Eneide, Libro 12, traduzione vv. 161-215 - Studentville

Eneide, Libro 12, traduzione vv. 161-215

Interea reges ingenti mole Latinus
quadriiugo vehitur curru cui tempora circum
aurati bis

sex radii fulgentia cingunt,
Solis avi specimen, bigis it Turnus in albis,
bina manu lato crispans hastilia ferro. 165

hinc pater Aeneas, Romanae stirpis origo,
sidereo flagrans clipeo et caelestibus armis
et iuxta Ascanius, magnae

spes altera Romae,
procedunt castris, puraque in veste sacerdos
saetigeri fetum suis intonsamque bidentem 170

attulit admovitque pecus flagrantibus aris.
illi ad surgentem conversi lumina solem
dant fruges manibus salsas et

tempora ferro
summa notant pecudum, paterisque altaria libant.
Tum pius Aeneas stricto sic ense precatur: 175

‘esto nunc Sol testis et haec mihi terra vocanti,
quam propter tantos potui perferre labores,
et pater

omnipotens et tu Saturnia coniunx
iam melior, iam, diva, precor, tuque inclute Mavors,
cuncta tuo qui bella, pater, sub

numine torques; 180
fontisque fluviosque voco, quaeque aetheris alti
religio et quae caeruleo sunt numina ponto:

cesserit Ausonio si fors victoria Turno,
convenit Evandri victos discedere ad urbem,
cedet Iulus agris, nec post

arma ulla rebelles 185
Aeneadae referent ferrove haec regna lacessent.
sin nostrum adnuerit nobis victoria Martem
ut

potius reor et potius di numine firment,
non ego nec Teucris Italos parere iubebo
nec mihi regna peto: paribus se

legibus ambae 190
invictae gentes aeterna in foedera mittant.
sacra deosque dabo; socer arma Latinus habeto,

imperium sollemne socer; mihi moenia Teucri
constituent urbique dabit Lavinia nomen.’
Sic prior Aeneas, sequitur

sic deinde Latinus 195
suspiciens caelum, tenditque ad sidera dextram:
‘haec eadem, Aenea, terram, mare, sidera, iuro

Latonaeque genus duplex Ianumque bifrontem,
vimque deum infernam et duri sacraria Ditis;
audiat haec genitor qui

foedera fulmine sancit. 200
tango aras, medios ignis et numina testor:
nulla dies pacem hanc Italis nec foedera rumpet,

quo res cumque cadent; nec me vis ulla volentem
avertet, non, si tellurem effundat in undas
diluvio miscens

caelumque in Tartara solvat, 205
ut sceptrum hoc’ dextra sceptrum nam forte gerebat
‘numquam fronde levi fundet

virgulta nec umbras,
cum semel in silvis imo de stirpe recisum
matre caret posuitque comas et bracchia ferro,
olim

arbos, nunc artificis manus aere decoro 210
inclusit patribusque dedit gestare Latinis.’
talibus inter se firmabant

foedera dictis
conspectu in medio procerum. tum rite sacratas
in flammam iugulant pecudes et viscera vivis

eripiunt, cumulantque oneratis lancibus aras. 215

Versione tradotta

Intanto i re: Latino dalla grande statura
è portato su cocchio a quatro cavalli, gli cingono

attorno
alle tempie splendenti dodici raggi dorati,
insegna dell'avo Sole, Turno avanza su cavalli

bianchi,
brandendo in mano sue dardi di largo ferro, 165
Poi il padre Enea, origine della stirpe romana,
ardente con

lo scuro sidereo e celesti armi
e vicino Ascanio, seconda speranza della grande Roma,
escono dai campi, in veste pura il

sacerdote
ha portato un piccolo di setoloso maiale ed una pecora 170
intonsa ed ha spinto il gruppo agli altari

brucianti.
Essi rivolti gli occhi al sole nascente
offrono conle mani frutta salate esegnano col ferro
la cima delle

tempie delle bestie, libano con coppe sugli altari.
Allora il pio Enea, sguainatala spada, così prega: 175
"Siano ora

testimoni a me che prego il sole e questa terra,
per la quale potei soffrire così gravi fatiche,
e tu padre onnipotente

etu Saturnia sposa
ormai più propizia, ormai, divina, prego, e tu grande Marte,
padre, che guidi tutte le guerre sotto la

tua protezione; 180
sorgenti e fiumi invoco, quella santità dell'alto
etere e le potenze che sono nell'azzurro

mare:
se per caso la vittoria toccasse all'ausonio Turno,
si decide che i vinti partano per la città di

Evandro,
Iulo uscirà dai campi, né in seguito gli Eneadi ribelli 185
prenderanno alcuna arma o col ferro provocheranno

questi regni.
Se invece la vittoria concederà a noi il nostro Marte
come piuttosto penso e piuttosto gli dei lo

confermino con potenza,
non io né comanderò che gli Itali obbediscano ai Teucri
né chiedo i regni per me: ambetue invitti

i popoli 190
con leggi uguali si uniscano in eterne alleanze.
Darò sacrifici e dei; il suocero Latino abbia le

armi,
il suocero (abbia) solenne potere; per me i Teucri costruiranno
mura e Lavinia darà il nome alla città."
Così

Enea per primo, così poi segue Latino 195
guardando il cielo,e tende la destra alle stelle:
"Queste stesse cose, Enea,

giuro, terra, mare, stelle,
la doppia prole di Latona e Giano bifronte,
la forza infernale degli dei ed i sacrari del

crudele Dite;
ascolti queste cose il padre che col fulmine sanciscele alleanze. 200
Tocco gli altari, chiamo a testimoni

i fuochi in mezzo e le divinità.
Nessun giorno romperà questa pace per gli Itali né i patti,
comunque accadranno le cose;

né alcuna violemza smuoverà
me consenziente, nemmeno, se rovesciasse la terra nelle onde
invadendo con un diluvio e

dissolvesse il cielo nel Tartaro, 205
come questo scettro" conla destra infatti reggeva lo scettro,
"mai più farà dalla

liscia fronda virgulti né ombre,
mancando di madreuna volta reciso dal fondo della radice
nelle selve e depose le chiome

e le braccia per il ferro,
un tempo albero, ora la mano dell'arteficel'ha rinchiuso 210
in un bronzo ornato e lo

diede a portare ai padri latini."
Con tali parole sancivano tra loro i patti
in mezzo alla vista dei capi. Poi

ritualmente sgozzano sulla fiamma
i bestiami consacrati e strappano dalle vive
le viscere, e colmano gli altari di

ripieni piatti. 215

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