La prassi e il rapporto con Croce - Studentville

La prassi e il rapporto con Croce

Gramsci e Croce.

Il concetto che esprime nel modo più diretto la prospettiva “umanistica” e “attivistica” della fiosofia gramsciana ò quello di “prassi”. La sua origine ò rintracciabile nell’ opera di Antonio Labriola, il quale con questa nozione si era proposto di superare criticamente le concezioni da un lato idealistiche e coscienzalistiche, dall’ altro naturalistiche e positivistiche dell’ umano e del sociale. Per quanto riguarda Gramsci, egli intende sviluppare e approfondire un programma teorico per più versi analogo a quello labriolano. Nel suo pensiero la prassi si configura, in qualche misura, come una mediazione tra gli uomini e la realtà  in quanto natura ed esperienza e in quanto complesso di tradizioni e istituzioni. La prassi ò, infatti, la maniera in cui gli agenti storico-sociali conoscono e trasformano il mondo impegnando le loro cognizioni ed energie e tenendo conto del contesto concreto in cui operano. E’ inoltre, attraverso la prassi che ( a parte subiecti ) gli uomini realizzano la loro crescita ed emancipazione sociale, e che ( a parte obiecti ) la storia procede nel suo travagliato itinerario. In conclusione, l’ essenza più originale e profonda della filosofia gramsciana sembra costruita dal quadruplice tema dell’ assenza di fondamenti trascendenti l’ operare umano (immanentismo), della necessità  di concepire la struttura sociale in modo storico-concreto (antispeculativismo), della centralità  degli uomini come soggetti, valori e motori del cammino storico (umanesimo) e della radicale storicità  delle situazioni pratiche e delle dottrine intellettuali (ivi compreso lo stesso marxismo). ” La filosofia della praxis deriva certamente dalla concezione immanentistica della realtà , ma da essa in quanto depurata da ogni aroma speculativo e ridotta a pura storia o storicità  o a puro umanesimo. Se il concetto di struttura viene concepito ‘speculativamente’ certo esso diventa un ‘dio ascoso’; ma appunto esso non deve essere concepito speculativamente ma storicamente, come l’ insieme dei rapporti sociali in cui gli uomini reali si muovono e operano. La filosofia della praxis ò la concezione storicistica della realtà  che si ò liberata di ogni residuo di trascendenza e di teologia. ” (Quaderni del carcere, IX, 1, VIII). Un cenno a parte merita, infine, la posizione assunta da Gramsci nei confronti di Croce: e ciò sia per i consensi, sia per i dissensi espressi verso una filosofia di cui il pensatore sardo colse assai bene l’ importanza teorica e le ragioni del successo storico. Per Gramsci il motivo più sostanziale della grande diffusione e popolarità  delle concezioni di Croce ò ” intrinseco al suo stesso pensiero e al metodo del suo pensare “, ed ò da ricercare ” nella maggiore adesione alla vita della filosofia del Croce che di qualsiasi altra filosofia speculativa “. Rispetto a quelle dei filosofi “tradizionali”, infatti, le principali caratteristiche della dottrina crociana sono, secondo Gramsci, le seguenti: ” dissoluzione del concetto di ‘sistema’ chiuso e definito e quindi pedantesco e astruso in filosofia: affermazione che la filosofia deve risolvere i problemi che il processo storico nel suo svolgimento presenta volta a volta “. In questa adesione della filosofia crociana alla vita e alla storia, nella sua lotta contro la trascendenza e la teologia, Gramsci individua il forte influsso esercitato su Croce dalla “filosofia della prassi”. Non ò un caso, sottolinea Gramsci, che quando andava gettando le basi della propria concezione Croce avesse assunto verso il marxismo un atteggiamento tutt’ altro che negativo. Egli aveva scorto in esso, in particolare, un fecondo canone empirico per l’ interpretazione della storia. Inoltre, aveva giudicato la teoria del valore-lavoro il risultato di un paragone ‘ellittico’ fra un’ astratta società  lavoratrice e la società  borghese moderna: ma non aveva negato qualsiasi valore a quel paragone, ammettendo anzi che costituiva un notevole contributo ad un’ economia sociologica comparata. Infine aveva ricavato dalla filosofia della prassi alcune tesi di fondamentale importanza: dalla dottrina dell’ origine pratica dell’ errore (” l’ errore del Croce ò l’ illusione dei filosofi della prassi “) alla concezione delle ideologie politiche considerate costruzioni pratiche e strumenti di direzione politica. Senonchò Croce, secondo Gramsci, ha poi inserito tutti questi elementi realistici all’ interno di una dottrina ‘speculativa’ (nel senso negativo del termine) che costituisce un grave arretramento non solo rispetto alla filosofia della prassi, ma anche rispetto allo stesso hegelismo. Anzi la concezione di Croce costituisce per Gramsci una sorta di ” hegelismo mutilato ” in quanto stravolge, ‘addomesticandola’ la dialettica hegeliana: ” L’ errore filosofico (di origine pratica!) di tale concezione consiste in ciò, che nel processo dialettico si presuppone ‘meccanicamente’ che la tesi debba essere ‘conservata’ dall’ antitesi per non distruggere il processo stesso, che pertanto viene ‘preveduto’, come una ripetizione all’ infinito, meccanica, arbitrariamente prefissata. In realtà  si tratta di uno dei tanti modi di ‘mettere le brache al mondo’, una delle tante forme di razionalismo antistoricistico. La concezione hegeliana, pur nelle sua forma speculativa, non consente tali addomesticamenti e costrizioni mutilatrici. ” (Quaderni del carcere, X, 1, VI).

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