Atene e Sparta, famose per le loro sagge legislazioni, per poi rivelare con amara ironia che le leggi fiorentine sono così “sottili” (elaborate ma anche fragili) da non durare nemmeno un mese.

Queste figure retoriche, sapientemente orchestrate da Dante, non solo arricchiscono la qualità poetica del testo, ma amplificano la forza del suo messaggio politico e morale, rendendo il Canto 6 del Purgatorio uno dei momenti di maggiore intensità espressiva dell’intera Commedia.

Temi principali del 6° canto del Purgatorio della Divina Commedia

Il Canto 6 del Purgatorio rappresenta uno snodo fondamentale nell’architettura della seconda cantica, sviluppando diverse tematiche di capitale importanza nel pensiero dantesco.

La critica alla frammentazione politica italiana emerge come tema dominante attraverso la famosa invettiva «Ahi serva Italia, di dolore ostello». Dante identifica nella mancanza di un’autorità centrale forte la causa principale dei conflitti che laceravano la penisola. L’immagine dell’Italia come «nave sanza nocchiere in gran tempesta» sintetizza efficacemente la visione politica dantesca: solo un impero universale, guidato da un imperatore presente e attivo, potrebbe riportare pace e giustizia. La condanna si estende ad Alberto d’Asburgo, colpevole di aver abbandonato il «giardin de lo ‘mperio», e a Firenze, rappresentata come un’inferma che si agita nel letto senza trovare sollievo.

La funzione della preghiera come strumento di redenzione costituisce il secondo tema cruciale. Le anime incontrate all’inizio del canto, vittime di morti violente e pentite solo in punto di morte, chiedono a Dante preghiere che possano accelerare la loro purificazione. Questo elemento sottolinea la visione dantesca della comunione tra i vivi e i defunti e l’efficacia delle preghiere dei giusti nel piano divino della salvezza. Il motivo della preghiera si intreccia con quello del pentimento tardivo, evidenziando la misericordia divina che accoglie anche chi si rivolge a Dio negli ultimi istanti di vita.

L’interconnessione tra ordine terreno e ordine ultraterreno rappresenta il terzo tema fondamentale. Per Dante, il caos politico sulla Terra riflette un disordine spirituale più profondo. Non è casuale che il canto si svolga nell’Antipurgatorio, zona liminale tra la dannazione e la purificazione: come le anime attendono di iniziare il vero percorso di redenzione, così l’Italia attende un restauratore dell’ordine imperiale. L’abbraccio tra Sordello e Virgilio, uniti dall’amore per la comune patria mantovana, diventa emblema della fratellanza che dovrebbe esistere tra gli italiani, in contrasto con le guerre fratricide che insanguinavano la penisola.

Questa sovrapposizione tra piano politico e spirituale rappresenta la cifra distintiva non solo del Canto 6, ma dell’intera visione dantesca.

Il Canto 6 Purgatorio in pillole

AspettoDescrizione
AmbientazioneAntipurgatorio, zona che precede il Purgatorio vero e proprio
Tema principaleInvettiva politica contro l’Italia e Firenze
Struttura del cantoTre momenti: incontro con le anime dei morti per violenza, abbraccio tra Virgilio e Sordello, invettiva politica
Personaggi principaliSordello da Goito (poeta mantovano), Virgilio, anime dei morti violentemente
Anime incontrateBenincasa da Laterina, Federico Novello, Gano degli Scornigiani, Marzucco degli Scornigiani, Orso degli Alberti, Pierre de la Brosse
Similitudine inizialeParagone con il gioco della zara (gioco d’azzardo con dadi)
Invettiva politicaContro l’Italia (“serva”, “bordello”), contro l’imperatore Alberto I d’Asburgo, contro Firenze
Metafore celebriItalia come “nave senza nocchiero in gran tempesta”, Firenze come “inferma”
Funzione delle preghiereLe preghiere dei vivi abbreviano il tempo di permanenza in Purgatorio
Significato allegoricoImportanza dell’ordine e della giustizia sia terrena che ultraterrena
Posizione nel poemaParte di un trittico politico: Inferno VI (Firenze), Purgatorio VI (Italia), Paradiso VI (Impero)

Ti potrebbe interessare

Link copiato negli appunti