Filosofia terapeutica e antinomie - Studentville

Filosofia terapeutica e antinomie

Il messaggio finale del Tractatus.

Il messaggio conclusivo del Tractatus ò, in qualche maniera, duplice: per un verso, Wittgenstein sottolinea che il metodo e il contenuto di una riflessione teorica corretta non possono non coincidere col metodo e il contenuto del sapere scientifico, ovvero del sapere che descrive i fatti secondo le regole della logica. Connessi tra loro in un rapporto di isomorfismo (cosa su cui concorda Russell), fatti e proposizioni configurano senza residui il mondo del dicibile. Per un altro verso, Wittgenstein ò il primo ad essere consapevole dell’esistenza di problemi e campi non esprimibili nel modo richiesto da determinati princìpi (quelli che governano la scienza dei fatti e le connessioni logiche) e, correlativamente, del fatto che la filosofia non può ridursi entro l’ambito determinato da tali princìpi. Se ò vero, come asserisce un passo del Tractatus, che ” la totalità  delle proposizioni vere ò la scienza naturale ” (intesa come la scienza dei fatti esistenti), ò anche vero che vi sono molte altre cose oltre alla scienza naturale; anzi, la stessa filosofia ” non ò una delle scienze naturali “. Ma cosa ò, dunque, la filosofia? Essa, secondo Wittgenstein, anzitutto non ò una dottrina, ma ò un’attività : vale a dire che non può (e non deve) esprimere enunciati su fatti (che ò il compito del sapere), ma deve svolgere una certa azione. Quest’ultima ò caratterizzata già  nel Tractatus (e ancora di più lo sarà  negli scritti successivi) dall’essere essenzialmente “negativa” e “terapeutica”: negativa, nel senso che la filosofia deve dire che cosa il pensiero/linguaggio non può fare, denunciando in particolare l’illegittimità  dell’aspirazione della riflessione corretta a cogliere princìpi assoluti, fondamenti oggettivo-totalizzanti, conoscenze meta-fattuali. Terapeutica, nel senso che essa deve, prima di tutto, eliminare false credenze intorno al linguaggio, procedere a quella che viene definita come un’opera di ” chiarificazione logica dei pensieri “, liberare l’uomo da miti e illusioni intorno alle possibilità  del sapere. Questa interpretazione della filosofia (e della scienza) getta tuttavia una luce ambigua e inquietante sulla stessa opera di Wittgenstein: a ben guardare, il Tractatus non contiene quel discorso di pura scienza logico-linguistica che alcuni vollero scorgervi, ma ò invece un’opera di filosofia, o addirittura di “vecchia filosofia”, che parla di questioni non raffigurabili nè mostrabili scientificamente, involgendosi quindi in paradossi e contraddizioni. E in effetti, essa prescrive limiti rigidi all’esercizio dell’analisi teorica, e subito dopo li viola. Asserisce che si possono solo descrivere fatti (e strutture logiche intra- e inter-proposizionali), e subito dopo parla di altro (a cominciare dal linguaggio-mondo); in altri termini, dice cose propriamente indicibili. E Wittgenstein fu il primo a ravvisare la natura intimamente scissa e antinomica della propria opera. Forse, però, volle sperare che essa (evidenziando con la sua stessa contradditorietà  l’impossibilità  del filosofare alla vecchia maniera) avrebbe potuto essere in qualche modo l’ultimo libro di filosofia, aprendo magari una nuova fase del pensiero umano. Quel ch’ò certo ò che nell’ultima pagina del Tractatus (forse la più enigmatica) Wittgenstein decide di offrire al lettore non una sintesi positiva o un messaggio in qualche modo consolatorio, ma un riassunto drammaticamente lacerato dei principali temi del suo pensiero: la necessità  per la filosofia seria di farsi scienza e l’impossibilità  per essa di riconoscervisi compiutamente (la filosofia ” nulla ha a che fare ” con la scienza); la necessità  di percorrere il rigoroso itinerario delle proposizioni dotate di senso, e la scoperta che tale percorso porta non al senso, ma all’insensatezza (alla presa di coscienza dell’esistenza e della rilevanza di tutto ciò che eccede il senso); la celebre, dolorosa e severa precisazione di non parlare delle cose che non si possono dire (dire, cioò, in modo logicamente e linguisticamente corretto) e la vivissima consapevolezza che queste cose indicibili sono tante (e forse sono le più importanti). ” Il metodo corretto della filosofia sarebbe propriamente questo: nulla dire se non ciò che può dirsi: dunque, proposizioni della scienza naturale- dunque qualcosa che con la filosofia non ha nulla a che fare-, e poi, ogni volta che altri voglia dire qualcosa di metafisico, mostrargli che, a certi segni nelle sue proposizioni, egli non ha dato significato alcuno. Questo metodo sarebbe insoddisfacente per l’altro- egli non avrebbe il senso che gli insegniamo filosofia-, eppure esso sarebbe l’unico rigorosamente corretto. Le mie proposizioni illustrano così: colui che mi comprende infine le riconosce insensate, se ò salito per esse- su esse- oltre esse; (Egli deve, per così dire, gettar via la scala dopo che v’ò salito). Egli deve superare queste proposizioni; allora vede rettamente il mondo. Su ciò di cui non si può parlare, si deve tacere. ” (Tractatus, 6. 53-7)

  • Filosofia del 1900

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