Il Canto 4 dell’Inferno della Divina Commedia rappresenta un momento cruciale nel viaggio ultraterreno di Dante Alighieri, introducendo il lettore al primo cerchio infernale: il Limbo. Questo spazio liminale, collocato subito dopo l’Acheronte, è concepito come dimora eterna delle anime che, pur non avendo commesso peccati, non hanno avuto accesso alla salvezza per mancanza del battesimo o per non aver conosciuto la fede cristiana.
Indice:
- Divina Commedia, Canto 4 Inferno: testo completo e parafrasi
- Canto 4 Inferno della Divina Commedia: riassunto e spiegazione
- Canto 4 Inferno della Divina Commedia: i personaggi
- Analisi del Canto 4 dell’Inferno: elementi tematici e narrativi
- Figure retoriche nel Canto 4 dell’ Inferno della Divina Commedia
- Temi principali del 4 canto dell’Inferno della Divina Commedia
- Il Canto 4 dell’Inferno della Divina Commedia in pillole
Divina Commedia, Canto 4 Inferno: testo completo e parafrasi
Testo | Parafrasi |
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Ruppemi l’alto sonno ne la testa | Un forte tuono ruppe il mio sonno profondo, |
un greve truono, sì ch’io mi riscossi | tanto che mi svegliai di soprassalto |
come persona ch’è per forza desta; | come una persona che viene svegliata bruscamente; |
e l’occhio riposato intorno mossi, | e mossi lo sguardo riposato intorno a me, |
dritto levato, e fiso riguardai | dopo essermi alzato in piedi, e guardai attentamente |
per conoscer lo loco dov’io fossi. | per capire in quale luogo mi trovassi. |
Vero è che ‘n su la proda mi trovai | È vero che mi trovai sul bordo |
de la valle d’abisso dolorosa | della valle dell’abisso doloroso |
che ‘ntrono accoglie d’infiniti guai. | che raccoglie come un tuono infiniti lamenti. |
Oscura e profonda era e nebulosa | Era oscura, profonda e nebbiosa |
tanto che, per ficcar lo viso a fondo, | a tal punto che, nonostante sforzassi lo sguardo verso il fondo, |
io non vi discernea alcuna cosa. | non riuscivo a distinguere alcuna cosa. |
«Or discendiam qua giù nel cieco mondo», | «Ora scendiamo quaggiù nel mondo privo di luce», |
cominciò il poeta tutto smorto. | iniziò a dire il poeta (Virgilio) completamente pallido. |
«Io sarò primo, e tu sarai secondo». | «Io andrò per primo, e tu mi seguirai». |
E io, che del color mi fui accorto, | E io, che mi ero accorto del suo pallore, |
dissi: «Come verrò, se tu paventi | dissi: «Come potrò venire, se tu hai paura, |
che suoli al mio dubbiare esser conforto?». | tu che sei solito essere di conforto ai miei dubbi?». |
Ed elli a me: «L’angoscia de le genti | Ed egli mi rispose: «L’angoscia delle persone |
che son qua giù, nel viso mi dipigne | che si trovano quaggiù, dipinge sul mio volto |
quella pietà che tu per tema senti. | quella compassione che tu interpreti come paura. |
Andiam, ché la via lunga ne sospigne». | Andiamo, perché il lungo viaggio ci spinge». |
Così si mise e così mi fé intrare | Così si avviò e così mi fece entrare |
nel primo cerchio che l’abisso cigne. | nel primo cerchio che circonda l’abisso. |
Quivi, secondo che per ascoltare, | Qui, per quanto potevo udire, |
non avea pianto mai che di sospiri | non c’erano pianti ma solo sospiri |
che l’aura etterna facevan tremare; | che facevano tremare l’aria eterna; |
ciò avvenia di duol sanza martìri, | ciò accadeva a causa del dolore senza tormenti fisici, |
ch’avean le turbe, ch’eran molte e grandi, | che provavano le folle, che erano numerose e grandi, |
d’infanti e di femmine e di viri. | di bambini, donne e uomini. |
Lo buon maestro a me: «Tu non dimandi | Il buon maestro mi disse: «Non mi domandi |
che spiriti son questi che tu vedi? | chi sono questi spiriti che vedi? |
Or vo’ che sappi, innanzi che più andi, | Ora voglio che tu sappia, prima di procedere oltre, |
ch’ei non peccaro; e s’elli hanno mercedi, | che essi non peccarono; e se hanno dei meriti, |
non basta, perché non ebber battesmo, | questi non bastano, perché non ricevettero il battesimo, |
ch’è porta de la fede che tu credi; | che è la porta della fede in cui tu credi; |
e s’e’ furon dinanzi al cristianesmo, | e se vissero prima del cristianesimo, |
non adorar debitamente a Dio: | non adorarono Dio nel modo dovuto: |
e di questi cotai son io medesmo. | e tra questi tali ci sono anch’io. |
Per tai difetti, non per altro rio, | Per tali mancanze, non per altre colpe, |
semo perduti, e sol di tanto offesi | siamo perduti, e soltanto in questo consiste la nostra pena: |
che sanza speme vivemo in disio». | che viviamo nel desiderio senza speranza». |
Gran duol mi prese al cor quando lo ‘ntesi, | Un grande dolore mi colpì il cuore quando lo sentii, |
però che gente di molto valore | perché compresi che persone di grande valore |
conobbi che ‘n quel limbo eran sospesi. | erano sospese in quel limbo. |
«Dimmi, maestro mio, dimmi, segnore», | «Dimmi, maestro mio, dimmi, signore», |
comincia’ io per voler esser certo | cominciai io per voler essere certo |
di quella fede che vince ogne errore: | di quella fede che vince ogni errore: |
«uscicci mai alcuno, o per suo merto | «uscì mai qualcuno da qui, o per suo merito |
o per altrui, che poi fosse beato?». | o per merito altrui, che poi diventasse beato?». |
E quei che ‘ntese il mio parlar coverto, | E colui che comprese la mia domanda indiretta, |
rispuose: «Io era nuovo in questo stato, | rispose: «Ero arrivato da poco in questo luogo, |
quando ci vidi venire un possente, | quando vidi venire qui un essere potente, |
con segno di vittoria coronato. | coronato con il segno della vittoria. |
Trasseci l’ombra del primo parente, | Portò via da qui l’ombra del primo progenitore (Adamo), |
d’Abèl suo figlio e quella di Noè, | di Abele suo figlio e quella di Noè, |
di Moïsè legista e ubidente; | di Mosè legislatore e obbediente; |
Abraàm patrïarca e Davìd re, | il patriarca Abramo e il re Davide, |
Israèl con lo padre e co’ suoi nati | Giacobbe (Israele) con suo padre (Isacco) e i suoi figli |
e con Rachele, per cui tanto fé, | e con Rachele, per la quale tanto fece, |
e altri molti, e feceli beati. | e molti altri, e li rese beati. |
E vo’ che sappi che, dinanzi ad essi, | E voglio che tu sappia che, prima di loro, |
spiriti umani non eran salvati». | gli spiriti umani non venivano salvati». |
Non lasciavam l’andar perch’ei dicessi, | Non interrompevamo il nostro cammino mentre lui parlava, |
ma passavam la selva tuttavia, | ma continuavamo ad attraversare la selva, |
la selva, dico, di spiriti spessi. | la selva, intendo, di spiriti fitti. |
Non era lunga ancor la nostra via | Non era ancora lunga la nostra via |
di qua dal sonno, quand’io vidi un foco | da quando mi ero svegliato, quando vidi un fuoco |
ch’emisperio di tenebre vincia. | che vinceva un emisfero di tenebre. |
Di lungi n’eravamo ancora un poco, | Eravamo ancora un po’ lontani, |
ma non sì ch’io non discernessi in parte | ma non tanto che io non potessi discernere in parte |
ch’orrevol gente possedea quel loco. | che gente onorevole occupava quel luogo. |
«O tu ch’onori scïenzïa e arte, | «O tu che onori la scienza e l’arte, |
questi chi son c’hanno cotanta onranza, | chi sono questi che hanno così tanta onorabilità, |
che dal modo de li altri li diparte?». | che li distingue dal modo di essere degli altri?». |
E quelli a me: «L’onrata nominanza | Ed egli a me: «L’onorata fama |
che di lor suona sù ne la tua vita, | che di loro risuona nel mondo dei vivi, |
grazia acquista in ciel che sì li avanza». | ottiene grazia in cielo che così li favorisce». |
Intanto voce fu per me udita: | Nel frattempo udii una voce che diceva: |
«Onorate l’altissimo poeta; | «Onorate l’altissimo poeta; |
l’ombra sua torna, ch’era dipartita». | la sua ombra ritorna, dopo essersene andata». |
Poi che la voce fu restata e queta, | Dopo che la voce si fu fermata e tacque, |
vidi quattro grand’ombre a noi venire: | vidi quattro grandi ombre venire verso di noi: |
sembianz’avevan né trista né lieta. | avevano un’espressione né triste né lieta. |
Lo buon maestro cominciò a dire: | Il buon maestro cominciò a dire: |
«Mira colui con quella spada in mano, | «Guarda colui con quella spada in mano, |
che vien dinanzi ai tre sì come sire: | che viene davanti agli altri tre come un signore: |
quelli è Omero poeta sovrano; | quello è Omero poeta sovrano; |
l’altro è Orazio satiro che vene; | l’altro che viene è Orazio satirico; |
Ovidio è ‘l terzo, e l’ultimo Lucano. | Ovidio è il terzo, e l’ultimo è Lucano. |
Però che ciascun meco si convene | Poiché ciascuno di loro condivide con me |
nel nome che sonò la voce sola, | il nome che fu pronunciato dalla voce da sola, |
fannomi onore, e di ciò fanno bene». | mi fanno onore, e in questo fanno bene». |
Così vid’i’ adunar la bella scola | Così vidi riunirsi la bella scuola |
di quel segnor de l’altissimo canto | di quel signore dal canto sublime |
che sovra li altri com’aquila vola. | che vola sopra gli altri come un’aquila. |
Da ch’ebber ragionato insieme alquanto, | Dopo che ebbero parlato un po’ insieme, |
volsersi a me con salutevol cenno, | si volsero verso di me con un cenno di saluto, |
e ‘l mio maestro sorrise di tanto; | e il mio maestro sorrise di ciò; |
e più d’onore ancora assai mi fenno, | e mi fecero ancora molto più onore, |
ch’e’ sì mi fecer de la loro schiera, | poiché mi accolsero nella loro schiera, |
sì ch’io fui sesto tra cotanto senno. | così che io fui il sesto tra tanto senno. |
Così andammo infino a la lumera, | Così andammo fino alla luce, |
parlando cose che ‘l tacere è bello, | parlando di cose che è bello tacere, |
sì com’era ‘l parlar colà dov’era. | così come era bello parlarne in quel luogo. |
Venimmo al piè d’un nobile castello, | Giungemmo ai piedi di un nobile castello, |
sette volte cerchiato d’alte mura, | circondato da sette alte mura, |
difeso intorno d’un bel fiumicello. | difeso tutt’intorno da un bel ruscello. |
Questo passammo come terra dura; | Attraversammo questo come se fosse terra solida; |
per sette porte intrai con questi savi: | attraverso sette porte entrai con questi sapienti: |
giugnemmo in prato di fresca verdura. | giungemmo in un prato di fresca vegetazione. |
Genti v’eran con occhi tardi e gravi, | C’erano persone con sguardi lenti e profondi, |
di grande autorità ne’ lor sembianti: | di grande autorità nel loro aspetto: |
parlavan rado, con voci soavi. | parlavano raramente, con voci soavi. |
Traemmoci così da l’un de’ canti, | Ci ritirammo così da un lato, |
in loco aperto, luminoso e alto, | in un luogo aperto, luminoso ed elevato, |
sì che veder si potien tutti quanti. | da cui si potevano vedere tutti quanti. |
Colà diritto, sovra ‘l verde smalto, | Là davanti, sul verde prato, |
mi fuor mostrati li spiriti magni, | mi furono mostrati gli spiriti grandi, |
che del vedere in me stesso m’essalto. | e io esulto in me stesso per averli visti. |
I’ vidi Eletra con molti compagni, | Io vidi Elettra con molti compagni, |
tra ‘ quai conobbi Ettòr ed Enea, | tra i quali riconobbi Ettore ed Enea, |
Cesare armato con li occhi grifagni. | Cesare armato con gli occhi da rapace. |
Vidi Cammilla e la Pantasilea; | Vidi Camilla e Pentesilea; |
da l’altra parte vidi ‘l re Latino | dall’altra parte vidi il re Latino |
che con Lavina sua figlia sedea. | che sedeva con Lavinia sua figlia. |
Vidi quel Bruto che cacciò Tarquino, | Vidi quel Bruto che cacciò Tarquinio, |
Lucrezia, Iulia, Marzia e Corniglia; | Lucrezia, Giulia, Marzia e Cornelia; |
e solo, in parte, vidi ‘l Saladino. | e solo, in disparte, vidi il Saladino. |
Poi ch’innalzai un poco più le ciglia, | Poi, alzando un po’ di più lo sguardo, |
vidi ‘l maestro di color che sanno | vidi il maestro di coloro che sanno (Aristotele) |
seder tra filosofica famiglia. | sedere tra una famiglia di filosofi. |
Tutti lo miran, tutti onor li fanno: | Tutti lo guardano, tutti gli rendono onore: |
quivi vid’ïo Socrate e Platone, | qui vidi io Socrate e Platone, |
che ‘nnanzi a li altri più presso li stanno; | che più degli altri gli stanno vicino; |
Democrito che ‘l mondo a caso pone, | Democrito che spiega il mondo con il caso, |
Diogenès, Anassagora e Tale, | Diogene, Anassagora e Talete, |
Empedoclès, Eraclito e Zenone; | Empedocle, Eraclito e Zenone; |
e vidi il buono accoglitor del quale, | e vidi il buon raccoglitore delle qualità (delle erbe), |
Diascoride dico; e vidi Orfeo, | intendo Dioscoride; e vidi Orfeo, |
Tulio e Lino e Seneca morale; | Cicerone e Lino e Seneca morale; |
Euclide geomètra e Tolomeo, | Euclide geometra e Tolomeo, |
Ipocràte, Avicenna e Galieno, | Ippocrate, Avicenna e Galeno, |
Averroìs, che ‘l gran comento feo. | Averroè, che fece il grande commento. |
Io non posso ritrar di tutti a pieno, | Io non posso descrivere tutti compiutamente, |
però che sì mi caccia il lungo tema, | perché il vasto argomento così mi incalza, |
che molte volte al fatto il dir vien meno. | che molte volte le parole non riescono a rendere i fatti. |
La sesta compagnia in due si scema: | Il gruppo di sei si riduce a due: |
per altra via mi mena il savio duca, | per un’altra via mi conduce la saggia guida, |
fuor de la queta, ne l’aura che trema. | fuori dalla quiete, nell’aria che trema. |
E vegno in parte ove non è che luca. | E giungo in un luogo dove non c’è luce. |
Canto 4 Inferno della Divina Commedia: riassunto e spiegazione
Il Canto IV dell’Inferno si apre con Dante che viene risvegliato da un forte tuono, dopo aver perso i sensi alla fine del canto precedente. Ritrovandosi sull’orlo dell’abisso infernale, il poeta osserva la valle oscura e nebbiosa sottostante, descritta come luogo che raccoglie “infiniti guai”. È qui che inizia la discesa nel Limbo, primo cerchio dell’Inferno, guidata da un Virgilio visibilmente pallido.
La narrazione si sviluppa in tre sequenze principali. Nella prima parte (vv. 1-30), Dante nota il pallore di Virgilio e ne chiede la ragione. La guida spiega che non si tratta di paura ma di compassione per le anime che stanno per incontrare. Questa risposta rivela subito la peculiarità del Limbo: un luogo di sofferenza morale piuttosto che di tormenti fisici.
Nella seconda parte (vv. 31-105), entrando nel primo cerchio, Dante percepisce non urla o lamenti, ma sospiri che fanno tremare l’aria eterna. Virgilio spiega la condizione delle anime qui presenti: non peccatori, ma non battezzati o non adoratori del vero Dio. La loro punizione consiste nel “viver in disio sanza speme” – desiderare eternamente senza speranza di realizzazione. In questa sezione Virgilio rivela di appartenere egli stesso a questa categoria di anime.
La terza parte (vv. 106-151) è dedicata all’incontro con i grandi spiriti dell’antichità. Dante scorge in lontananza un “nobile castello” circondato da sette mura (simbolo delle sette arti liberali o delle virtù) e da un fiumicello. Qui incontra i grandi poeti dell’antichità: Omero, Orazio, Ovidio e Lucano, che lo accolgono come “sesto tra cotanto senno”, riconoscendo il suo valore poetico.
All’interno del castello, disposti su un “prato di fresca verdura”, si trovano altri spiriti magni: filosofi come Aristotele (“il maestro di color che sanno”), Socrate e Platone; scienziati come Euclide e Tolomeo; figure mitologiche ed eroi come Ettore ed Enea.
La struttura metrica, in terzine incatenate (ABA BCB CDC…), sostiene l’intero canto con un ritmo solenne e meditativo. I versi iniziali, “Ruppemi l’alto sonno ne la testa / un greve truono, sì ch’io mi riscossi / come persona ch’è per forza desta”, introducono immediatamente il lettore nell’atmosfera disorientata del risveglio di Dante, usando una similitudine efficace per comunicare il suo stato d’animo.
Particolarmente rilevante è il passaggio in cui Virgilio descrive la condizione teologica del Limbo (vv. 33-42): “Or vo’ che sappi, innanzi che più andi, / ch’ei non peccaro; e s’elli hanno mercedi, / non basta, perché non ebber battesmo”. Qui Dante rielabora poeticamente la dottrina teologica medievale, creando una soluzione letteraria al problema della sorte delle anime virtuose.
Il canto si conclude con l’osservazione delle grandi figure storiche e mitologiche, disposte in una sorta di pantheon ideale della cultura classica. Questa rappresentazione evidenzia la tensione tra l’ammirazione di Dante per la sapienza umana e la sua convinzione che, senza la fede cristiana, tale sapienza rimanga incompleta. Il fatto che queste anime dimorino in un nobile castello illuminato, separato dal resto dell’Inferno, sottolinea la loro condizione privilegiata rispetto agli altri dannati, pur nella comune esclusione dalla visione beatifica.
Canto 4 Inferno della Divina Commedia: i personaggi
Nel quarto canto dell’Inferno, Dante presenta una galleria di personaggi di straordinaria importanza che abitano il Limbo, evidenziando il loro ruolo sia narrativo che simbolico nel contesto dell’opera.
Dante personaggio
Il poeta fiorentino si presenta nel Limbo come un osservatore curioso e rispettoso, turbato dalla condizione delle anime che vi dimorano. La sua reazione alla vista dei grandi spiriti del mondo antico manifesta una profonda ammirazione verso la cultura classica. Particolarmente significativo è il momento in cui viene accolto nella “bella scola” dei poeti: “sì ch’io fui sesto tra cotanto senno” (v. 102), affermazione che rivela la sua aspirazione a essere riconosciuto tra i grandi della letteratura.
Virgilio
Il poeta latino, guida di Dante, assume in questo canto un ruolo particolarmente significativo poiché qui risiede la sua stessa anima. Il suo pallore iniziale (“tutto smorto”, v. 14) non è dovuto a paura ma a compassione per le anime del Limbo, di cui egli stesso fa parte. Virgilio rappresenta la ragione umana al massimo del suo splendore, ma anche i suoi limiti: pur essendo un modello di virtù e saggezza, è escluso dalla visione di Dio per essere vissuto prima dell’avvento del cristianesimo.
I grandi poeti dell’antichità
Quattro illustri figure accolgono Dante e Virgilio:
- Omero: descritto come “poeta sovrano” (v. 88), simboleggia l’eccellenza della poesia epica classica
- Orazio: il “satiro” (v. 89), maestro della satira romana
- Ovidio: autore delle “Metamorfosi”, rappresentante della poesia mitologica
- Lucano: poeta epico romano, autore della “Farsalia”
Questa processione rappresenta la continuità della tradizione poetica che Dante intende proseguire e rinnovare nella sua opera.
Gli spiriti magni
Nel “nobile castello” risiedono i grandi spiriti dell’antichità, suddivisi in diversi gruppi:
- Filosofi: con Aristotele che “siede tra filosofica famiglia” (v. 132), circondato da Socrate e Platone
- Scienziati: come Euclide, Tolomeo e Galeno, rappresentanti del sapere scientifico antico
- Eroi ed eroine: tra cui Ettore, Enea ed Elettra, figure dell’epica classica
- Figure storiche: come Cesare “armato con occhi grifagni” (v. 123), simbolo del potere politico e militare
La presenza di queste figure illumina il significato più profondo del canto: pur essendo esclusi dalla beatitudine eterna, questi spiriti godono di un onore speciale per le loro virtù intellettuali e morali, testimoniando così la tensione dantesca tra l’ammirazione per la cultura classica e l’adesione alla dottrina cristiana della salvezza.
Analisi del Canto 4 dell’Inferno: elementi tematici e narrativi
Il Canto 4 dell’Inferno della Divina Commedia rappresenta uno snodo cruciale nel viaggio ultraterreno di Dante, introducendo il Limbo come spazio teologico innovativo. Questo primo cerchio infernale si distingue per la sua particolare condizione: un luogo di sofferenza spirituale piuttosto che fisica, dove le anime sono condannate a un eterno desiderio inappagabile della visione di Dio.
Il tema centrale del canto è la giustizia divina e il suo rapporto con le anime non battezzate. Dante affronta qui un delicato problema teologico: qual è il destino di coloro che, pur essendo virtuosi, non hanno ricevuto il battesimo né conosciuto la fede cristiana? La risposta dantesca è una soluzione poetica che riconosce il valore morale di queste anime pur mantenendo l’inderogabile principio della necessità della fede per la salvezza.
La struttura narrativa del canto si articola in tre momenti principali. Inizialmente, Dante si risveglia confuso dopo aver attraversato l’Acheronte e Virgilio lo introduce al Limbo. Segue l’incontro con i grandi poeti dell’antichità che accolgono Dante come «sesto tra cotanto senno», legittimando così il suo ruolo di poeta. Infine, la visita al «nobile castello» dove dimorano i grandi spiriti del mondo pre-cristiano.
Particolarmente significativo è il dialogo tra cultura classica e cristianesimo. Il «nobile castello» circondato da sette mura (probabile simbolo delle sette arti liberali o delle virtù cardinali e teologali) rappresenta il regno della sapienza umana. All’interno di questo spazio privilegiato, Dante colloca i massimi esponenti del pensiero e dell’arte antica, testimoniando la sua ammirazione per la cultura classica.
La dimensione spaziale assume un forte valore simbolico: il Limbo è descritto come luogo intermedio, né pienamente luminoso come il Paradiso né completamente oscuro come il resto dell’Inferno. Questa condizione liminare riflette lo stato delle anime che vi dimorano, sospese tra il riconoscimento del loro valore e l’impossibilità della loro salvezza.
Il simbolismo architettonico del canto (il castello, le mura, il fiumicello) esprime visivamente la concezione dantesca della ragione umana: nobile e degna di ammirazione, ma insufficiente senza la luce della rivelazione divina. Questa tensione tra razionalità e fede costituisce un elemento narrativo essenziale che si svilupperà lungo tutto il percorso della Commedia.
Figure retoriche nel Canto 4 dell’ Inferno della Divina Commedia
Il Canto 4 dell’Inferno della Divina Commedia si distingue per la ricchezza di figure retoriche che Dante impiega con maestria per rendere più efficace e suggestiva la narrazione del Limbo. L’analisi stilistica rivela un uso sapiente di strumenti espressivi che intensificano l’atmosfera di questo spazio liminale.
Similitudini
Dante apre il canto con una potente similitudine che descrive il suo brusco risveglio:
“Ruppemi l’alto sonno ne la testa / un greve truono, sì ch’io mi riscossi / come persona ch’è per forza desta” (vv. 1-3)
Questa figura comunica immediatamente il disorientamento provato dal poeta, creando un’immagine vivida e familiare al lettore.
Altrettanto significativa è la similitudine che paragona i sospiri delle anime del Limbo al fragore del mare:
“Non avea pianto mai che di sospiri / che l’aura etterna facevan tremare; / ciò avvenia di duol sanza martiri” (vv. 26-28)
Metafore
Il Limbo viene metaforicamente descritto come “mondo cieco” (v. 13), simboleggiando efficacemente l’assenza della luce divina. Il “nobile castello” (v. 106) rappresenta invece la fortezza della sapienza umana, circondata da “sette mura” che alludono alle arti liberali o alle virtù cardinali e teologali.
Antitesi e ossimori
L’intera condizione del Limbo è espressa attraverso una serie di antitesi che ne evidenziano la natura paradossale:
“viver in disio sanza speme” (v. 42) – vivere nel desiderio senza speranza
“sembianz’ avevan né trista né lieta” (v. 84) – aspetto né triste né lieto
Queste contrapposizioni sottolineano lo stato intermedio delle anime nobili, né beate né propriamente dannate.
Perifrasi ed enfasi
Dante utilizza perifrasi eleganti, come “lo bel paese dove ‘l sì suona” (v. 80) per indicare l’Italia. Particolarmente enfatica è l’espressione “sì ch’io fui sesto tra cotanto senno” (v. 102), dove il poeta si annovera con orgoglio tra i grandi sapienti dell’antichità.
Allitterazioni e sonorità
L’allitterazione in “oscura e profonda era e nebulosa” (v. 10) intensifica la sensazione di oscurità attraverso la ripetizione del suono “o”. Numerosi enjambements contribuiscono inoltre a creare un ritmo particolare che enfatizza passaggi significativi.
Sinestesia
Dante fonde sensazioni diverse nella sinestesia “che ‘ntuono accoglie d’infiniti guai” (v. 9), unendo percezioni uditive (“tuono”, “guai”) e visive in un’unica potente immagine dell’abisso infernale.
Queste figure retoriche non sono semplici ornamenti, ma strumenti essenziali attraverso cui Dante trasforma concetti teologici complessi in esperienze sensoriali e intellettuali accessibili, creando quel ponte tra mondo classico e cristianesimo che caratterizza l’intera Commedia.
Temi principali del 4 canto dell’Inferno della Divina Commedia
Il canto 4 dell’Inferno della Divina Commedia presenta diversi temi fondamentali che riflettono la visione teologica e filosofica di Dante Alighieri, offrendo spunti di riflessione che trascendono il contesto medievale.
Il tema della giustizia divina emerge prepotentemente nella rappresentazione del Limbo. Qui Dante affronta un profondo dilemma teologico: come può un Dio giusto condannare anime virtuose che non hanno commesso peccati? La risposta che il poeta offre è complessa e sottile: queste anime non soffrono tormenti fisici, ma vivono in un perpetuo stato di desiderio inappagabile. Il loro “contrappasso” non è materiale ma esistenziale – un “duol sanza martìri” (dolore senza tormenti) che consiste nella consapevolezza di non poter mai contemplare Dio.
La condizione delle anime non battezzate rappresenta un altro tema cruciale. Virgilio spiega a Dante che questi spiriti “non peccaro; e s’elli hanno mercedi, non basta, perché non ebber battesmo”. Questa affermazione riflette la dottrina medievale secondo cui il battesimo è essenziale per la salvezza, anche per coloro che vissero prima di Cristo o non conobbero il cristianesimo.
Tuttavia, la scelta di Dante di collocare questi spiriti in un luogo di dignità relativa suggerisce una visione più sfumata della rigida teologia del suo tempo.
Il valore della sapienza umana viene celebrato attraverso la figura del “nobile castello” dove risiedono i grandi spiriti dell’antichità. Questo spazio privilegiato, circondato da sette mura (possibile riferimento alle sette arti liberali), rappresenta l’eccellenza della ragione umana che, pur non potendo garantire la salvezza eterna, merita comunque rispetto e riconoscimento. Qui Dante evidenzia la tensione tra l’ammirazione per la cultura classica e la convinzione che la fede cristiana sia necessaria per la piena realizzazione dell’esistenza umana.
Il rapporto tra ragione e fede costituisce il fulcro tematico del canto. Virgilio, simbolo della ragione umana, guida Dante attraverso il Limbo, ma allo stesso tempo confessa la propria limitazione: “e di questi cotai son io medesimo”. Questa ammissione sottolinea come la ragione, per quanto nobile, non possa da sola condurre alla beatitudine. Il messaggio implicito è che l’intelletto necessita della grazia divina per trascendere i propri limiti naturali.
Infine, il canto affronta il tema del destino eterno attraverso la contrapposizione tra la condizione dei dannati e quella delle anime del Limbo. La “gente di molto valore” che abita il primo cerchio vive in uno stato di sospensione che non è né gioia né dolore estremo – una condizione che riflette la complessità della giustizia divina e invita il lettore a una riflessione più profonda sui concetti di colpa, virtù e redenzione.
Il Canto 4 dell’Inferno della Divina Commedia in pillole
Struttura e ambientazione
- Collocazione: Primo cerchio infernale (Limbo)
- Condizione delle anime: Sofferenza passiva (desiderio eterno senza speranza)
- Atmosfera: Luogo di sospiri, ma senza tormenti fisici
- Passaggi principali: Risveglio di Dante, discesa nel Limbo, incontro con i poeti, visita al nobile castello
Elementi simbolici
- Nobile castello: Rappresenta la sapienza umana
- Sette mura: Simboleggiano le arti liberali o le virtù morali
- Fiumicello: Separazione tra ignoranza e conoscenza
- Prato verde: Spazio di nobiltà intellettuale
Personaggi fondamentali
Categoria | Figure principali | Significato |
---|---|---|
Guida | Virgilio | Ragione umana e cultura classica |
Poeti | Omero, Orazio, Ovidio, Lucano | Tradizione letteraria pre-cristiana |
Filosofi | Aristotele, Socrate, Platone | Sapienza razionale non illuminata dalla fede |
Figure storiche | Cesare, Ettore, Elettra | Virtù civili e militari |
Figure retoriche rilevanti
- Similitudine: “come persona ch’è per forza desta”
- Metafora: “nel mondo cieco” (l’Inferno)
- Antitesi: “sembianz’ avevan né trista né lieta”
- Perifrasi: “lo bel paese dove ‘l sì suona” (Italia)
Temi centrali
- Teologico: Salvezza e condizione delle anime virtuose non battezzate
- Culturale: Dialogo tra mondo classico e cristianesimo
- Filosofico: Limiti della ragione umana senza fede
- Poetico: Autorappresentazione di Dante nella tradizione letteraria (“sesto tra cotanto senno”)