Libro 2, vv. 402-437 - Studentville

Libro 2, vv. 402-437

Heu nihil invitis fas quemquam fidere divis.
ecce

trahebatur passis Priameia virgo
crinibus a templo Cassandra adytisque Minervae
ad caelum tendens ardentia lumina

frustra,
lumina, nam teneras arcebant vincula palmas.
non tulit hanc speciem furiata mente Coroebus
et sese medium

iniecit periturus in agmen;
consequimur cuncti et densis incurrimus armis.
hic primum ex alto delubri culmine

telis
nostrorum obruimur oriturque miserrima caedes
armorum facie et Graiarum errore iubarum.
tum Danai gemitu atque

ereptae virginis ira
undique collecti invadunt, acerrimus Aiax
et gemini Atridae Dolopumque exercitus omnis:

adversi rupto ceu quondam turbine venti
confligunt, Zephyrusque Notusque et laetus Eois
Eurus equis; stridunt

silvae saevitque tridenti
spumeus atque imo Nereus ciet aequora fundo.
illi etiam, si quos obscura nocte per

umbram
fudimus insidiis totaque agitavimus urbe,
apparent; primi clipeos mentitaque tela
agnoscunt atque ora sono

discordia signant.
ilicet obruimur numero, primusque Coroebus
Penelei dextra divae armipotentis ad aram
procumbit;

cadit et Rhipeus, iustissimus unus
qui fuit in Teucris et servantissimus aequi
dis aliter visum; pereunt Hypanisque

Dymasque
confixi a sociis; nec te tua plurima, Panthu,
labentem pietas nec Apollinis infula texit.
Iliaci cineres

et flamma extrema meorum,
testor, in occasu vestro nec tela nec ullas
vitavisse vices, Danaum et, si fata fuissent

ut caderem, meruisse manu. divellimur inde,
Iphitus et Pelias mecum quorum Iphitus aevo
iam gravior, Pelias et

vulnere tardus Ulixi,
protinus ad sedes Priami clamore vocati.

Versione tradotta

Ahimè, a nessuno è lecito sperare nulla con gli dei contrari.
Ecco la vergine

Priamea, sciolti i capelli, Cassandra,
trascinata dal tempio e dai penetrali di Minerva,
alzando incavo al cielo gli

occhi ardenti,
gli occhi, poiché catene bloccavano le tenere palme.
Non sopportò questa vista con la mente impazzita

Corebo
e si gettò in mezzo alla schiera per morire;
inseguiamo tutti e corriamo in fitte armi.
Qui dapprima dall’alta

cima del tempio siamo colpiti
dai dardi dei nostri e nasce una miserrima strage
per la foggia delle armi e per l’inganno

dei pennacchi Grai.
Allora i Danai per il dolore e l’ira della vergine strappata
radunati da ogni parte attaccano, il

fortissimo Aiace
ed i fratelli Atridi e tutto l’esercito dei Dolopi:
come a volte venti contrari, scoppiata una

burrasca,
si scontrano, e Zefiro e Noto ed Euro, felice
per i cavalli Eoi; stridono le selve ed infuria spumoso
Nereo

col tridente e provoca le acque dall’estremo fondo.
Anch’essi, che nell’oscura notte nell’ombra
vincemmo con gli inganni

e cacciammo per tutta la città,
appaiono; per primi riconoscono gli scudi e le false armi
e notano i volti discordanti

dall’accento.
Subito siamp travolti dal numero. E per primo Corebo
per mano di Peneleo stramazza all’altare della

dea
armi potente; cade pure Rifeo, unico il più giusto
che ci fu tra i Teucri e molto rigido del giusto,
agli dei

parve altrimenti; periscono Ipani e Dimante
trafitti dagli amici; né ti protesse morente, Panto,
la tua massima virtù né

la benda di Apollo.
O ceneri iliache e fiamma estrema dei miei,
chiamo a testimonio di non aver evitato nella vostra

caduta
né frecce né alcuna situazione, e se ci fossero stati i fati
perché cadessi, l’avrei meritato per mano dei Danai.

Di lì ci
strappiamo, Ifito e Pelia con me, ma di essi Ifito ormai più vecchio
d’età, anche Pelia lento per una ferita di

Ulisse,
subito chiamati da grida al palazzo di Priamo.

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