Interea reges ingenti mole Latinus
quadriiugo vehitur curru cui tempora circum
aurati bis
sex radii fulgentia cingunt,
Solis avi specimen, bigis it Turnus in albis,
bina manu lato crispans hastilia ferro. 165
hinc pater Aeneas, Romanae stirpis origo,
sidereo flagrans clipeo et caelestibus armis
et iuxta Ascanius, magnae
spes altera Romae,
procedunt castris, puraque in veste sacerdos
saetigeri fetum suis intonsamque bidentem 170
attulit admovitque pecus flagrantibus aris.
illi ad surgentem conversi lumina solem
dant fruges manibus salsas et
tempora ferro
summa notant pecudum, paterisque altaria libant.
Tum pius Aeneas stricto sic ense precatur: 175
‘esto nunc Sol testis et haec mihi terra vocanti,
quam propter tantos potui perferre labores,
et pater
omnipotens et tu Saturnia coniunx
iam melior, iam, diva, precor, tuque inclute Mavors,
cuncta tuo qui bella, pater, sub
numine torques; 180
fontisque fluviosque voco, quaeque aetheris alti
religio et quae caeruleo sunt numina ponto:
cesserit Ausonio si fors victoria Turno,
convenit Evandri victos discedere ad urbem,
cedet Iulus agris, nec post
arma ulla rebelles 185
Aeneadae referent ferrove haec regna lacessent.
sin nostrum adnuerit nobis victoria Martem
ut
potius reor et potius di numine firment,
non ego nec Teucris Italos parere iubebo
nec mihi regna peto: paribus se
legibus ambae 190
invictae gentes aeterna in foedera mittant.
sacra deosque dabo; socer arma Latinus habeto,
imperium sollemne socer; mihi moenia Teucri
constituent urbique dabit Lavinia nomen.’
Sic prior Aeneas, sequitur
sic deinde Latinus 195
suspiciens caelum, tenditque ad sidera dextram:
‘haec eadem, Aenea, terram, mare, sidera, iuro
Latonaeque genus duplex Ianumque bifrontem,
vimque deum infernam et duri sacraria Ditis;
audiat haec genitor qui
foedera fulmine sancit. 200
tango aras, medios ignis et numina testor:
nulla dies pacem hanc Italis nec foedera rumpet,
quo res cumque cadent; nec me vis ulla volentem
avertet, non, si tellurem effundat in undas
diluvio miscens
caelumque in Tartara solvat, 205
ut sceptrum hoc’ dextra sceptrum nam forte gerebat
‘numquam fronde levi fundet
virgulta nec umbras,
cum semel in silvis imo de stirpe recisum
matre caret posuitque comas et bracchia ferro,
olim
arbos, nunc artificis manus aere decoro 210
inclusit patribusque dedit gestare Latinis.’
talibus inter se firmabant
foedera dictis
conspectu in medio procerum. tum rite sacratas
in flammam iugulant pecudes et viscera vivis
eripiunt, cumulantque oneratis lancibus aras. 215
Versione tradotta
Intanto i re: Latino dalla grande statura
è portato su cocchio a quatro cavalli, gli cingono
attorno
alle tempie splendenti dodici raggi dorati,
insegna dell'avo Sole, Turno avanza su cavalli
bianchi,
brandendo in mano sue dardi di largo ferro, 165
Poi il padre Enea, origine della stirpe romana,
ardente con
lo scuro sidereo e celesti armi
e vicino Ascanio, seconda speranza della grande Roma,
escono dai campi, in veste pura il
sacerdote
ha portato un piccolo di setoloso maiale ed una pecora 170
intonsa ed ha spinto il gruppo agli altari
brucianti.
Essi rivolti gli occhi al sole nascente
offrono conle mani frutta salate esegnano col ferro
la cima delle
tempie delle bestie, libano con coppe sugli altari.
Allora il pio Enea, sguainatala spada, così prega: 175
"Siano ora
testimoni a me che prego il sole e questa terra,
per la quale potei soffrire così gravi fatiche,
e tu padre onnipotente
etu Saturnia sposa
ormai più propizia, ormai, divina, prego, e tu grande Marte,
padre, che guidi tutte le guerre sotto la
tua protezione; 180
sorgenti e fiumi invoco, quella santità dell'alto
etere e le potenze che sono nell'azzurro
mare:
se per caso la vittoria toccasse all'ausonio Turno,
si decide che i vinti partano per la città di
Evandro,
Iulo uscirà dai campi, né in seguito gli Eneadi ribelli 185
prenderanno alcuna arma o col ferro provocheranno
questi regni.
Se invece la vittoria concederà a noi il nostro Marte
come piuttosto penso e piuttosto gli dei lo
confermino con potenza,
non io né comanderò che gli Itali obbediscano ai Teucri
né chiedo i regni per me: ambetue invitti
i popoli 190
con leggi uguali si uniscano in eterne alleanze.
Darò sacrifici e dei; il suocero Latino abbia le
armi,
il suocero (abbia) solenne potere; per me i Teucri costruiranno
mura e Lavinia darà il nome alla città."
Così
Enea per primo, così poi segue Latino 195
guardando il cielo,e tende la destra alle stelle:
"Queste stesse cose, Enea,
giuro, terra, mare, stelle,
la doppia prole di Latona e Giano bifronte,
la forza infernale degli dei ed i sacrari del
crudele Dite;
ascolti queste cose il padre che col fulmine sanciscele alleanze. 200
Tocco gli altari, chiamo a testimoni
i fuochi in mezzo e le divinità.
Nessun giorno romperà questa pace per gli Itali né i patti,
comunque accadranno le cose;
né alcuna violemza smuoverà
me consenziente, nemmeno, se rovesciasse la terra nelle onde
invadendo con un diluvio e
dissolvesse il cielo nel Tartaro, 205
come questo scettro" conla destra infatti reggeva lo scettro,
"mai più farà dalla
liscia fronda virgulti né ombre,
mancando di madreuna volta reciso dal fondo della radice
nelle selve e depose le chiome
e le braccia per il ferro,
un tempo albero, ora la mano dell'arteficel'ha rinchiuso 210
in un bronzo ornato e lo
diede a portare ai padri latini."
Con tali parole sancivano tra loro i patti
in mezzo alla vista dei capi. Poi
ritualmente sgozzano sulla fiamma
i bestiami consacrati e strappano dalle vive
le viscere, e colmano gli altari di
ripieni piatti. 215
- Letteratura Latina
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