Quasi nello stesso tempo in cui si stava sviluppando l’idealismo con Royce, negli Stati Uniti si assistette alla nascita della corrente del pragmatismo, che costituisce il più originale contributo americano alla filosofia novecentesca ed esercita una vasta influenza anche sulla cultura europea: il termine pragmatismo mette in rilievo la tesi fondamentale secondo cui il significato di qualsiasi cosa ò determinato dalla sua rilevanza pratica. L’iniziatore di questa nuova corrente, destinata a grande successo, è Charles Sanders Peirce, anche se egli non tarderà a prendere le distanze dal movimento. Nato a Cambridge nel Massachussetts nell’anno 1839, figlio di un famoso matematico che insegnò fisica e astronomia ad Harvard, tentò con insistenza, senza riuscire, di ripercorrere la carriera accademica paterna. Non ottenne successo neanche nella pubblicazione delle sue opere che, fatta eccezione per alcuni importantissimi articoli, rimasero inedite e uscirono solo quando Peirce era già morto (morì nel 1914 a Milford, in condizione di miseria). Una prima antologia dei suoi scritti apparve, postuma, nel 1923 con il titolo di Caso, amore e logica. Le sue opere sono ora raccolte nei sei volumi della Raccolta di scritti di Ch. S. Peirce (Collected Papers of Ch. S. Peirce), edite negli anni 1931-1935. Il concetto che lega la filosofia di Peirce alla nascita del pragmatismo è quello di credenza, illustrato nei saggi divenuti subito famosi: Il fissarsi della credenza (1877) e Come rendere chiare le nostre idee (1878); quando l’uomo si trova in dubbio, dà il via ad una ‘ricerca’ che deve mettere capo a una credenza, intesa come un’abitudine (habit) che costituisce una regola d’azione. Il significato della credenza risiede infatti completamente nelle sue conseguenze pratiche, cioò nelle azioni che essa comporta come regola di condotta per rispondere ad una determinata situazione di dubbio: due credenze che portino alle medesime azioni sono uguali, anche se possono essere formulate in termini diversi. Il principio secondo il quale il significato delle credenze, o anche dei semplici concetti, è determinato dalle loro conseguenze pratiche sta alla base del pragmatismo, termine che venne introdotto da Peirce stesso all’interno del ‘Club metafisico’, il gruppo di scienziati e filosofi che si riunivano a Cambridge, attorno alla figura di Chauncey Wright, e di cui fece parte anche il filosofo James. Però l’assunto pragmatistico è considerato da Peirce esclusivamente come una ‘teoria del significato’, non come una ‘teoria della verità ‘. In altre parole, se le diverse conseguenze delle credenze servono a distinguere i loro diversi significati, il fatto che una credenza si riveli più efficace di altre, cioò permetta di uscire da una situazione di dubbio meglio di altre, non implica che essa sia anche la più vera. Per prendere le distanze dalla tendenza tipica degli altri pragmatisti a far coincidere l’efficacia con la verità , Peirce rifiuterà successivamente il termine pragmatismo, sostituendolo con quello, “abbastanza brutto da non essere rubato”, di pragmaticismo. Per ‘fissare’, come dice Peirce, la credenza si possono seguire vari metodi: 1) la tenacia di chi si rifiuta di mettere in discussione le proprie idee; 2) l’autorità che esclude le altre opinioni; 3) il metodo a priori o ‘metafisico’ che procede in base al puro ragionamento; e, infine, 4) il metodo scientifico che si basa sul procedimento sperimentale. Se dal punto di vista dell’efficacia tutti questi metodi sono accettabili, considerando le cose dal punto di vista della verità solo il metodo scientifico può essere considerato valido, dato che esso soltanto è capace di riconoscere i propri errori e di correggere a poco a poco se stesso. Solo il metodo scientifico è, come dice Peirce, ‘fallibilista’ e consente pertanto, tramite un processo di progressiva autocorrezione, un graduale avvicinamento alla verità . La chiarezza di un’idea o di una credenza dipende dunque dal fatto che si abbia piena consapevolezza delle conseguenze pratiche che essa comporta: la chiarezza non è dunque il presupposto della ricerca, ma il risultato della ricerca. Alla base del pragmatismo di Peirce vi è dunque il rifiuto di ogni intuizionismo filosofico, per il quale la chiarezza di un’idea è data immediatamente dalla sua evidenza. Per intuizionismo Peirce non intende solo quello di stampo cartesiano o razionalistico in genere: anche l’empirismo tradizionale è un intuizionismo, dal momento che considera i dati dell’esperienza come immediatamente evidenti. Peirce sostiene invece che l’esperienza stessa sia il frutto di un’inferenza: le nostre percezioni non constano della semplice ricezione passiva di un dato, ma comportano un ‘giudizio percettivo’ sui contenuti dell’esperienza. Ad esempio, quando dico che un oggetto è giallo, devo già possedere il concetto di giallo per poterlo applicare al caso particolare, devo cioò formulare un ‘giudizio’, anche se, a differenza dei giudizi intellettuali, esso viene espresso inconsapevolmente. Ma, in fin dei conti, che cosa è l’inferenza per Peirce? Egli distingue tre tipi di inferenza: accanto alle due forme tradizionali della deduzione (che va dal generale al particolare) e dell’induzione (che va dal particolare al generale), Peirce riconosce una terza possibilità : l’abduzione o ‘ragionamento ipotetico’. L’abduzione consiste infatti nel formulare un’ipotesi causale partendo da un effetto dato: ‘Se c’è cenere (effetto), ci deve essere stato un fuoco (causa)’; la validità del ragionamento abduttivo può comunque essere garantita dal metodo sperimentale: solo accendendo un fuoco posso effettivamente appurare se esso genera cenere. L’abduzione coincide dunque con quello ipotetico-sperimentale che caratterizza la scienza moderna da Galileo in poi. Naturalmente le conclusioni cui perviene l’abduzione non sono definitive, ma aprono la strada a nuove ricerche e a nuove conclusioni, secondo il modello di approssimazione progressiva alla verità che caratterizza il metodo scientifico. Il carattere gnoseologico del pragmatismo di Peirce riceve conferma dal suo crescente interesse per le questioni di logica, che lo porta a formulare un’originalissima semiotica, o teoria dei segni, dove per ‘segno’ si deve intendere ogni atto che permetta una comunicazione. Ogni segno implica necessariamente un duplice riferimento: da una parte all’oggetto, che costituisce il significato del segno; dall’altra all’interpretante, cioò al destinatario della comunicazione segnica, che deve capire e, appunto, interpretare il significato del segno. Ad esempio, il termine ‘cavallo’ è un segno riferibile ad un determinato animale solo quando vi sia un persona che, udendo quella parola, coglie quel significato. Ma l’interpretante stesso (e qui sta l’originalità di Peirce) non è che un segno, dato che il pensiero (in base al quale l’interpretante coglie il significato del segno interpretato) non è che una forma di linguaggio: in quanto segno, l’interpretante rimanda a sua volta ad un oggetto e ad un altro interpretante. La conseguenza fondamentale di questa teoria è che ogni cosa ha funzione semiotica e, più precisamente, ogni cosa può svolgere la funzione di segno, oggetto o interpretante a seconda del contesto in cui viene inserita. La logica non è altro che la scienza della interpretazione dei segni, i quali vanno concepiti come relazioni triadiche (Hegel non ò passato invano), in quanto dotati di una qualità materiale (ad esempio la stoffa di cui ò fatta la bandierina che segna il vento), una connessione di fatto con l’oggetto che significano (il movimento della bandierina in relazione alla direzione del vento) e infine un significato, che emerge nell’abito dell’interpretante, cioò in quel comportamento che mette in relazione i primi due caratteri del segno e dice che il primo (la bandierina) ‘significa’ appunto il secondo (la direzione del vento). Così si sviluppa l’abito logico dell’uomo, tramite un’interpretazione illimitata, e l’uomo è a sua volta un segno in un universo di segni: egli coincide con il suo linguaggio. Peirce nutrì anche un profondo interesse per la metafisica e per la teologia, sia pure concepite in maniera assai originale rispetto a quelle tradizionali. I concetti basilari della concezione di Peirce della realtà sono quelli di caso, evoluzione e amore. In concordanza con la sua concezione della fallibilità della scienza, Peirce è del parere che la realtà sia governata non dalla necessità , ma dal caso. Per caso, però, egli intende non il disordine caotico e l’assenza di regolarità (dato che non sarebbe allora possibile l’indagine scientifica, volta a rilevare le grandezze costanti della natura), ma appunto solo la mancanza di una necessità che costringa ogni aspetto della realtà in una totalità ordinata secondo leggi immutabili: a questa concezione Peirce attribuisce il nome di tichismo (dal greco tuch, ‘sorte’, âcasoâ). Ben lontana dall’essere semplice disordine, la realtà presenta una tendenza progressiva verso l’ordine e l’unità : questa tendenza è data dall’evoluzione, in cui è ravvisabile il principio del sinechismo, ossia della continuità tra gli stati precedenti e quelli successivi e, dunque, anche tra la materia (intesa come ‘spirito dormiente’) e le manifestazioni spirituali della realtà . La molla di propulsione dell’evoluzione è l’amore cosmico, che permette di spiegare il processo evolutivo anche in termini teologici, come passaggio dall’assoluto primo (Dio creatore) all’assoluto secondo (Dio rivelato): l’amore cosmico trasforma l’esistenza casuale, cioò il Dio implicito, nell’armonia esplicita della forma eterna realizzata. A questa concezione dell’amore evolutivo, Peirce conferisce il nome di agapismo (dal greco agaph, ‘amore’; in latino charitas). Queste concezioni metafisiche di Peirce, sebbene in secondo piano rispetto a quelle logiche e metodologiche, mostrano la sua stretta dipendenza da una cultura filosofica precedente (già Empedocle e Aristotele avevano parlato dell’amore che muove ogni cosa), ma mettono anche in luce alcune esigenze tipiche dell’atmosfera pragmatistica: combinare il carattere indeterminato della realtà con un principio di ordine e di armonia, garantire l’unità tra mondo della natura e mondo dello spirito, proporre una concezione della vita in cui il progresso futuro è demandato soprattutto all’impegno e alla fratellanza umana.
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