Kant: critica della ragion pratica - Studentville

Kant: critica della ragion pratica

Commento dell'opera.

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Commento de la critica della ragion pratica “La Ragion Pura deve attenersi al sensibile, la Ragion Pratica deve astenersene!” La ragion pratica consiste nella capacità di determinare la volontà e l’azione morale senza l’ausilio della sensibilità. Lo scopo della “Critica della Ragion Pratica” è quello di criticare la ragion pratica che pretende di restare sempre legata solo all’esperienza. La ragion pratica empirica non può, da sola, determinare la volontà; vi è quindi il recupero della sfera “noumenica” inaccessibile teoreticamente, ma accessibile “praticamente”. Quanto appena detto mostra la capacità della Ragione di farsi “pratica” per l’azione. Tesi fondamentali Fondamento dell’etica = c’è una legge morale con valore universale (tale affermazione è immediatamente evidente: è un “fatto della ragione”) 1. La legge morale è universale, quindi non può essere ricavata dall’esperienza: è “a priori”. (La ragione è sufficiente “da sola” – senza impulsi sensibili – a muovere la volontà) 2. La legge morale è “razionale” nel senso che deve valere per l’uomo in quanto essere ragionevole (non solo perché conosciuta dalla ragione) 3. La legge morale non è un’esigenza che l’uomo segue per necessità di natura; quindi deve essere un “imperativo” (cioè è una necessità oggettiva dell’azione; tale principio pratico è valido per tutti). 4. Vi sono due tipi di imperativo: – Imperativo ipotetico = subordina il comando dell’azione da compiere al conseguimento di uno scopo (es.: “Se vuoi essere promosso devi studiare”). Tali imperativi sono oggettivi solo per tutti coloro che si propongono quel fine; da tali imperativi derivano l’edonismo e l’utilitarismo. – Imperativo categorico = comanda l’azione in se stessa (es.: “Devi perché devi”). La norma morale deve essere un imperativo categorico, cioè la tendenza ad un fine deve essere comandata da una legge morale. 5. La legge morale è un “imperativo categorico” (anzi, leggi morali sono “solo” gli imperativi categorici), quindi il suo valore non dipende dal suo contenuto, ma dalla sua “forma” di legge; la sua “forma” di legge è l'”universalità” (devi perché devi). L’imperativo categorico può essere formulato così: “Agisci in modo che la massima della tua azione (soggettiva) possa diventare legge universale (oggettiva)” “La nostra moralità dipende non dalle cose che vogliamo, ma dal principio per cui le vogliamo”; principio della moralità non è il contenuto, ma la “forma”: è questo il “formalismo” kantiano. 6. Il Bene è ciò che è comandato dalla legge morale. La legge morale non dice: “fa’ il bene”, ma “segui la legge morale”. Non è morale ciò che si fa, ma l’intenzione con cui lo si fa; la legge morale è “morale” perché mi comanda in quanto legge. 7. La legge morale deve avere valore per se stessa; la volontà è autonoma, ossia dà a sé la sua legge. Vi è quindi assoluta autonomia della volontà nel suo auto-determinarsi. Tutte le morali che si fondano sui “contenuti” compromettono l’autonomia della volontà: “l’unico principio della moralità consiste nella indipendenza da ogni materia della legge”. Non si deve agire per la felicità, ma unicamente per il puro dovere (è il rovesciamento dell’etica eudaimonistica). 8. Chi deve fare una cosa, deve poterla fare: devi, dunque puoi; puoi perché devi. Se la volontà ragionevole dà a sé la sua legge, vuol dire che non la riceve da altri, ossia che è libera. Il “darsi” un dovere implica la “libertà”; la condizione perché sia possibile un imperativo categorico è che la volontà sia libera. 9. La libertà è postulata dal carattere formale della legge: prima conosciamo la legge morale, poi inferiamo da essa la libertà come suo fondamento. o Legge morale = “ratio cognoscendi” della libertà o Libertà = “ratio essendi” della legge morale 10. È così avvenuto il recupero del mondo noumenico che sfuggiva alla “ragion pura”; là, il mondo noumenico era presente solo come esigenza ideale, era (segue nel file da scaricare)

  • Filosofia

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