Il giovane e brillante Nietzsche intraprende gli studi di filologia classica, animato dalla profonda ammirazione per il mondo greco e per le sue produzioni artistiche, nelle quali egli ravvisa la manifestazione più alta della vita, in opposizione all’assenza di cultura e alla volgarità del mondo moderno. Su questo punto, egli si sente in sintonia con la filosofia di Schopenhauer e con il rinnovamento estetico propugnato da Wagner. Di Schopenhauer, egli condivide la polemica contro la filosofia ridotta a scienza oggettiva e impersonale, praticata nelle università , e l’insistenza sulla centralità del problema della vita e del suo significato. Wagner, dal canto suo, già ne “L’opera d’arte dell’avvenire” (1850), aveva considerato la tragedia greca l’espressione libera di una libera universalità , scorgendo in essa il modello al quale l’arte rivoluzionaria del presente doveva richiamarsi contro la cultura impoverita e degenerata del mondo moderno. Sulla base di questi presupposti e della riscoperta della grecità arcaica, già avviata a partire dagli inizi del secolo, soprattutto ad opera di Karl Otfried Mà¼ller, Nietzsche compone la sua prima opera, “La nascita della tragedia”. Di fronte alla idealizzazione del mondo greco come regno della serenità e dell’armonia, predominanti nella cultura tedesca a partire da uno dei padri della questione omerica (Winckelmann), Nietzsche mette in luce come siano presenti, in quello stesso mondo, aspetti inquietanti e dolorosi. I greci erano dominati, a suo parere, da due impulsi vitali, che egli definisce apollineo e dionisiaco. Il primo è legato alla figura del dio Apollo e corrisponde alle visioni del sogno, nelle quali la realtà appare idealizzata e luminosa: tali apparvero ai Greci le figure degli dei, che furono da essi create per poter sopportare il dolore dell’esistenza. Gli dei, infatti, vivendo essi stessi una vita simile a quella umana, ma perfetta e priva di sofferenze, giustificano la vita. L’impulso apollineo è dunque un impulso di bellezza, che genera un mondo illusorio e trova la sua espressione massima sul piano artistico nelle arti figurative, in particolare nella scultura. Esso corrisponde all’arte classica, così come era stata descritta da Winckelmann. Ma accanto ad esso coesiste, presso i greci, il dionisiaco, che si riferisce al dio Dioniso e alle esperienze religiose legate al suo culto: esso è un impulso di ebbrezza, che spinge a immergersi senza freni nel caos della vita, dimenticando la propria individualità e, quindi, riconciliandosi con gli altri e con la natura attraverso la danza e il canto. L’impulso dionisiaco trova, dunque, la sua espressione sul piano artistico nella musica. Quando si afferma, esso indebolisce e abbatte l’impulso apollineo, consentendo di ritrovare la verità della vita nell’eccesso, anzichò nella misura. Solo qualche volta avviene la riconciliazione tra questi due impulsi contrastanti: nel mondo greco ciò si realizzò nella tragedia, che pertanto rappresenta il culmine della civiltà greca. La tragedia nacque, secondo Nietzsche, in connessione al culto di Dioniso, il dio che soffre, di cui tutti gli eroi tragici, come Prometeo, Edipo e così via, sono soltanto maschere. Essa nacque dal rito della processione in onore di Dioniso di uomini mascherati da satiri, esseri per metà animali e per metà umani: danzando e cantando in stato di eccitazione, questo coro si sentiva trasformato e fuori di sò, ed esprimeva le sue emozioni più forti in do apollineo si immagini. Originariamente la tragedia era costituita unicamente dal coro: solo in seguito venne ad aggiungersi l’azione, ossia la parte drammatica (in greco “dramma” significa appunto “azione compiuta”). Ma sorge la domanda: perchò ad un certo punto questa forma artistica è morta? Secondo Nietzsche ciò sarebbe avvenuto con Euripide, che aveva attribuito una parte prevalente al dialogo tra i personaggi, a discapito della musica, e aveva trasformato i miti, rappresentati nella tragedia, in racconti di vicende dotate di uno sviluppo razionale. In tal modo, Euripide aveva portato sulla scena l’uomo nella sua quotidianità ed eliminato, invece, l’elemento dionisiaco. E questo è avvenuto in concomitanza all’affermarsi dell’influenza di Socrate, che aveva sostenuto che solo chi sa è virtuoso e che solo ciò che è razionale può essere bello. Mentre nella tragedia la vita trovava una giustificazione estetica, grazie alla rappresentazione artistica, ora la vita poteva essere giustificata solo attraverso la conoscenza. Con Socrate si era così affermato un nuovo tipo di uomo, l’uomo teoretico, il cui supremo interesse è la ricerca della verità : rispetto al pessimismo che pervade la tragedia, questo tipo di uomo è un ottimista, poichò nutre la fiducia che il pensiero possa giungere, mediante la dialettica e rintracciando i rapporti causali tra le cose, a cogliere la realtà nella sua essenza (“le cose in sò”). Ma questa fede, secondo Nietzsche, è puramente illusoria, perchò è solamente un mezzo di cui la volontà si serve per continuare a vivere, giustificando l’esistenza. All’uomo teoretico Nietzsche contrappone, specialmente in uno scritto inedito (“La filosofia nell’epoca tragica dei greci”) i presocratici, grandi individualità , che hanno una concezione globale del mondo e hanno il coraggio di formulare un giudizio sul valore della vita, colta nella sua tragicità . Dall’ottimismo proprio dell’uomo teoretico scaturisce invece quella che Nietzsche chiama “cultura alessandrina”, la cultura della decadenza, sorta già in Grecia, la quale impera ancora nel mondo moderno: essa è fondata sulla scienza e su una concezione ottimistica della storia, ma in realtà rappresenta la decadenza, perchò ha potenziato l’intelligenza a discapito della vita. Anche questa cultura ha bisogno di schiavi per poter vivere, ma essa lo nega, affermando in maniera mistificata la dignità dell’uomo e del lavoro e l’uguaglianza tra tutti gli uomini. Contro questo ottimismo ingiustificato, Kant e Schopenhauer avevano avuto il merito di mettere in luce i limiti della conoscenza umana, smascherando l’illusione che sia possibile penetrare l’essenza delle cose tramite l’individuazione dei legami causali tra esse. In un certo modo, essi avevano contribuito a introdurre una cultura tragica, capace di cogliere l’eterna sofferenza presente nel mondo. Ma questa conoscenza tragica può essere tollerata in modo appropriato solo attraverso l’arte: scaturisce di qui la necessità di una rinascita della tragedia, auspicata da Wagner e concepita in opposizione al tradizionale melodramma, dominato dal recitativo a discapito della musica, ossia del dionisiaco.
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