Gabriele D'Annunzio: riassunto vita e poetica - StudentVille

Gabriele D'Annunzio: vita, opere e poetica

Approfondimento su uno dei maggiori esponenti della letteratura decadente.

La vita di Gabriele D’Annunzio

Gabriele D’Annunzio nacque nel 1863 a Pescara da una famiglia borghese molto abbiente, e studiò presso una delle scuole più aristocratiche e prestigiose dell’ Italia del tempo, il Collegio Cicognini di Prato. Fu uno dei principali esponenti del Decadentismo. Intellettuale prodigio, esordì a soli sedici anni con il libretto di versi “Primo Vere” che non passò inosservato agli occhi della critica e si trasferì due anni dopo a Roma per frequentarvi l’Università. Abbandonò tuttavia gli studi perché più interessato ai salotti nobili e alto-borghesi che all’istruzione accademica, e acquistò subito notorietà grazie all’attività di produzione di articoli di giornale, di versi, di opere narrative ad alto contenuto erotico e tramite una vita spregiudicata fatta di scandali, avventure galanti, lussi e ripetuti duelli.

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Dopo un primo periodo di vita da “esteta” in cui D’Annunzio, sprezzando le masse e la diffusione della cultura, si circondò di oggetti belli e costosi e tentò di trasformare la propria stessa esistenza in un’opera d’arte, l’artista attraversò un momento di dura crisi all’inizio degli anni Novanta, epoca in cui cominciò ad andare alla ricerca di tematiche e forme espressive nuove. Le trovò nel mito del “superuomo”, approssimativamente ispirato alle teorie filosofiche di Nietzsche e poi approfondito in maniera personale e nuova. La svolta lo spinse a manifestare la propria eccezionalità nel vivere    ( da lui chiamata “vivere inimitabile”) non solo in scelte di tipo estetico, ma anche e soprattutto nell’ideazione e supporto ad attività politiche. Tentò così l’avventura parlamentare nel 1897 come deputato dell’estrema destra, e passò platealmente nel 1900 allo schieramento di sinistra, in linea con quell’ambiguità e irrazionalità tipica della posizione estetizzante e vitalistica che abbracciava.
Nel 1898 decise di riservare parte della propria attività al teatro: ma, a causa dei creditori che non gli davano respiro, si sentì costretto a fuggire dall’Italia nel 1910 e a rifugiarsi in Francia, dove continuò la propria produzione letteraria e teatrale scrivendo anche in lingua francese.
Allo scoppio della I Guerra Mondiale D’Annunzio tornò in patria e intraprese un’intensa campagna interventista, che ebbe notevole influenza sull’opinione pubblica e spinse il Paese all’entrata in guerra. Nel dopoguerra si mise a capo di un gruppo di volontari e marciò trionfalmente sulla piccola cittadina di Fiume, rivendicandone l’appartenenza al popolo italiano e dando voce, con quel gesto, alla disapprovazione e polemica contro la “vittoria mutilata” che il governo aveva accettato alla fine del conflitto. A Fiume il vate instaurò un dominio personale sfidando lo Stato Italiano: scacciato con le armi, strinse rapporti con Mussolini e fu celebrato come Padre della Patria dal fascismo, che però, avendone un po’ paura, lo confinò in una sontuosa villa di Gardone. Fu qui che D’Annunzio visse gli ultimi anni: trasformò la villa in un mausoleo vivente, con suppellettili costose e ricercatissime, statue che lo rappresentavano, lussi e comodità. Qui morì, ormai stanco e malato, all’età di 75 anni. Era il 1938.

Le opere e i temi di Gabriele D’Annunzio

La raccolta poetica d’esordio “Primo Vere” (1879), “ Canto Novo” del 1882 e le novelle di “Terra Vergine” dello stesso anno sono le prime opere di D’Annunzio: influenzate dagli scritti contemporanei di Carducci e Verga, mostrano un’attenzione per la realtà concreta, per la natura solare e per un interesse di tipo quasi panistico, ma presentano visioni cupe e mortuarie in perfetta ottica decadente. “Il libro delle Vergini” (1884), “San Pantaleone” (1886) e “Novelle della Pescara” (1902) si distaccano dall’interesse sociale e documentario del Verismo per inserirsi in una cornice irrazionalista dichiaratamente decadente.

Ben presto D’Annunzio si sposta verso un estetismo che lo porta ad affermare che “Il Verso è tutto” e a vivere come un difensore della bellezza, della pura arte e della sensibilità. Ma con il suo romanzo più famoso, “Il piacere” (1889), questa fiducia nella capacità di giudizio dell’esteta viene decisamente meno. Il vate si rende conto dell’intima debolezza di questa figura che non ha nessuna forza di opposizione contro la borghesia in ascesa e che, abituato all’isolamento sdegnoso contro le masse, non potrà mai cambiare nulla. “Il piacere” ha per protagonista Andrea Sperelli,un esteta che altri non è che il corrispettivo di D’Annunzio stesso: è un giovane aristocratico, colto, sostenitore dell’arte, che come ogni buon esteta vuole costruire la propria vita come si fa con un quadro o una statua. Ma tale intento diviene una forza auto distruttrice per Andrea, che finisce per rimanere triste e solo nella sua sconfitta.

A “Il piacere” segue una fase di incerte sperimentazioni che cercano di distaccarsi il più possibile dall’estetismo. E’ però solo con il “Trionfo della morte” (1894) che l’artista inizia a proporre una nuova figura mitica, seppur ancora non completamente definita: il “superuomo”. Il concetto parte da alcuni aspetti del pensiero di Nietzsche, che vengono però semplificati e forzati entro un diverso sistema di concezioni: anzitutto ci si scaglia contro il conformismo borghese e i principi egualitari colpevoli di livellare e banalizzare la personalità; in secondo luogo si esalta lo spirito vitalistico, ovvero gioioso, energico, pieno, capace di andare contro le convenzioni, i pregiudizi e gli scandali; infine si rifiuta la pietà, la compassione, l’altruismo, che sono visti come retaggio della tradizione cristiana e giudicati ostacolo alla gioia del vivere. La voglia di affermarsi, di celebrare la propria individualità e di creare qualcosa di nuovo si impongono come le caratteristiche di un nuovo uomo, superiore alle masse: il superuomo. Nel “Trionfo della morte” viene abbozzata una figura umana che ricerca un nuovo senso della vita, ma che cede infine alla morte: la vera svolta ideologica si registra solo con “Le vergini delle rocce” del 1895, dove si descrive un eroe sicuro, che procede senza esitazione verso la meta. E’ questo il manifesto politico del Superuomo dannunziano.
Tale nuova linea di personaggi è confermata da “Fuoco”( 1900), “Forse che sì forse che no” (1910) e soprattutto nella produzione teatrale ( una tra tutti, “ Città morta” del 1986).

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