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Heinz von Foerster

Pensiero e vita.

Vita, opere e pensiero Heinz von Foerster ò nato a Vienna nel 1911. Laureatosi in fisica presso l’Istituto di tecnologia dell’Università  di Vienna, ebbe modo di conoscere e frequentare gli esponenti del Circolo di Vienna. Nel 1949 si trasferì negli Stati Uniti, dove divenne curatore delle famose Macy Conferences, una serie di seminari che si rivelarono una delle avventure interdisciplinari più feconde del nostro secolo. Risalgono a quegli anni i suoi interrogativi e i suoi tentativi di risposta sulla natura della vita e su quella della cognizione, che sfociarono in indagini sulla percezione, sulla memoria e sull’apprendimento, in un’ottica che andava talvolta a incontrarsi con alcuni concetti mutuati dalla cibernetica. Nel 1957 fondò il BLC (Biological Computer Laboratory), che divenne luogo di discussione interdisciplinare tra personaggi del calibro di Norbert Wiener, Johann von Neumann, Ross Ashby, Gregory Bateson, Margaret Mead, Claude Shannon e altri. Come egli stesso asserì, “non ho idea di quale sia la mia specializzazione. La mia specialità , forse, ò proprio non avere una disciplina”. Nel 1976 si ritirò in pensione a Pescadero, in California. E’ morto nel 2002. Nonno” dei costruttivisti radicali e fondatore della disciplina da lui stesso battezzata “cibernetica del secondo ordine”, Heinz von aveva frequentato i rappresentanti del Circolo di Vienna, ma non focalizzò mai la propria attività  intellettuale su un singolo settore della fisica o della logica, preferendo il fecondo vagabondare epistemologico che lo avrebbe portato nel corso degli anni a toccare settori della biologia e della teoria dei sistemi complessi, della neuropsicologia e della filosofia del linguaggio. Ma lo scienziato austriaco non era tipo da camminare nel solco degli altri. La cibernetica classica, nata negli anni Quaranta dagli sforzi di Wiener, McCulloch, Pitts, von Neumann e molti altri, era “la cibernetica dei sistemi osservati”, una disciplina che studiava le analogie tra i sistemi di controllo e di comunicazione (kybernòs, in greco antico, ò il timoniere) nelle macchine e nei sistemi viventi. La cibernetica del secondo ordine, inventata da von Foerster e altri scienziati e ricercatori negli anni Settanta, doveva essere la “cibernetica dei sistemi osservanti”, cioò dei sistemi viventi capaci di guardare se stessi, di osservare le proprie osservazioni. Heinz von Foerster prese a prestito concetti e paradigmi che si stavano sviluppando in biologia, in matematica, in fisica come quello di auto-poiesi, ideato da Humberto Maturana e Francisco Varela per distinguere i viventi dai non viventi, o quello di auto-organizzazione, tipica di sistemi complessi nei quali alcuni fenomeni “emergenti” non possono essere previsti, in maniera riduzionistica, partendo soltanto dalla conoscenza degli elementi di base del sistema. Von Foerster usò le novità  epistemologiche sul mercato per costruire una teoria che tentasse di rendere conto dell’auto-referenza, (la caratteristica di alcuni sistemi biologici, per esempio noi umani, di contenere informazioni e conoscenza su se stessi), o l’auto-regolazione, ovvero la capacità  che hanno alcuni sistemi (per esempio le società ) di organizzarsi in base a principi dal basso verso l’alto anzichè soltanto a causa di una pianificazione gerarchica, top-down. àˆ più facile cambiare la società  rendendo i singoli individui competenti e capaci di decidere – sembrava concludere lo scienziato austriaco – che non imponendo dall’alto, come in una repubblica dei saggi, le norme sociali “migliori”. Uno dei contributi importanti di Heinz von Foerster ò il paradossale “principio dell’ordine dal rumore”: in un sistema complesso, il rumore non ò sempre fonte di disordine, ma può invece portare a una crescita di organizzazione. Ma sul portato reale del pensiero dello scienziato austriaco, le opinioni si dividono: considerato da alcuni figura leggendaria e geniale (“il grande Heinz”), von Foerster fu invece ignorato e in alcuni casi duramente criticato da altri scienziati cognitivi, per la posizione epistemologica, che lui stesso, con un certo compiacimento, definiva eretica. Insieme a Ernst von Glaserfeld aveva scritto, infatti, Come ci si inventa, dedicato al racconto di “storie, buone ragioni ed entusiasmi di due responsabili dell’eresia costruttivista” (un libro tradotto e pubblicato in Italia quest’anno dall’editore Odradek). Costruttivista radicale, von Foerster sosteneva che gli oggetti che vediamo e gli eventi che viviamo non sono in realtà  esperienze primarie, fatti oggettivi, ma mere rappresentazioni di relazioni: “Il mondo come le percepiamo” – scrisse – “ò una nostra invenzione”. Uno dei suoi libri più noti si intitola infatti, provocatorio, La verità  ò l’invenzione di un bugiardo. Posizioni che piacquero molto ai costruttivisti, ad alcuni sociologi e filosofi della scienza, a certi cognitivisti, ma che altri psicologi e neurologi, più inclini al realismo epistemologico, considerarono ciarpame fumoso, sofismi di scarsa utilità  scientifica. La realtà  viene dal pensatore austriaco intesa come costruzione del soggetto. Il pensiero di Heinz von Foerster si muove – come abbiamo già  accennato – all’interno del costruttivismo, anche se l’autore rifiuta tale etichetta. Il punto di partenza della sua riflessione ò come sia possibile la conoscenza del mondo che ci circonda, da cui deriva il problema se la nostra conoscenza ci mostri una realtà  già  esistente, indipendente da noi; oppure se tale realtà  sia una nostra costruzione. O, detto con le parole di von Foerster, “ò il mondo la causa primaria e la mia esperienza ne ò la conseguenza, o ò la mia esperienza a essere causa primaria e il mondo la conseguenza? ” (Attraverso gli occhi dell’altro). Inutile dire che von Foerster sostiene saldamente la seconda alternativa. Riallacciandosi al pensiero di Piaget, egli osserva infatti che gli oggetti del mondo vengono costruiti attraverso la nostra attività  nel mondo, essendo il sistema nervoso e quello motorio strettamente dipendenti. In tale prospettiva non si può neppure affermare che il mondo abbia degli oggetti poichè, nel momento in cui si utilizza il termine “mondo, si sta già  compiendo un’inferenza riguardo alla nostra esperienza. Anche le caratteristiche e le proprietà  che si crede risiedano nelle cose si rivelano, in ultima analisi, essere proprietà  dell’osservatore. Von Foerster ci propone come esempio due concetti molto usati nella scienza, il caso e la necessità . Da un punto di vista costruttivista, il concetto di necessità  deriva dalla capacità  di effettuare deduzioni infallibili (come quelle legate all’uso delle leggi scientifiche), mentre il caso deriva dall’incapacità  di effettuare tale tipo di deduzioni (come accade, ad esempio, in tutti i fenomeni in cui ò coinvolta una qualche forma di creatività ). Ciò significa che caso e necessità  riflettono nostre capacità  o incapacità , e che esse non appartengono alla natura (Sistemi che osservano, pag. 200) L’osservatore ò quindi colui che ordina e organizza un mondo costruito dalla sua esperienza: egli ò al tempo stesso il costruttore e l’ordinatore della realtà , colui che stabilisce un ordine tra i tanti possibili; non un ordine qualsiasi, bensì quello a lui più utile e funzionale alle proprie attività . Il passaggio dalla cibernetica di primo ordine a quella di secondo ordine Come muta il rapporto terapeuta-paziente all’interno di una concezione che considera il soggetto come creatore della realtà . Le ricadute nel campo della cibernetica e della psicoterapia. La reintroduzione dell’osservatore, con conseguente perdita di neutralità  e di oggettività , ò il requisito fondamentale per l’epistemologia dei sistemi viventi. Questo mutamento di prospettive provoca conseguenze immediate nel campo dei sistemi cibernetici, con il passaggio da una cibernetica di 1° ordine, che studia le modalità  di funzionamento dei sistemi, considerati separati dall’osservatore, alla cibernetica di 2° ordine, dive viene reintrodotto il ruolo dell’osservatore nella costruzione della realtà  osservata. Le macchine cibernetiche di quest’ultimo tipo non agiscono nel mondo esterno in base ad algoritmi prefissati, dedotti da una realtà  che si presume già  data, bensì costruendo progressivamente una rappresentazione che dipende dall’esito delle precedenti interazioni con il mondo stesso. Le conseguenze dell’applicazione delle idee di Heinz von foerster in ambito psicoterapeutico sono il passaggio da una visione statica e passiva del paziente a una concezione dinamica che concede il massimo spazio a un dialogo bidirezionale, dove ognuno presta grande attenzione alle parole dell’altro, cercando per quanto possibile di porsi nella prospettiva da cui questi muove. Il terapeuta deve far domande a cui il paziente non aveva mai pensato prima. Più ambigue sono le domande, più esse sono aperte, e meglio ò, poichè costringono il paziente a uno sforzo creativo a immaginarsi realtà  e contesti del tutto nuovi, a confrontarsi con essi, uscendo dalla situazione attuale. La verità  e l’invenzione di un bugiardo Questo libro riproduce una conversazione tenutasi nel 1997 tra un giovane giornalista, Bernhard Pà¶rksen dell’ “Hamburger Sonntagsblatt” e il famoso fisico e cibernetico Heinz von Foerster. Personaggio, quest’ultimo, dalla vita e dagli interessi scientifici e teorici molteplici e stratificati: austriaco, nato e cresciuto ai primi del novecento in un ambiente familiare culturalmente ricco e sollecitante, ma poi venuto a contatto con le imprese e i progetti scientifici più creativi e avveniristici ideati, dopo la seconda guerra mondiale, nei fervidi laboratori di ricerca degli Stati Uniti, dove ha insegnato e vive tuttora; fisico e cibernetico, ma anche epistemologo, prestigiatore, pedagogo, filosofo morale. Di questa varietà  di interessi il libro che presentiamo ò testimonianza fedele: si discutono i problemi cardinali della gnoseologia, ma anche le domande più angoscianti sulla responsabilità  etica dell’uomo, le modalità  più produttive di apprendimento umano così come le lezioni epistemologiche che ò possibile trarre dalla cibernetica. Le riflessioni di Foerster, ottimamente stimolate, ò necessario osservarlo subito, dalle domande di Pà¶rksen, ci restituiscono un’immagine del mondo cui noi non siamo forse più avvezzi: in essa gnoseologia, ontologia ed etica sono strettamente legate e tenute insieme. Non c’ò problema gnoseologico che non abbia il suo risvolto etico o pedagogico e, viceversa, non c’ò problema etico che non abbia il suo aspetto gnoseologico. Il cuore delle riflessioni del fisico austriaco ò, tuttavia, la sua tesi gnoseologica, la cui descrizione occupa la prima parte del libro. Egli professa una posizione di radicale soggettivismo conoscitivo, un idealismo della percezione che potrebbe essere avvicinato a Berkeley. A suo giudizio esse est percipi, la realtà  non esiste, nè c’ò qualcosa che possa dirsi oggettivo, giacchè tutto ciò che ò, ò prodotto solo dalla percezione sensibile. Conoscere vuol dire allora “che all’interno del sistema nervoso vengono prodotte connessioni fra differenti sensazioni” (p. 16). Nella nostra vita possiamo essere certi solo del fatto che il nostro organismo percepisce e decodifica stimoli sensibili e non che a provocare questi stimoli sia stato un tale o un tal’altro oggetto esterno. E poichè le sensazioni cambiano non ò possibile neanche parlare degli oggetti da esse rivelati come se fossero degli enti stabili ed immutabili. Gli oggetti sono in continuo divenire. àˆ chiaro, quindi, che una volta che si supponga che il segreto della conoscenza sia la percezione di ogni singolo soggetto, ci si trova in difficoltà  nel poter dimostrare in che modo allora gli uomini riescono ad avere, e a comunicarsele a vicenda, opinioni e concezioni comuni sul mondo. Il solipsismo ò l’abisso che sempre si apre ogni volta che si assumono posizioni radicalmente antirealiste. Foerster ne ò consapevole, tant’ò vero che si ingegna a dimostrare che la realtà  ò sì costruzione, ma costruzione collettiva effettuata attraverso il medium del dialogo. Dialogo che, tuttavia, non gli serve a costruire un livello di realtà  condiviso fra i diversi soggetti senzienti, ma solo a consentire ad ogni soggetto di costruire il suo referente esterno. Dunque, secondo lui, il soggetto non ò solo. Queste indicazioni non ci sembra però che siano risolutive del problema cui facevamo precedentemente cenno: se ogni soggetto dispone, infatti, di una verità  irriducibile a quella di ogni altro soggetto impossibile risulta di fatto l’atto dell’intendersi reciproco, per non parlare del destino che toccherebbe ai concetti, ai significati, etc. La distruzione della verità  ha per lo scienziato austriaco, tuttavia, un immediato e salutare effetto etico: impone ad ogni individuo il rispetto di tutte le visioni e l’assunzione di una forte responsabilità  rispetto a quanto si dice e si fa. Se, inoltre, la realtà  ò costruzione, allora ò valido quello che Foerster chiama imperativo etico: “agisci sempre in maniera che il numero delle possibilità  cresca” (p. 33). Si deve agire, cioò in modo da produrre nuove possibilità  percettive. Possibilità  percettive che possono ampliarsi solo a patto che si amplino la libertà  degli altri individui e delle comunità  umane. Da un princìpio di questo tipo sorgono innumerevoli conseguenze per ciò che riguarda la vita pratica degli uomini. Le prime conseguenze esaminate sono quelle educative: poichè non esiste una verità , ma tante verità  quanti sono gli uomini, allora anche il bambino, l’allievo ha una verità  da insegnare e non solo l’insegnante. Ciò che va quindi abbandonato ò l’idea dell’educazione a senso unico, dall’insegnante all’allievo, che considera l’allievo come puro ricettore di una verità  esistente già  al di fuori di lui. Conseguentemente, anche il ruolo dell’insegnante va riconfigurato: esso deve sempre più identificarsi con quello del ricercatore che stimola gli allievi a elaborare il sapere e a collaborare in un clima di reciproca fiducia. Analogamente, ò da riconfigurare il rapporto fra psicoterapeuta e paziente con problemi psichici. Foerster dimostra convincentemente che alcune malattie psichiche sono tali solo in alcuni ambienti culturali e terapeutici. Ma se molte delle patologie psichiche sono costrutti culturali, allora si devono modificare il significato di malattia e il corrispondente atteggiamento del terapeuta. Il terapeuta deve solo fare in modo che il sofferente sostituisca da sè le rappresentazioni della realtà  che provocano dolore con quelle che producono sensazioni più piacevoli. Non meno profonde sono le correzioni che dovrebbero apportarsi alla scienza del management, al modo di organizzazione delle imprese, se esse si conformassero al criterio della verità  come costruzione: il manager si trasformerebbe da possessore dell’unica verità  ritenuta idonea per la strutturazione dell’impresa a puro collettore delle verità  possedute da tutti i dipendenti dell’impresa stessa. Ma la verità  come costruzione impone notevoli cambiamenti anche alla scienza dell’informazione; ciò che va rovesciato in questa scienza ò il suo schema principale: il rapporto fra emittente e destinatario concepito in modo tale che il destinatario appare come il puro immagazzinatore dei messaggi lanciati dal ricevente. I concetti decisivi all’opera in tutto questo insieme di applicazioni pratiche del princìpio della verità  come costruzione sono per Foerster quelli di autoriflessività , autorganizzazione, circolarità . Ciò che infatti manifesta ciascuna di queste applicazioni pratiche ò la causalità  reciproca e circolare dei vari fattori in essa implicati: l’allievo retroagisce sull’insegnante, il dipendente sul manager, il destinatario sull’emittente etc. E sul concetto di autorganizzazione circolare si fonda anche la cibernetica, di cui egli, lo abbiamo detto, ò stato uno dei più brillanti esponenti. Le riflessioni che Foerster dedica alla cibernetica sono fra le parti più interessanti del libro. Colpisce, soprattutto, il rimando che egli fa, per spiegare i concetti fondamentali della cibernetica, alle categorie aristoteliche di causa finalis e di teleologia interna. Riaffiorano anche, nelle riflessioni del fisico austriaco su questo tema, benchè egli non ne abbia consapevolezza, motivi kantiani ed hegeliani che pareva fossero stati definitivamente espulsi dal seno della scienza moderna. àˆ, quindi, soprattutto da queste pagine e da quelle dedicate alle prospettive della vita pratica che provengono gli stimoli migliori e più intelligenti della riflessione di Foerster. Non così si può dire, invece, a proposito della sua gnoseologia, davvero ingenua, irriflessa e priva del necessario rigore filosofico.

  • Filosofia del 1900

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