Divina Commedia, Canto 9 Purgatorio: testo, parafrasi e figure retoriche

Divina Commedia, Canto 9 Purgatorio: testo, parafrasi e figure retoriche

Il Canto 9 del Purgatorio rappresenta un momento cruciale nel viaggio ultraterreno di Dante, segnando il passaggio dall'Antipurgatorio al regno della purificazione.

Il Canto 9 del Purgatorio nella Divina Commedia rappresenta un momento cruciale nel viaggio ultraterreno di Dante, segnando il passaggio definitivo dall’Antipurgatorio all’ingresso vero e proprio nel regno della purificazione. Questo canto costituisce una svolta fondamentale nella narrazione, poiché il poeta fiorentino si accinge a varcare la soglia che conduce al percorso attivo di espiazione, distaccandosi dalla dimensione di attesa che caratterizza l’Antipurgatorio.

In questo episodio di straordinaria potenza simbolica, Dante combina sapientemente elementi onirici, liturgici e allegorici per rappresentare l’inizio del processo di purificazione dell’anima. Il viaggio spirituale del poeta è segnato da tre elementi principali: il misterioso sogno dell’aquila dorata che lo rapisce in volo, l’intervento provvidenziale di Santa Lucia che lo trasporta fisicamente verso la porta, e infine il solenne incontro con l’angelo portiere che, attraverso un elaborato rituale d’ingresso, permette al pellegrino di accedere al Purgatorio vero e proprio.

L’attraversamento della soglia rappresenta simbolicamente il sacramento della penitenza, con i suoi tre momenti fondamentali (contrizione, confessione e soddisfazione), mentre l’incisione delle sette “P” sulla fronte di Dante prefigura il cammino di purificazione che lo attende nelle sette cornici della montagna, dove verranno gradualmente cancellati i segni dei sette peccati capitali.

Indice:

Canto 9 Purgatorio della Divina Commedia: testo completo e parafrasi

Testo OriginaleParafrasi
La concubina di Titone antico / già s’imbiancava al balco d’orïente, / fuor de le braccia del suo dolce amico;L’Aurora, amante del vecchio Titone, già iniziava a schiarire il balcone dell’oriente, uscendo dalle braccia del suo dolce compagno;
di gemme la sua fronte era lucente, / poste in figura del freddo animale / che con la coda percuote la gente;la sua fronte brillava di gemme, disposte a forma dello Scorpione, l’animale che con la coda ferisce le persone;
e la notte, de’ passi con che sale, / n’avea fatti due nel loco dove / eravam noi, e ‘l terzo già chinale;e la notte aveva già compiuto due dei passi con cui sale, nel luogo dove ci trovavamo, e il terzo già si inclinava;
quand’ io, che meco avea di quel d’Adamo, / vinto dal sonno, in su l’erba inchinai / là ‘ve già tutti e cinque sedavamo.quando io, che portavo con me quella natura umana ereditata da Adamo, vinto dal sonno, mi sdraiai sull’erba là dove tutti e cinque eravamo seduti.
Ne l’ora che comincia i tristi lai / la rondinella presso a la mattina, / forse a memoria de’ suo’ primi guai,Nell’ora in cui la rondine inizia i suoi tristi lamenti vicino al mattino, forse in ricordo delle sue prime sventure,
e che la mente nostra, peregrina / più da la carne e men da’ pensier presa, / a le sue visïon quasi è divina,e quando la nostra mente, più distaccata dal corpo e meno presa dai pensieri, nelle sue visioni è quasi divina,
in sogno mi parea veder sospesa / un’aguglia nel ciel con penne d’oro, / con l’ali aperte e a calare intesa;in sogno mi sembrava di vedere sospesa nel cielo un’aquila dalle penne d’oro, con le ali aperte e intenta a scendere;
ed esser mi parea là dove foro / abbandonati i suoi da Ganimede, / quando fu ratto al sommo consistoro.e mi sembrava di essere là dove i suoi compagni furono abbandonati da Ganimede, quando fu rapito nel supremo consiglio degli dei.
Fra me pensava: «Forse questa fiede / pur qui per uso, e forse d’altro loco / disdegna di portarne suso in piede».Tra me pensavo: «Forse questa colpisce solo qui per abitudine, e forse disdegna di portare in alto con gli artigli chi si trova in altro luogo».
Poi mi parea che, poi rotata un poco, / terribil come folgor discendesse, / e me rapisse suso infino al foco.Poi mi sembrava che, dopo aver ruotato un poco, scendesse terribile come un fulmine, e mi rapisse fino al fuoco.
Ivi parea che ella e io ardesse; / e sì lo ‘ncendio imaginato cosse, / che convenne che ‘l sonno si rompesse.Là sembrava che lei e io bruciassimo; e così il fuoco immaginato bruciò, che fu necessario che il sonno si interrompesse.
Non altrimenti Achille si riscosse, / li occhi svegliati rivolgendo in giro / e non sappendo là dove si fosse,Non diversamente Achille si destò, girando intorno gli occhi svegli e non sapendo dove si trovasse,
quando la madre da Chirón a Schiro / trafuggò lui dormendo fra le braccia, / là onde poi li Greci il dipartiro;quando la madre lo portò via di nascosto da Chirone a Sciro mentre dormiva tra le sue braccia, da dove poi i Greci lo fecero partire;
che mi scoss’ io, sì come da la faccia / mi fuggì ‘l sonno, e diventai ismorto, / come fa l’uom che, spaventato, agghiaccia.così mi destai io, non appena il sonno fuggì dal mio volto, e divenni pallido, come fa l’uomo che, spaventato, si raggela.
Dallato m’era solo il mio conforto, / e ‘l sole er’ alto già più che due ore, / e ‘l viso m’era a la marina torto.Accanto a me c’era solo la mia consolazione, e il sole era già alto da più di due ore, e il mio viso era rivolto verso il mare.
«Non aver tema», disse il mio segnore; / «fatti sicur, ché noi semo a buon punto; / non stringer, ma rallarga ogne vigore.«Non aver paura», disse il mio signore; «stai tranquillo, perché siamo giunti a buon punto; non trattenere, ma sciogli ogni forza.
Tu se’ omai al purgatorio giunto: / vedi là il balzo che ‘l chiude dintorno; / vedi l’entrata là ‘ve par disgiunto.Tu sei ormai giunto al purgatorio: vedi là la parete rocciosa che lo circonda; vedi l’entrata là dove sembra interrotta.
Dianzi, ne l’alba che procede al giorno, / quando l’anima tua dentro dormia, / sovra li fiori ond’ è là giù addornoPoco fa, nell’alba che precede il giorno, quando la tua anima dormiva dentro di te, sopra i fiori di cui è adorno là giù
venne una donna, e disse: “I’ son Lucia; / lasciate ch’io pigli costui che dorme; / sì l’agevolerò per la sua via”.venne una donna, e disse: “Io sono Lucia; lasciate che io prenda costui che dorme; così gli faciliterò il suo cammino”.
Sordel rimase e l’altre gentil forme; / ella ti tolse, e come ‘l dì fu chiaro, / sen venne suso; e io per le sue orme.Sordello rimase con le altre nobili anime; ella ti prese, e quando il giorno fu chiaro, salì quassù; e io seguii le sue orme.
Qui ti posò, ma pria mi dimostraro / li occhi suoi belli quella intrata aperta; / poi ella e ‘l sonno ad una se n’andaro».Qui ti depose, ma prima i suoi begli occhi mi mostrarono quell’entrata aperta; poi lei e il sonno se ne andarono insieme».
A guisa d’uom che ‘n dubbio si raccerta / e che muta in conforto la sua tema, / poi che la verità li è discoverta,Come un uomo che si rassicura nel dubbio e che trasforma in consolazione la sua paura, dopo che la verità gli è stata rivelata,
mi fec’ io; e quando ‘l duca mio mi scema / libero vide il viso da paura, / su per lo balzo si mosse, e io appresso.così feci io; e quando la mia guida vide il mio viso libero dalla paura, si mosse su per la parete rocciosa, e io dietro.
Lettor, tu vedi ben com’ io innalzo / la mia matera, e perché con più arte / non ti maravigliar s’io la rincalzo.Lettore, tu vedi bene come io elevo la mia materia, e perciò non meravigliarti se la sostengo con maggiore arte.
Noi ci appressammo, ed eravamo in parte / che là dove pareami prima rotto, / pur come un fesso che muro diparte,Ci avvicinammo, ed eravamo nel punto dove mi era sembrato prima che fosse rotto, proprio come una fenditura che divide un muro,
vidi una porta, e tre gradi di sotto / per gire ad essa, di color diversi, / e un portier ch’ancor non facea motto.vidi una porta, e tre gradini sottostanti per salire ad essa, di colori diversi, e un guardiano che ancora non diceva parola.
E come l’occhio più e più v’apersi, / vidil seder sovra ‘l grado soprano, / tal ne la faccia ch’io non lo soffersi;E man mano che aprivo di più l’occhio, lo vidi sedere sul gradino più alto, tale nel volto che non riuscii a sopportarlo;
e una spada nuda avea in mano, / che refletteva i raggi sì ver’ noi, / ch’io dirizzava spesso il viso in vano.e aveva in mano una spada nuda, che rifletteva i raggi così verso di noi, che spesso dirigevo invano il viso altrove.
«Dite costinci: che volete voi?», / cominciò elli a dire, «ov’ è la scorta? / Guardate che ‘l venir sù non vi noi».«Dite di lì: che cosa volete?», iniziò a dire, «dov’è la guida? Guardate che il salire quassù non vi danneggi».
«Donna del ciel, di queste cose accorta», / rispuose ‘l mio maestro a lui, «pur dianzi / ne disse: ‘Andate là: quivi è la porta’».«Una donna del cielo, esperta di queste cose», rispose la mia guida a lui, «proprio poco fa ci disse: ‘Andate là: lì c’è la porta’».
«Ed ella i vostri passi in bene avanzi», / ricominciò il cortese portinaio: / «Venite dunque a’ nostri gradi innanzi».«E possa lei far progredire i vostri passi nel bene», ricominciò il cortese portiere: «Venite dunque davanti ai nostri gradini».
Là ne venimmo; e lo scaglion primaio / bianco marmo era sì pulito e terso, / ch’io mi specchiai in esso qual io paio.Arrivammo lì; e il primo gradino era di marmo bianco così pulito e levigato, che mi specchiai in esso come appaio realmente.
Era il secondo tinto più che perso, / d’una petrina ruvida e arsiccia, / crepata per lo lungo e per traverso.Il secondo era colorato più scuro del nero, di una pietra ruvida e bruciata, crepata per lungo e per traverso.
Lo terzo, che di sopra s’ammassiccia, / porfido mi parea sì fiammeggiante, / come sangue che fuor di vena spiccia.Il terzo, che si ammassa sopra, mi sembrava porfido così fiammeggiante, come sangue che sgorga dalla vena.
Sovra questo tenea ambo le piante / l’angel di Dio, sedendo in su la soglia / che mi sembiava pietra di diamante.Sopra questo teneva entrambi i piedi l’angelo di Dio, sedendo sulla soglia che mi sembrava pietra di diamante.
Per li tre gradi sù di buona voglia / mi trasse il duca mio, dicendo: «Chiedi / umilmente che ‘l serrame scioglia».Per i tre gradini su di buona voglia mi condusse la mia guida, dicendo: «Chiedi umilmente che apra la serratura».
Divoto mi gittai a’ santi piedi; / misericordia chiesi e ch’el m’aprisse, / ma tre volte nel petto pria mi diedi.Devoto mi gettai ai santi piedi; chiesi misericordia e che mi aprisse, ma prima mi battei tre volte il petto.
Sette P ne la fronte mi descrisse / col punton de la spada, e «Fa che lavi, / quando se’ dentro, queste piaghe», disse.Sette P sulla fronte mi tracciò con la punta della spada, e disse: «Fa’ che tu lavi, quando sei dentro, queste ferite».
Cenere, o terra che secca si cavi, / d’un color fora col suo vestimento; / e di sotto da quel trasse due chiavi.Cenere, o terra che si estrae secca, sarebbe dello stesso colore del suo vestimento; e da sotto quello trasse due chiavi.
L’una era d’oro e l’altra era d’argento; / pria con la bianca e poscia con la gialla / fece a la porta sì, ch’i’ fu’ contento.Una era d’oro e l’altra era d’argento; prima con la bianca e poi con la gialla fece alla porta in modo tale, che io fui soddisfatto.
«Quandunque l’una d’este chiavi falla, / che non si volga dritta per la toppa», / diss’ elli a noi, «non s’apre questa calla.«Ogni volta che una di queste chiavi fallisce, che non si giri diritta nella serratura», disse a noi, «non si apre questo passaggio.
Più cara è l’una; ma l’altra vuol troppa / d’arte e d’ingegno avanti che diserri, / perch’ ella è quella che ‘l nodo digroppa.Una è più preziosa; ma l’altra richiede troppa arte e ingegno prima di aprire, perché è quella che scioglie il nodo.
Da Pier le tegno; e dissemi ch’i’ erri / anzi ad aprir ch’a tenerla serrata, / pur che la gente a’ piedi mi s’atterri».Le ricevo da Pietro; e mi disse che sbaglio piuttosto ad aprire che a tenerla chiusa, purché la gente si prostri ai miei piedi».
Poi pinse l’uscio a la porta sacrata, / dicendo: «Intrate; ma facciovi accorti / che di fuor torna chi ‘n dietro si guata».Poi spinse l’uscio della porta sacra, dicendo: «Entrate; ma vi avverto che torna fuori chi si guarda indietro».
E quando fuor ne’ cardini distorti / li spigoli di quella regge sacra, / che di metallo son sonanti e forti,E quando furono girati nei cardini gli spigoli di quella porta regale e sacra, che sono di metallo sonoro e forte,
non rugghiò sì né si mostrò sì acra / Tarpea, come tolto le fu il buono / Metello, per che poi rimase macra.non ruggì così né si mostrò così aspra la rupe Tarpea, quando le fu tolto il buon Metello, per cui poi rimase spoglia.
Io mi rivolsi attento al primo tuono, / e ‘Te Deum laudamus’ mi parea / udire in voce mista al dolce suono.Io mi girai attento al primo suono, e mi sembrava di udire ‘Te Deum laudamus’ in una voce mista al dolce suono.
Quello ch’io udiva, tal imagine rendea / qual prender suole uom che va cantando / e or sì or no s’intende quel che dea.Quello che udivo, rendeva tale impressione quale è solito provare chi va cantando e ora si e ora no si capisce quello che dice.

Canto 9 Purgatorio della Divina Commedia: riassunto e spiegazione

Il Canto 9 del Purgatorio si apre con Dante che, esausto per il cammino, si addormenta all’alba nella Valletta dei Principi. Durante il sonno, il poeta ha una visione onirica potente: un’aquila dalle penne d’oro che volteggia nel cielo e poi scende improvvisamente a rapirlo, portandolo fino alla sfera del fuoco. Questo sogno ha un profondo significato allegorico: l’aquila rappresenta la grazia divina che interviene nel cammino di salvezza, mentre il rapimento simboleggia l’ascesa spirituale del pellegrino verso la purificazione.

Al risveglio, Dante si ritrova in un luogo completamente diverso. Virgilio gli spiega che durante la notte è intervenuta Santa Lucia, simbolo della grazia illuminante, che lo ha trasportato fino all’ingresso del vero Purgatorio. Questo passaggio sottolinea come il progresso spirituale non dipenda solo dalla volontà umana, ma richieda anche l’intervento della grazia divina.

I due poeti si trovano ora davanti alla porta del Purgatorio, dove incontrano un angelo portiere seduto su un gradino di diamante. La descrizione dell’angelo è maestosa: ha un volto luminoso, una veste color cenere, una spada fiammeggiante e due chiavi, una d’oro e una d’argento, consegnategli da San Pietro. L’intero apparato simbolico rappresenta il sacramento della confessione, necessario per accedere al regno della purificazione.

Particolarmente significativi sono i tre gradini che conducono alla porta, ciascuno con un preciso colore e significato. Il primo, bianco e lucido come marmo, simboleggia l’esame di coscienza; il secondo, scuro e crepato, rappresenta la contrizione per i peccati commessi; il terzo, di porfido rosso fiammeggiante, allude al sangue di Cristo e alla soddisfazione attraverso la penitenza.

Per accedere al Purgatorio, Dante deve compiere un rituale che richiama direttamente il sacramento della confessione: si prostra umilmente ai piedi dell’angelo, si batte tre volte il petto in segno di pentimento e chiede misericordia. L’angelo, usando la punta della spada, incide sulla fronte di Dante sette “P” (peccati), che rappresentano i sette vizi capitali che dovranno essere purificati nelle sette cornici del Purgatorio.

L’angelo portiere utilizza poi le due chiavi per aprire la porta: la chiave d’argento (rappresentante la scienza teologica necessaria al confessore) e la chiave d’oro (simbolo dell’autorità di assolvere). Questo doppio movimento sottolinea il ruolo mediatore della Chiesa nel processo di redenzione dell’anima.

Quando finalmente la porta si apre, si ode il canto del Te Deum, l’inno di ringraziamento che accoglie le anime che entrano nel regno della purificazione. L’angelo ammonisce Dante ricordandogli che chi si volge indietro dopo essere entrato dovrà uscire, sottolineando l’irrevocabilità della decisione di intraprendere il cammino di purificazione.

Il canto si conclude con l’attraversamento della soglia: i cardini della porta emettono un suono fragoroso, segno dell’importanza del passaggio che Dante sta compiendo. Questo momento rappresenta la transizione decisiva dall’Antipurgatorio.

I Personaggi del Canto 9 Purgatorio della Divina Commedia

Il Canto IX del Purgatorio presenta una serie di figure che assumono importanza cruciale nel percorso spirituale di Dante. Il protagonista principale rimane naturalmente Dante stesso, che in questo canto sperimenta la transizione fondamentale dal sonno alla veglia, dal mondo terreno alla dimensione purificatrice del Purgatorio vero e proprio.

Lucia, la santa siracusana, emerge come figura angelica di primaria importanza. Apparsa in sogno a Dante, Lucia rappresenta la grazia illuminante che guida l’anima verso la purificazione. Nel sistema allegorico dantesco, essa incarna la grazia efficace, quella forza divina che permette all’uomo di superare i propri limiti terreni e di avvicinarsi a Dio. La sua presenza nel canto non è casuale: Lucia era stata invocata da Beatrice nel Canto II dell’Inferno per soccorrere Dante, e ora ricompare come intermediaria tra la volontà divina e il pellegrino.

Virgilio mantiene il suo ruolo di guida saggia e protettiva. Nel canto, il poeta latino osserva con attenzione paterna il sonno di Dante e, al risveglio del discepolo, lo rassicura spiegandogli quanto accaduto durante il suo riposo. Virgilio rappresenta sempre la ragione umana e la sapienza classica, ma in questo contesto specifico assume anche il ruolo di intermediario tra l’esperienza mistica vissuta da Dante e la sua comprensione razionale.

L’Angelo Portiere costituisce una delle figure più solenni e maestose dell’intero Purgatorio. Custode della porta che separa l’Antipurgatorio dal Purgatorio, questo angelo incarna la giustizia divina e la misericordia. Vestito di cenere e armato di una spada fiammeggiante che riflette i raggi del sole, rappresenta la purificazione attraverso la penitenza. Il suo compito è quello di ammettere al Purgatorio solo coloro che hanno raggiunto la necessaria disposizione spirituale, simboleggiata dalla richiesta dell’umiltà e del pentimento sincero.

Altri personaggi minori ma significativi includono le anime dell’Antipurgatorio che Dante ha incontrato nei canti precedenti, il cui ricordo permea ancora l’atmosfera del canto, e la presenza implicita ma costante di Beatrice, che dall’Empireo continua a vegliare sul viaggio del suo amato attraverso l’intervento di Lucia.

Analisi del Canto 9 Purgatorio: Elementi Tematici e Narrativi

L’architettura narrativa del Canto IX si sviluppa attraverso una struttura tripartita che riflette la concezione teologica medievale del progresso spirituale. La prima sezione presenta il sonno di Dante e il sogno profetico, la seconda descrive il risveglio e la spiegazione di Virgilio, mentre la terza culmina nell’incontro con l’Angelo Portiere e nell’ingresso al Purgatorio.

Il tempo narrativo assume particolare rilevanza: il canto si svolge nelle prime ore dell’alba del lunedì di Pasqua, momento simbolicamente perfetto per rappresentare la rinascita spirituale. Dante utilizza riferimenti astronomici precisi per indicare l’ora, collegando il momento terreno con la dimensione cosmica e spirituale dell’esperienza.

La dimensione onirica costituisce un elemento narrativo fondamentale. Il sogno di Dante non è un semplice episodio fantastico, ma rappresenta una vera e propria visione profetica che anticipa gli eventi successivi. Questa tecnica narrativa permette a Dante di sovrapporre diversi livelli di realtà: quella fisica del corpo addormentato, quella spirituale dell’anima in ascensione, e quella allegorica del significato teologico dell’esperienza.

La progressione geografica assume valenza simbolica: il movimento dall’Antipurgatorio al Purgatorio attraverso la porta custodita dall’angelo rappresenta il passaggio da una condizione di attesa e preparazione a quella di purificazione attiva. Questo elemento spaziale riflette la concezione medievale del percorso dell’anima verso la salvezza come cammino fisico e spirituale insieme.

Il dialogo tra i personaggi rivela la maestria dantesca nel caratterizzare le diverse personalità: la dolcezza protettiva di Virgilio, la solennità dell’Angelo Portiere, l’umiltà crescente di Dante stesso. Ogni battuta contribuisce a costruire non solo la progressione narrativa, ma anche lo sviluppo psicologico e spirituale dei protagonisti.

Figure Retoriche nel Canto 9 Purgatorio della Divina Commedia

Il Canto IX del Purgatorio presenta una ricchezza straordinaria di figure retoriche che contribuiscono a creare la sua atmosfera di solennità mistica e trasformazione spirituale. Dante dimostra la sua maestria poetica attraverso l’uso sapiente di diversi procedimenti stilistici che amplificano il significato teologico e allegorico del testo.

La similitudine domina il canto fin dall’inizio, quando Dante paragona il momento dell’aurora a “la concubina di Titone antico”, riferendosi all’Aurora mitologica. Questa figura retorica non serve solo a indicare l’ora, ma crea un’atmosfera di transizione tra notte e giorno che rispecchia il passaggio spirituale del protagonista.

Le metafore assumono particolare intensità nella descrizione del sogno: l’aquila che rapisce Dante viene descritta con immagini che richiamano il mito di Ganimede, creando una sovrapposizione di livelli semantici che arricchisce il significato allegorico dell’episodio.

L’allegoria pervade l’intero canto, dalla figura di Lucia come grazia illuminante alla porta del Purgatorio come accesso alla purificazione. Ogni elemento narrativo possiede un significato letterale e uno simbolico che si intrecciano creando la caratteristica polisemia dantesca.

Le personificazioni animano elementi naturali e astratti: l’aurora che “già biancheggiava”, il sole che “sale”, la colpa che “pesa”. Questa tecnica conferisce vita e movimento a tutto l’universo poetico del canto.

L’iperbole caratterizza la descrizione della spada dell’Angelo Portiere, così luminosa che Dante non riesce a sostenerla con lo sguardo. Questa esagerazione retorica sottolinea la natura divina e trascendente del personaggio angelico.

Le sinestesie arricchiscono la percezione sensoriale: la luce che “ferisce” gli occhi, i suoni che sembrano farsi colore. Queste figure retoriche creano un’esperienza estetica totale che coinvolge tutti i sensi.

Temi Principali del Canto 9 Purgatorio della Divina Commedia

Il tema centrale del canto è indubbiamente la purificazione spirituale. L’intero episodio ruota attorno al concetto di necessaria preparazione dell’anima prima di intraprendere il percorso di espiazione. La purificazione non è solo un processo individuale, ma riflette la concezione cristiana medievale della redenzione come dono divino che richiede però la collaborazione attiva dell’uomo.

Il rapporto tra sogno e realtà costituisce un tema filosofico e teologico di grande profondità. Dante esplora la natura della conoscenza profetica e della rivelazione divina, mostrando come la verità possa manifestarsi attraverso visioni oniriche che anticipano eventi reali. Questo tema riflette l’influenza della tradizione biblica e della filosofia scolastica sulla concezione dantesca della conoscenza.

La grazia divina rappresenta il filo conduttore teologico del canto. L’intervento di Lucia, la protezione angelica, la possibilità stessa di accedere al Purgatorio sono manifestazioni della grazia che permette all’uomo di superare i propri limiti. Questo tema è centrale nella teologia di San Tommaso d’Aquino, che profondamente influenzò Dante.

Il tema dell’umiltà emerge prepotentemente nell’episodio della porta. L’Angelo Portiere richiede a Dante gesti di umile sottomissione: battersi tre volte il petto, inginocchiarsi, chiedere perdono. Questa sequenza rituale sottolinea come l’accesso alla salvezza richieda il riconoscimento della propria condizione peccaminosa e la disponibilità al cambiamento.

La trasformazione spirituale attraversa tutto il canto come tema unificante. Dante non è più lo stesso personaggio che era nei canti precedenti: il sonno, il sogno, il risveglio, l’incontro con l’angelo rappresentano tappe di una metamorfosi interiore che lo prepara alle prove successive.

Il Canto 9 Purgatorio in Pillole

Il Canto IX del Purgatorio può essere sintetizzato attraverso i seguenti punti chiave:

  • Il sonno e il sogno profetico: Dante si addormenta nell’Antipurgatorio e sogna di essere rapito da un’aquila d’oro che lo porta fino alla sfera del fuoco, visione che anticipa quanto realmente accadrà.
  • Il trasporto di Lucia: al risveglio, Virgilio spiega a Dante che Santa Lucia lo ha trasportato fino alla porta del Purgatorio mentre dormiva, rappresentando l’intervento della grazia illuminante.
  • L’incontro con l’Angelo Portiere: i due pellegrini si trovano davanti alla porta del Purgatorio custodita da un Angelo maestoso che impugna una spada fiammeggiante, simbolo della giustizia divina.
  • I gesti rituali di purificazione: Dante deve compiere specifici atti di umiltà: battersi tre volte il petto, inginocchiarsi e chiedere perdono per accedere alla purificazione.
  • Le sette “P” sulla fronte: l’Angelo incide sulla fronte di Dante sette “P” che rappresentano i peccati capitali da espiare durante il percorso nel Purgatorio.
  • Le due chiavi simboliche: l’Angelo apre la porta con due chiavi, una d’oro e una d’argento, che simboleggiano l’autorità papale e la sapienza necessaria per assolvere i peccatori.
  • L’ingresso nel Purgatorio: il canto culmina con l’ingresso di Dante e Virgilio nel Purgatorio vero e proprio, accompagnato dal canto solenne del “Te Deum laudamus”.
  • Il significato spirituale: questo momento rappresenta simbolicamente la rinascita dell’anima che, riconosciuti i propri peccati, può iniziare il cammino verso la redenzione e l’unione con Dio.

La ricchezza simbolica, la profondità teologica e la maestria poetica fanno di questo canto uno dei più significativi dell’intera Divina Commedia, punto di snodo fondamentale nel percorso di ascensione spirituale che condurrà Dante fino alla visione beatifica del Paradiso.

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