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La gaia scienza

Commento dell'opera.

E’ qualcosa di nuovo, di piacevolmente nuovo rispetto alle opere precedenti. Nietzsche ha recuperato la salute ed esprime nel suo scritto una visione matura del mondo umano, un distacco composto. Il tema dominante dell’opera: “la sfera della conoscenza deve essere unita a quella della gioia”. Egli polemizza contro i filosofi che, da Platone in poi, hanno congiunto la conoscenza con la repressione degli istinti naturali, con l’astrazione dal mondo sensibile o addirittura con la condanna dell’esistenza. Vi è una radicale critica in generale del pensiero scientifico, cui viene rimproverato il tentativo di spiegare tutto col nesso di causa ed effetto. Questo tipo di spiegazione ci consente di descrivere meglio il divenire nella successione delle sue immagini, ma non ce lo fa comprendere nei suoi aspetti qualitativi e per di più frammenta il flusso dell’accadere in elementi isolati; ed ecco che possiamo spiegare il singolare titolo dell’opera: la scienza moderna, a parere di Nietzsche, come accennavamo è soltanto la forma più recente e nobile dell’ideale ascetico, essa ha ancora fiducia nelle verità  come valore in sé, superiore ad ogni altro e, quindi, non è in grado di contrastare questo ideale.

E’ tuttavia possibile quella che Nietzsche definisce gaia scienza, che si rivolge ai senzapatria, figli dell’avvenire e a disagio nel proprio tempo, amanti del pericolo e dell’avventura, avversi a ogni ideale, i quali non hanno intenzione di regredire ad alcun passato né lavorare per il progresso, ossia per l’affermarsi dell’uguaglianza e della concordia tra gli uomini. Per raggiungere questo stato di gaiezza bisogna abbandonare la morale corrente, porsi liberi al di là  del bene e del male e quindi staccarsi da parecchie cose, ma per far questo occorre acquisire una condizione di leggerezza: e Nietzsche paragona questo stato a quello della “danza”. La prima domanda che è bene porsi per costruire una gaia scienza è se i cosiddetti valori morali siano segno di impoverimento o di pienezza della vita. Ma è radicale anche la critica mossa alla religione: Avete sentito di quell’uomo folle che accese una lanterna alla chiara luce del mattino, corse al mercato e si mise a gridare incessantemente: “Cerco Dio! Cerco Dio!”? – E poichè proprio là  si trovano raccolti molti di quelli che non credevano in Dio, suscitò grandi risa. “Si ò forse perduto? ” disse uno. “Si ò smarrito come un bambino”? fece un altro. “Oppure sta ben nascosto? Ha paura di noi? Si ò imbarcato? E’ emigrato? ” gridavano e ridevano in una gran confusione. L’uomo folle balzò in mezzo a loro e li trapassò con i suoi sguardi: “Dove se n’ò andato Dio? ” gridò “ve lo voglio dire! L’abbiamo ucciso – voi e io! Siamo noi tutti i suoi assassini! Ma come abbiamo fatto? [… ] Dio ò morto! Dio resta morto! E noi lo abbiamo ucciso. Si vede che anche la scienza riposa su una fede, che non esiste affatto una scienza “scevra di presupposti”. La domanda se sia necessaria la verità , non soltanto deve avere avuto già  in precedenza risposta affermativa, ma deve averla avuta in grado tale da mettere quivi in evidenza il principio, la fede, la convinzione che “niente ò più necessario della verità  e che in rapporto a essa tutto il resto ha soltanto un valore di secondo piano”. Questa incondizionata volontà  di verità , che cos’ò dunque? [… ] Ebbene, si sarà  compreso dove voglio arrivare, vale a dire che ò pur sempre una fede metafisica quella su cui riposa la nostra fede nella scienza; che anche noi, uomini della conoscenza di oggi, noi atei e antimetafisici, continuiamo a prendere anche il nostro fuoco dall’incendio che una fede millenaria ha acceso, quella fede cristiana che era anche la fede di Platone, per cui Dio ò la verità  e la verità  ò divina… Ma come ò possibile, se proprio questo diventa sempre più incredibile, se niente più si rivela divino salvo l’errore, la cecità , la menzogna, se Dio stesso si rivela come la nostra più lunga menzogna? Ed ecco che nell’agosto del 1881, in Engadina, “6000 piedi al di là  dell’uomo e del tempo”, Nietzsche ebbe la folgorazione dell’eterno ritorno, il vero mistero filosofico della sua vita. Ed è di questo periodo l’elaborazione del testo che stiamo prendendo in esame, la “Gaia scienza”, libro che “rivela da cento segni la prossimità  di qualcosa di incomparabile”. Qui lo stile di Nietzsche sembra raggiungere la sua perfezione: all’implacabile spirito indagatore, a cui già  si dovevano “Umano, troppo umano” e “Aurora”, si associa ora quello spirito della danza che attendeva di presentarsi nella figura di Zarathustra, il quale diceva in continuazione “potrei credere solo in un Dio che sapesse danzare”. Così la scienza diventa gaia, e già  nel titolo si offre il richiamo a “quella unità  di cantore, cavaliere e spirito libero che differenzia quella meravigliosa e precoce civiltà  dei Provenzali da tutte le civiltà  equivoche”. E insieme ora si afferma definitivamente in Nietzsche quella “riabilitazione dell’apparenza” che segnerà  l’ultima fase del suo pensiero. Tutte le tensioni laceranti che sfoceranno nella follia sono già  presenti in queste pagine, ma ancora sovranamente dominate: e con quanta saggezza e con che spirito profetico egli prevedeva l’affermarsi del nichilismo, la perdita definitiva di tutti i valori tradizionali, primo fra tutti il Cristianesimo, cancro dell’universo! Sicchò per un lettore che voglia avvicinarsi all’opera di Nietzsche, il folgorante profeta del superuomo, forse questo è libro è il più consigliabile: muovendosi fra le sue pagine ripercorrerà  quel labirinto che Nietzsche è stato. Il libro si avvia con la constatazione da parte del filosofo che tutti gli uomini in ultima istanza fanno quel che giova alla conservazione della specie umana, agendo mossi non tanto da un sentimento sublime, quanto piuttosto da un puro e semplice istinto. Molti hanno cercato e molti in futuro cercheranno di trovare un senso razionale alla vita, chiedendosi il perchò e provando a trovare una spiegazione. Ma la cosa più importante è imparare ad apprezzare la vita, senza mai perdere il senso della terra, annebbiati da eventuali vite ultraterrene! Ed ecco che Nietzsche constata amaramente che ai più manca la coscienza intellettuale, e che esigendola si finisce per essere in città  popolose come deserti! E qui Nietzsche ne approfitta per riprendere la distinzione a lui cara tra nobile e volgare, asserendo comunque che fino ad oggi a permettere la conservazione della razza umana sono sempre state le persone più vigorose ecattive: e qui la mente del lettore può soffermarsi sulla figura del Duca Valentino, verso il quale in più occasioni Nietzsche dimostra simpatia. E l’errore della specie umana consiste proprio nell’aver voluto trovare un perchò ad ogni cosa, nel tentativo di razionalizzare tutto, facendo morire il senso del tragico presente fino ad Eschilo e a Sofocle, massimi esponenti della tragedia greca. E’ a partire da Euripide che si è avviato questo esasperato processo di razionalizzazione che ha portato in trionfo il dio Apollo, il solare dio della razionalità , a discapito di Dionisio, il notturno Dio dei festini e della tragedia. Ma in fin dei conti che spiegazione razionale vi potrà  mai essere nel vivere? Che cosa significa vivere? Nietzsche prova a dare una sua spiegazione: Che significa vivere? Vivere-ecco quel che significa: respingere da sò senza tregua qualcosa che vuole morire; vivere- vuol dire essere crudeli e spietati contro tutto ciò che sta diventando debole e vecchio in noi. Vivere-vuol dire: essere senza pietà  per i moribondi, i miserabili e i vecchi? Essere sempre di nuovo assassini? Eppure il vecchio Mosò ha detto: “Non uccidere!” Ma la grande e aspra polemica che Nietzsche muove nell’opera è indirizzata alla scienza, che facilmente conduce all’adorazione della verità  oggettiva, rende l’uomo schiavo dell’oggettività  esterna, e contrapposta alla vita. Ma in realtà  non ci sono dati, fatti oggettivi (antipositivisticamente), ma solo interpretazioni: “Si vede che anche la scienza riposa su una fede, che non esiste affatto una scienza “scevra di presupposti”. La domanda se sia necessaria la verità , non soltanto deve avere avuto già  in precedenza risposta affermativa, ma deve averla avuta in grado tale da mettere quivi in evidenza il principio, la fede, la convinzione che “niente ò più necessario della verità  e che in rapporto a essa tutto il resto ha soltanto un valore di secondo piano”. Questa incondizionata volontà  di verità , che cos’ò dunque? [… ] Ebbene, si sarà  compreso dove voglio arrivare, vale a dire che ò pur sempre una fede metafisica quella su cui riposa la nostra fede nella scienza; che anche noi, uomini della conoscenza di oggi, noi atei e antimetafisici, continuiamo a prendere anche il nostro fuoco dall’incendio che una fede millenaria ha acceso, quella fede cristiana che era anche la fede di Platone, per cui Dio ò verità  e la verità  ò divina… Ma come ò possibile, se proprio questo diventa sempre plu incredibile, se niente più si rivela divino salvo I’errore, la cecità , la menzogna, se Dio stesso si rivela come la nostra più lunga menzogna? “(La gaia scienza, 344). E Nietzsche, ancora, denuncia lo schematismo degli scientisti, che non si accorgono della polimorfia del reale, pretendendo di ricondurlo a pochi princìpi meccanici. “Il vostro amore per la realtà , oh, è un antico, antichissimo “amore”!In ogni percezione, in ogni impressione sensibile c’è un frammento di questo vecchio amore [… ] Ecco laggiù una montagna! Ecco una nuvola! Ma che cosa è poi reale? Tirate via da tutto questo, voi sobri, il fantasma e l’insieme degli ingredienti umani! [… ] Per noi non ci sono realtà – e nemmeno per voi sobri-e non siamo affatto così lontani gli uni dagli altri come pensate e forse la nostra buona volontà  di tirarci fuori dall’ebbrezza è altrettanto rispettabile quanto la vostra convinzione d’essere del tutto incapaci d’ebbrezza”: qui prorompe tutto il nichilismo nietzscheiano, con un vigore straordinario: che senso ha parlare di realtà ? Questa è la domanda che sta sullo sfondo di tutta la sua filosofia. Ma destinataria delle sue critiche non è solo la scienza, che Nietzsche definisce beffardamente gaia, ma la fede in Dio, più precisamente nel Dio cristiano, a suo avviso morto ucciso dagli uomini. Nietzsche è indubbiamente il più radicale ateo della storia della filosofia. Per lui infatti Dio in quanto tale si oppone all’uomo: deve morire, affinchò l’uomo viva: non c’è spazio per tutti e due! Nietzsche d’altronde si schiera contro gli atei volgari(i ridanciani) che non si rendono conto della posta in gioco, e credono che sia facile “sbarazzarsi” di Dio. Mentre si tratta di un’opera titanica, da far tremare le vene ai polsi: “Come abbiamo fatto questo? Come potemmo vuotare il mare, bevendolo fino all’ultima goccia? Chi ci dette la spugna per cancellare l’intero orizzonte? Che mai facemmo, a sciogliere questa terra dalla catena del suo sole? Dov’ò che si muove ora? Dov’ò che ci muoviamo noi? Via da tutti i soli? Non ò il nostro un eterno precipitare? Con che acqua potremo lavarci? Quali riti espiatori, quali giochi sacri dovremo noi inventare? Non ò troppo grande per noi la grandezza di questa azione? “(La Gaia scienza, n. 125). La vera grande battaglia che Nietzsche porta avanti è contro Dio: credere in un Dio che punisce e in un mondo ultraterreno non fa altro che rimpicciolire l’uomo e fargli perdere il senso della terra! “Dopo che Buddha fu morto, si continuò per secoli ad additare la sua ombra in una caverna-un’immensa orribile ombra. Dio è morto: ma stando alla natura degli uomini, ci saranno forse ancora per millenni caverne nelle quali si additerà  la sua ombra. E noi, noi dobbiamo vincere anche la sua ombra!”. Bisogna in primo luogo evitare di attribuire vita all’universo, come avevano fatto Platone e Giordano Bruno, ad esempio: esso non si nutre, non vegeta, non ha leggi, non ha neppure istinto di autoconservazione, che è caratteristica degli esseri viventi! Solo senza pregiudizi, solo senza timore verso un Dio che non c’è, l’uomo può trovare la sua serenità : “Il più grande avvenimento recente, che Dio è morto, che la fede nel Dio cristiano è divenuta inaccettabile, comincia già  a gettare le sue prima ombre sull’Europa. A quei pochi almeno, i cui occhi, la cui diffidenza negli occhi è abbastanza forte e sottile per questo spettacolo, pare appunto che un qualche sole sia tramontato, che una qualche antica, profonda fiducia si sia capovolta in dubbio [… ] Perfino noi, per nascita divinatori d’enigmi, noi che siamo in attesa per così dire sulle montagne, piantati fra l’oggi e il domani, noi primogeniti e figli prematuri del secolo venturo, noi che già  dovremmo scorgere le ombre che ben presto avvolgeranno l’Europa: com’è che perfino noi le guardiamo salire senza una vera partecipazione a questo ottenebramento, soprattutto senza preoccuparci e temere per noi stessi? [… ] In realtà , noi filosofi e spiriti liberi, alla notizia che il vecchio Dio è morto, ci sentiamo come illuminati dai raggi di una nuova aurora; il nostro cuore ne straripa di riconoscenza, di meraviglia, di presagio, d’attesa- finalmente l’orizzonte torna ad apparirci libero, anche ammettendo che non è sereno, finalmente possiamo di nuovo sciogliere le vele alle nostre navi, muovere incontro a ogni pericolo; ogni rischio dell’uomo della conoscenza è di nuovo permesso; il mare, il nostro mare, ci sta ancora aperto dinanzi, forse non vi è ancora mai stato un mare così aperto. ” Ma che cosa è che ha portato l’uomo in passato all’errore di credere in un’entità  superiore, in cui credere e di cui aver paura? Secondo Nietzsche a portare l’uomo alla fede è stata la mancanza di volontà , l’incapacità  di comandare, il preferire essere comandati al comandare, dando così vita ad una vera e propria morale degli schiavi: “La fede è sempre tanto più ardentemente desiderata, tanto più urgentemente necessaria, laddove manca la volontà : la volontà  infatti, come passione del comando, è il più decisivo segno di riconoscimento del dominio esercitato su se stessi e della forza. ” Interessante risulta poi nel testo una sorta di “auto-intervista” di Nietzsche: Ma che cosa sono alla fin fine le verità  dell’uomo? Sono gli errori inconfutabili dell’uomo. Chi ha grandezza è crudele verso le sue virtù e le sue riflessioni di second’ordine. Con una grande meta si è superiori perfino alla giustizia, non solo alle proprie azioni e ai propri giudici. Che cosa rende eroici? Muovere incontro al proprio supremo dolore e insieme alla propria suprema speranza. In che cosa credi? In questo: che i pesi di tutte le cose devono essere nuovamente determinati. Che cosa dice la tua coscienza? Devi diventare quello che sei. Dove stanno i tuoi più grandi pericoli? Nella compassione. Che cosa ami negli altri? Le mie speranze. Chi chiami cattivo? Chi mita solamente a incutere vergogna. Che cosa è per te la cosa più umana? Risparmiare vergogna a qualcuno. Che cosa è il sigillo della raggiunta libertà ? Non provare più vergogna davanti a se stessi. * CURIOSITA’: a Torino, in centro, vi è un ristorante che si chiama “La gaia scienza”: pare che Nietzsche fosse solito pranzare lì durante i suoi soggiorni torinesi.

  • Filosofia del 1800

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