Il marxismo storicistico-dialettico - Studentville

Il marxismo storicistico-dialettico

Il marxismo per Gramsci.

Ma la riflessione gramsciana non mira soltanto a un determinato, pur complesso e ambizioso, obiettivo politico. Non diversamente da quanto aveva fatto Lukà cs, essa mira anche a rivisitare criticamente il marxismo come teoria: e ciò con lo scopo, in primo luogo, di liberarlo dalle incrostazioni positivistiche ed economistiche e di valorizzarne l’ essenza storicistica e dialettica. Solo attraverso questo lavoro di “depurazione” il marxismo potrà , secondo Gramsci, ritrovare la propria ispirazione più profonda e originale, sostenere il confronto con le filosofie più influenti dell’ età  presente (a cominciare da quella idealistica), e diventare così lo strumento teorico-politico rivoluzionario delle classi oppresse. Come Lukà cs, anche Gramsci respinge l’ identificazione del metodo del marxismo coi metodi delle scienze empiriche, perchò ciò lo priverebbe del suo nucleo essenziale, la dialettica. In polemica col filosofo sovietico Bucharin, che aveva presentato il marxismo come una sociologia scientifico- materialistica, Gramsci sostiene che tale sociologia ò la ” filosofia dei non filosofi, un tentativo di descrivere e classificare schematicamente fatti storici e politici, secondo criteri costruiti sul modello delle scienze naturali “. Alla base della sociologia c’ ò secondo Gramsci, un ” evoluzionismo volgare ” che ” non può conoscere il principio dialettico col suo passaggio dalla quantità  alla qualità , passaggio che turba ogni evoluzione e ogni legge di uniformità  intesa in senso volgarmente evoluzionistico “. E invero la sociologia, e più in generale le scienze empirico-naturali, studiano i fenomeni come dati puramente quantitativi e omogenei, connessi tra loro da legami causali e necessari (sicchò l’ effetto non può mai “superare” la causa). In tal modo esse si vietano a priori di comprendere adeguatamente il mondo umano-sociale. Quest’ ultimo per Gramsci, va concepito in effetti non come un inerte insieme di eventi concatenati deterministicamente l’ uno all’ altro, bensì come un vivente sviluppo storico-dinamico dotato di un suo senso e di una sua direzione. Ora, l’ unico modo e strumento teorico per comprendere la realtà  come sviluppo storico ò il modo/strumento dialettico. Solo la dialettica, a ben guardare, ò in grado di cogliere unitariamente l’ orizzonte complesso (la “totalità “) in cui si inscrivono gli eventi umani, e al cui interno soltanto essi acquistano il loro significato. Solo essa, inoltre ò capace di cogliere il movimento, la natura processuale ed autotrasformatrice di questa “totalità “. E non basta. Nella misura in cui la dialettica evidenzia per un verso il senso (il senso anche politico) delle vicende umane e per un altro la non-assolutezza, la storicità  di queste ultime, essa sollecita l’ uomo a congiungere all’ analisi puramente cognitiva del mondo una presa di posizione pratica: la presa di posizione di chi vuole (e, insieme, ritiene possibile) trasformare tali vicende. Sotto questo profilo, la dialettica si configura non solo come una certa metodologia di indagine della realtà  umana, e neppure come il mero superamento di una concezione naturalistico-meccanicistica di tale realtà , bensì anche come la precondizione di quel nesso di teoria e prassi, di conoscenza e azione che anche per Gramsci (come già  per Lukà cs) ò il principio più prezioso del marxismo. Risoluto critico di ogni interpretazione positivistico-evoluzionistica del marxismo, Gramsci ò avversario non meno radicale di una sua lettura in chiave strettamente materialistica, o ” materialistico-volgare “. Se accetta la definizione canonica del marxismo come “materialismo storico”, sottolinea però con forza la necessità  di ” posare l’ accento sul secondo termine ‘storico’ e non sul primo, di origine metafisica “. Si noti: per Gramsci il materialismo ò essenzialmente “metafisica”. Anche la distinzione fra soggetto e oggetto e la correlata affermazione della “realtà  oggettiva” del mondo esterno sono per lui mere affermazioni del senso comune, che questo ha ereditato dalla religione (secondo la quale ò indubitabile che l’ uomo ‘trova’ un mondo già  dato e creato da Dio). In verità , avverte Gramsci, per una filosofia laica e moderna ” oggettivo significa sempre ‘umanamente soggettivo’, ciò che non può non corrispondere esattamente a ‘storicamente soggettivo’ “. In altri termini, se nell’ ottica del materialismo e del realismo metafisico “oggettivi” significa un’ oggettività  che esiste al di fuori dell’ uomo, per il marxismo, invece, la realtà  esiste e può essere conosciuta solo in rapporto all’ uomo. In questa prospettiva Gramsci giunge a vedere una connessione tra l’ affermazione idealistica che la realtà  ò una creazione dello spirito umano e la concezione marxista del mondo: nel senso che anche per il marxismo non esiste il mondo in sè, ma esiste la coscienza umana del mondo, esiste una certa consapevolezza che gli uomini hanno delle situazioni e delle strutture nelle quali operano. Se questo ò vero, allora va detto che il marxismo può e deve sostituire ” la concezione della realtà  oggettiva del mondo esterno nella sua forma più triviale e acritica ” con una concezione più elevata e sofisticata. Qual’ ò questa concezione? Qual’ ò la corretta interpretazione della realtà ? La filosofia per Gramsci risponde a questo duplice quesito in modo assai preciso. In primo luogo la realtà  di cui il marxista deve occuparsi ò essenzialmente la realtà  umana, oppure la realtà  naturale in quanto esperita/trasformata dall’ uomo. In secondo luogo, di tale realtà  occorre rilevare e valorizzare anzitutto la sua natura di “sistema”, di “totalità “. Guidato da una razionalità  profonda, l’ universo sociale tende per Gramsci a inverare i fenomeni particolari in strutture sempre più complesse, sempre più consapevoli delle proprie leggi e delle proprie contraddizioni. Il primo ispiratore di tale concezione (e, insieme, della particolare versione gramsciana del marxismo) ò Hegel. Sotto più profili, Gramsci ò (con Gentile e Croce) uno dei più significativi esponenti italiani della rinascita dell’ hegelismo che ha avuto luogo in Europa nel primo terzo del Novecento. Non diversamente da Lukà cs, anch’ egli insiste sulla sostanziale continuità  tra il pensiero di Hegel e la dottrina marxiana e marxista. Grazie alla dottrina hegeliana, egli scrive, ” si riesce a comprendere cos’ ò la realtà  [… ]. In un certo senso, la filosofia della prassi (= il marxismo) ò una riforma e uno sviluppo dello hegelismo, ò una filosofia liberata (o che cerca di liberarsi) da ogni elemento ideologico unilaterale e fanatico, ò la coscienza piena delle contraddizioni del mondo “. A Hegel e alla tradizione dialettica (della quale Marx ò l’ interprete più valido) va inoltre attribuito, per Gramsci, il merito di aver concepito il reale come movimento e come processo. Tale processo ò la storia, di cui la dialettica costituisce in qualche modo la legge. Se la storia e la dialettica sono senza dubbio uno dei temi della riflessione gramsciana, ò però anche vero che Gramsci non intende assolutamente farne (rispettivamente) una realtà  e una norma necessarie-trascendenti. In effetti, l’ unica realtà  effettiva ò rappresentata per lui solo dai soggetti umani. Solo il loro concreto impegno, la loro concreta attività  promuovono il cammino storico e il progresso sociale. Per questo al centro del pensiero gramsciano si colloca non tanto (hegelianamente) la logica del reale e neppure (marxianamente) la dinamica oggettiva delle contraddizioni economico-sociali, bensì (umanisticamente) l’ opera di quelli che vengono chiamati gli ” omini reali “: coi loro bisogni e i loro progetti, i loro conflitti e le loro iniziative.

  • Filosofia del 1900

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