Hegel: Il periodo di Jena - Studentville

Hegel: Il periodo di Jena

Il terzo periodo di Hegel.

Nel 1800 Hegel lascia Francoforte per trasferirsi a Jena. L’anno seguente appare la sua prima pubblicazione filosofica, la Differenza dei sistemi filosofici di Fichte e Schelling. Infatti Schelling, appena venticinquenne, con il suo Sistema dell’idealismo trascendentale (1800) aveva acquistato tanta fama da poter essere contrapposto a Fichte come il nuovo astro della filosofia tedesca. Pur essendo più vecchio di lui di cinque anni, Hegel, appena esordiente sulla scena filosofica, appare ancora un suo fedele seguace, dal momento che il confronto da lui stabilito tra i due filosofi va a tutto vantaggio dell’amico e compagno di Tubinga (anche se non mancano già  in quest’opera gli indizi del futuro distacco). I risultati della filosofia di Fichte appaiono ad Hegel ancora inadeguati, soprattutto per quanto riguarda il problema del rapporto tra soggetto e oggetto. In Fichte l’identità  tra i due termini ò affermata solo soggettivamente, nel senso che l’oggetto, il Non-io, deve essere continuamente ricondotto al soggetto, l’Io, in un processo infinito. Ma, in questo modo, l’oggetto rimane sempre qualcosa di diverso e opposto al soggetto, senza trovare un momento in cui i due elementi si compongano definitivamente in un’unità . Al contrario, in Schelling, l’identità  tra soggetto e oggetto ò determinata oggettivamente, nel senso che egli individua un momento superiore ad entrambi, l’Assoluto, in cui essi sono totalmente unificati. Anche per Hegel, infatti, la del ragione deve cogliere un momento di “indifferenza” (cioò di non-differenza, di unità ) che risolva la fondamentale opposizione di soggetto e oggetto, di infinito e finito e, quindi, tutte le opposizioni particolari che da essa conseguono. L’ del intelletto, invece, che ò la facoltà  dell’analisi e della distinzione, fissa i diversi aspetti della realtà  contrapponendoli rigidamente gli uni agli altri e badando soltanto alla loro “differenza”, senza poter pervenire ad una concezione unitaria del reale. Il merito di aver superato la rigidità  dell’intelletto e della cosiddetta “filosofia della riflessione”, cui soggiacciono ancora Kant e Fichte, ò di Schelling. Ma questa calorosa difesa del vecchio compagno non impedisce a Hegel di lasciare intravedere la strada che lo separerà  da lui. Egli sottolinea, infatti, che la ragione non deve negare completamente la “differenza”, l’opposizione, la non-identità , ma semplicemente impedire che essa venga irrigidita, come fa l’intelletto, in un rapporto irriducibile ad una superiore unità . L’unificazione compiuta dalla ragione ” significa che la ragione si opponga assolutamente all’opposizione e alla limitazione; infatti, la scissione necessaria ò uno dei fattori della vita che si esplica attraverso perpetue opposizioni, e la totalità  non ò possibile nella suprema vitalità  se non come una totalità  che si afferma nella suprema divisione; ma la ragione si oppone all’atto con cui l’intelletto fissa assolutamente la scissione “. In queste parole ò già  contenuta la convinzione di Hegel che l’Assoluto non ò una unità  indifferenziata, come pensava Schelling, bensì una totalità  che, per quanto essenzialmente unitaria, si articola al suo interno in una pluralità  di opposizioni “dialettiche”. Negli Abbozzi di sistema rimasti inediti, Hegel riprende il discorso della unificazione razionale delle determinazioni particolari operate dall’intelletto, demandando questo compito ad una scienza particolare, la logica. Quest’ultima viene qui ancora concepita come una scienza propedeutica, che deve fungere da “introduzione” alla filosofia. Essa ha per oggetto i princìpi e le categorie del pensiero, concepiti però non come determinazioni fisse, che semplicemente si distinguono e si oppongono le une alle altre (come avveniva nella logica tradizionale), bensì come concetti che trapassassero l’uno nell’altro: infatti, la definizione dell’uno rinvia necessariamente a quella del proprio opposto, creando così una superiore unità  concettuale, al quale rimanda a sua volta ad una nuova opposizione e ad una nuova unità . Il pensiero, dunque, non ò qualcosa di statico, ma ò un processo in continuo movimento, nel quale la determinazione di un concetto non ò che una tappa verso la comprensione dell’unità  dell’Assoluto. Ma tale pensiero, e il movimento in cui esso si sviluppa, non hanno una dimensione meramente logica. Essi sono espressione della struttura stessa della realtà  e hanno un carattere espressamente ontologico, oltrechè logico: i concetti esprimono la natura delle cose (e, viceversa, le cose vengono pensate mediante concetti), così come la connessione logica dei concetti esprime l’ordine metafisico attraverso il quale la realtà  si costituisce. Ancora una volta, in questi abbozzi sono delineate le linee essenziali della del dialettica hegeliana, che ò insieme legge del pensiero e legge dell’essere, concepiti essi stessi come i due momenti di un’indissolubile unità . La polemica contro la “filosofia della riflessione”, cioò la polemica contro il pensare fondato sull’intelletto, che non giunge a cogliere la realtà  nella sua unitarietà , continua con il lungo saggio Fede e sapere, che Hegel pubblica sul “Giornale critico della filosofia”, co-diretto con Schelling. L’obiettivo polemico di Hegel sono le filosofie di Kant, Jacobi e Fichte, considerate come altrettante espressioni della “filosofia della riflessione”. Esse sono ancora strettamente legate al soggettivismo proprio della tradizione protestante: come il protestantesimo riconduceva tutto all’interiorità  della coscienza, così il criticismo kantiano, il fideismo di Jacobi e l’idealismo di Fichte (anche se in modi molto diversi ) fanno interamente dipendere il mondo oggettivo dalla riflessione soggettiva. Ma in questo modo essi non riescono a cogliere la realtà  assoluta, che ò qualcosa che va al di là  del soggetto e che può essere conosciuta soltanto ponendosi da un punto di vista superiore all’opposizione soggetto-oggetto. Questo punto di vista ò quello del vero “sapere”, della ragione intesa come pensiero della totalità , per cui l’opposizione (ovvero la negazione di un aspetto particolare da parte del suo opposto) appare non il traguardo finale, ma un momento intermedio per procedere alla comprensione del tutto. Sull’elemento della totalità , considerata stavolta dal punto di vista etico-giuridico, Hegel ritorna anche sul saggio Le maniere di trattare scientificamente il diritto naturale. A una vera comprensione del diritto e dello Stato non sono giunti nè l’empirismo (ad esempio di Hobbes e di Locke) nè il formalismo (di Kant e di Fichte). Il primo, che parte da una concezione individualistica della società , non ò andato al di là  dell’osservazione di una molteplicità  di principi particolari (per esempio, l’identità  hobbesiana di stato di natura e stato di guerra, o l’affermazione lockiana dell’esistenza di diritti naturali); il secondo, pur riuscendo a ricondurre l’intero diritto ad un unico principio universale e a priori (la ragione pura kantiana e l’Io fichtiano), non ha risolto l’opposizione tra la soggettività  di questo principio formale e l’oggettività  del mondo reale in cui il diritto si deve attuare. Ma ogni frantumazione (tra individui o principi particolari) e ogni opposizione irrisolta (tra soggetto e oggetto) scompare se si coglie quella “eticità  organica” in cui consiste la vita di un popolo, nella quale (come Hegel aveva già  detto negli scritti giovanili parlando della città -Stato greca) il punto di vista dell’individuo o del soggetto si amalgama con la vita della comunità  considerata come un tutt’uno. Nell’ethos di un popolo non solo si realizza un principio di unità  (mentre nell’empirismo prevaleva la frantumazione dell’empirismo atomistico), ma tale unità  si manifesta concretamente nell’oggettività  delle istituzioni sociali, politiche e giuridiche, e non soltanto astrattamente nell’a priori di un principio soggettivo (come in Kant e Fichte). Sul piano più strettamente storico-politico il principio della totalità  unitaria ò affermato da Hegel anche nella Costituzione della Germania, che si apre con l’amara constatazione che, dopo le vittorie napoleoniche, ” la Germania non ò più uno Stato “. Per tornare ad essere tale, essa non deve ricercare l’unità  dei costumi, dei sentimenti o della religione (Hegel non ha sensibilità  per la nozione romantica di nazione), nè quella della moneta, del codice o dell’unità  di misura (secondo il nuovo modello di Stato unitario diffuso da Napoleone). Essa deve invece riconquistare la capacità  di fare la guerra come Stato unitario, con un unico esercito ed un unico comando. Così l’ideale filosofico di una totalità  nella quale tutte le componenti trovano una razionale collocazione si traduce nell’aspirazione a una Germania che si proponga come una potente “totalità ” militare.

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