Libro 6, vv. 102-155 - Studentville

Libro 6, vv. 102-155

Ut primum cessit furor et rabida ora quierunt,
incipit Aeneas

heros: ‘non ulla laborum,
o virgo, nova mi facies inopinave surgit;
omnia praecepi atque animo mecum ante peregi.

unum oro: quando hic inferni ianua regis
dicitur et tenebrosa palus Acheronte refuso,
ire ad conspectum cari

genitoris et ora
contingat; doceas iter et sacra ostia pandas.
illum ego per flammas et mille sequentia tela
eripui

his umeris medioque ex hoste recepi;
ille meum comitatus iter maria omnia mecum
atque omnis pelagique minas caelique

ferebat,
invalidus, viris ultra sortemque senectae.
quin, ut te supplex peterem et tua limina adirem,
idem orans

mandata dabat. gnatique patrisque,
alma, precor, miserere potes namque omnia, nec te
nequiquam lucis Hecate praefecit

Avernis,
si potuit manis accersere coniugis Orpheus
Threicia fretus cithara fidibusque canoris,
si fratrem Pollux

alterna morte redemit
itque reditque viam totiens. quid Thesea, magnum
quid memorem Alciden? et mi genus ab Iove

summo.’
Talibus orabat dictis arasque tenebat,
cum sic orsa loqui vates: ‘sate sanguine divum,
Tros

Anchisiade, facilis descensus Averno:
noctes atque dies patet atri ianua Ditis;
sed revocare gradum superasque evadere

ad auras,
hoc opus, hic labor est. pauci, quos aequus amavit
Iuppiter aut ardens evexit ad aethera virtus,
dis

geniti potuere. tenent media omnia silvae,
Cocytusque sinu labens circumvenit atro.
quod si tantus amor menti, si tanta

cupido est
bis Stygios innare lacus, bis nigra videre
Tartara, et insano iuvat indulgere labori,
accipe quae

peragenda prius. latet arbore opaca
aureus et foliis et lento vimine ramus,
Iunoni infernae dictus sacer; hunc tegit

omnis
lucus et obscuris claudunt convallibus umbrae.
sed non ante datur telluris operta subire
auricomos quam

quis decerpserit arbore fetus.
hoc sibi pulchra suum ferri Proserpina munus
instituit. primo avulso non deficit alter

aureus, et simili frondescit virga metallo.
ergo alte vestiga oculis et rite repertum
carpe manu; namque ipse

volens facilisque sequetur,
si te fata vocant; aliter non viribus ullis
vincere nec duro poteris convellere ferro.

praeterea iacet exanimum tibi corpus amici
heu nescis totamque incestat funere classem,
dum consulta petis

nostroque in limine pendes.
sedibus hunc refer ante suis et conde sepulcro.
duc nigras pecudes; ea prima piacula sunto.

sic demum lucos Stygis et regna invia vivis
aspicies.’ dixit, pressoque obmutuit ore.

Versione tradotta

Appena cessò la

furia e tacquero le labbra rabbiose,
Enea, l'eroe, comincia: " O vergine, nessuna forma
Di fatiche mi sorge nuova

o inaspettata;
tutto ho già provato e predisposto nell'animo, in me
Una cosa sola chiedo: poiché qui si dice la

porta del re
Dell'Averno e la tenebrosa palude, straripato l'Acheronte,
mi si conceda di andare al cospetto ad al

volto del caro
padre, insegnami la strada ed apri le sacre porte.
Io lo strappai tra le fiamme e le mille frecce

incalzanti su queste spalle
e lo raccolsi in mezzo al nemico:
Lui, accompagnando il mio viaggio, con me sopportava

Tutti i mari e tutte le minacce di cielo ed acqua,
lui malfermo, oltre le forze e la sorte della vecchiaia.
Anzi

lui stesso pregando dava ordini che supplice io ti
Cercassi e giungessi alle tue porte. Divina, ti prego,
abbi pietà

del figlio e del padre: tu puoi tutto
e non invano Ecate ti mise a capo dei boschi d'Averno.
Se Orfeo poté

richiamare l'ombra della sposa
Confidando nella cetra tracia e nel flauto sonoro,
se Polluce riscattò il

fratello con morte alterna
e fa e rifà tante volte la via( perché ricordare il grande
Teseo e l'Alcide?) anch'io

ho una stirpe dal sommo Giove.
Con tali parole pregava e teneva gli altari,
quando così la profetessa cominciò a

parlare: "Nato da sangue
di dei, Anchisiade troiano, facile è la discesa all'Averno:
giorno e notte è aperta la

porta del nero Dite ;
ma questa è l'impresa, questa la fatica: riportare su
il passo e uscire all'aria superiore.

Pochi, che il giusto Giove
predilesse o che l'ardente valore portò al cielo,
figli del dio lo poterono. I boschi

occupano tutto il mezzo
ed il Cocito scorrendo lo circonda con nero abbraccio.
Ma se tanto amore nel cuore, se tanta la

voglia
Di attraversare due volte i laghi stigi, vedere due volte
Il buio Tartaro e piace affrontare una fatica

pazzesca,
impara prima le cose da fare. Un ramo è nascosto
su albero ombroso, d'oro sia nelle foglie che nella

verga molle,
detto sacro a Giunone infernale; tutto il bosco
lo protegge e le ombre lo chiudono in oscure con valli.

Ma non è dato affrontare le profondità della terra prima
Che uno abbia colto dalla pianta i frutti dalle foglie

dorate.
La bella Proserpina decise le fosse portato questo
Suo dono: colto il primo, non ne manca un altro
D'oro

ed il ramo fiorisce di uguale metallo.
Perciò cerca in alto con gli occhi e trovatolo,
coglilo con la mano. Egli

contento e facile seguirà,
se ti fati ti chiamano: altrimenti con nessuna forza
potrai vincere né strapparlo col duro

ferro.
Però il corpo di un tuo amico giace esanime
(oh, non lo sai) e contamina con la morte tutta la flotta,

mentre chiedi responsi ed attendi alla nostra soglia.
Accompagnalo prima alle sue sedi e riponIlo nel sepolcro.

Porta neri animali: queste siano le prime espiazioni.
Così finalmente vedrai i boschi di stige ed i regni impossibili

Ai vivi. Disse e con bocca sigillata ammutolì

  • Letteratura Latina
  • Eneide di Publio Virgilio Marone
  • Virgilio

Ti potrebbe interessare

Link copiato negli appunti