Ut primum cessit furor et rabida ora quierunt,
incipit Aeneas
heros: ‘non ulla laborum,
o virgo, nova mi facies inopinave surgit;
omnia praecepi atque animo mecum ante peregi.
unum oro: quando hic inferni ianua regis
dicitur et tenebrosa palus Acheronte refuso,
ire ad conspectum cari
genitoris et ora
contingat; doceas iter et sacra ostia pandas.
illum ego per flammas et mille sequentia tela
eripui
his umeris medioque ex hoste recepi;
ille meum comitatus iter maria omnia mecum
atque omnis pelagique minas caelique
ferebat,
invalidus, viris ultra sortemque senectae.
quin, ut te supplex peterem et tua limina adirem,
idem orans
mandata dabat. gnatique patrisque,
alma, precor, miserere potes namque omnia, nec te
nequiquam lucis Hecate praefecit
Avernis,
si potuit manis accersere coniugis Orpheus
Threicia fretus cithara fidibusque canoris,
si fratrem Pollux
alterna morte redemit
itque reditque viam totiens. quid Thesea, magnum
quid memorem Alciden? et mi genus ab Iove
summo.’
Talibus orabat dictis arasque tenebat,
cum sic orsa loqui vates: ‘sate sanguine divum,
Tros
Anchisiade, facilis descensus Averno:
noctes atque dies patet atri ianua Ditis;
sed revocare gradum superasque evadere
ad auras,
hoc opus, hic labor est. pauci, quos aequus amavit
Iuppiter aut ardens evexit ad aethera virtus,
dis
geniti potuere. tenent media omnia silvae,
Cocytusque sinu labens circumvenit atro.
quod si tantus amor menti, si tanta
cupido est
bis Stygios innare lacus, bis nigra videre
Tartara, et insano iuvat indulgere labori,
accipe quae
peragenda prius. latet arbore opaca
aureus et foliis et lento vimine ramus,
Iunoni infernae dictus sacer; hunc tegit
omnis
lucus et obscuris claudunt convallibus umbrae.
sed non ante datur telluris operta subire
auricomos quam
quis decerpserit arbore fetus.
hoc sibi pulchra suum ferri Proserpina munus
instituit. primo avulso non deficit alter
aureus, et simili frondescit virga metallo.
ergo alte vestiga oculis et rite repertum
carpe manu; namque ipse
volens facilisque sequetur,
si te fata vocant; aliter non viribus ullis
vincere nec duro poteris convellere ferro.
praeterea iacet exanimum tibi corpus amici
heu nescis totamque incestat funere classem,
dum consulta petis
nostroque in limine pendes.
sedibus hunc refer ante suis et conde sepulcro.
duc nigras pecudes; ea prima piacula sunto.
sic demum lucos Stygis et regna invia vivis
aspicies.’ dixit, pressoque obmutuit ore.
Versione tradotta
Appena cessò la
furia e tacquero le labbra rabbiose,
Enea, l'eroe, comincia: " O vergine, nessuna forma
Di fatiche mi sorge nuova
o inaspettata;
tutto ho già provato e predisposto nell'animo, in me
Una cosa sola chiedo: poiché qui si dice la
porta del re
Dell'Averno e la tenebrosa palude, straripato l'Acheronte,
mi si conceda di andare al cospetto ad al
volto del caro
padre, insegnami la strada ed apri le sacre porte.
Io lo strappai tra le fiamme e le mille frecce
incalzanti su queste spalle
e lo raccolsi in mezzo al nemico:
Lui, accompagnando il mio viaggio, con me sopportava
Tutti i mari e tutte le minacce di cielo ed acqua,
lui malfermo, oltre le forze e la sorte della vecchiaia.
Anzi
lui stesso pregando dava ordini che supplice io ti
Cercassi e giungessi alle tue porte. Divina, ti prego,
abbi pietà
del figlio e del padre: tu puoi tutto
e non invano Ecate ti mise a capo dei boschi d'Averno.
Se Orfeo poté
richiamare l'ombra della sposa
Confidando nella cetra tracia e nel flauto sonoro,
se Polluce riscattò il
fratello con morte alterna
e fa e rifà tante volte la via( perché ricordare il grande
Teseo e l'Alcide?) anch'io
ho una stirpe dal sommo Giove.
Con tali parole pregava e teneva gli altari,
quando così la profetessa cominciò a
parlare: "Nato da sangue
di dei, Anchisiade troiano, facile è la discesa all'Averno:
giorno e notte è aperta la
porta del nero Dite ;
ma questa è l'impresa, questa la fatica: riportare su
il passo e uscire all'aria superiore.
Pochi, che il giusto Giove
predilesse o che l'ardente valore portò al cielo,
figli del dio lo poterono. I boschi
occupano tutto il mezzo
ed il Cocito scorrendo lo circonda con nero abbraccio.
Ma se tanto amore nel cuore, se tanta la
voglia
Di attraversare due volte i laghi stigi, vedere due volte
Il buio Tartaro e piace affrontare una fatica
pazzesca,
impara prima le cose da fare. Un ramo è nascosto
su albero ombroso, d'oro sia nelle foglie che nella
verga molle,
detto sacro a Giunone infernale; tutto il bosco
lo protegge e le ombre lo chiudono in oscure con valli.
Ma non è dato affrontare le profondità della terra prima
Che uno abbia colto dalla pianta i frutti dalle foglie
dorate.
La bella Proserpina decise le fosse portato questo
Suo dono: colto il primo, non ne manca un altro
D'oro
ed il ramo fiorisce di uguale metallo.
Perciò cerca in alto con gli occhi e trovatolo,
coglilo con la mano. Egli
contento e facile seguirà,
se ti fati ti chiamano: altrimenti con nessuna forza
potrai vincere né strapparlo col duro
ferro.
Però il corpo di un tuo amico giace esanime
(oh, non lo sai) e contamina con la morte tutta la flotta,
mentre chiedi responsi ed attendi alla nostra soglia.
Accompagnalo prima alle sue sedi e riponIlo nel sepolcro.
Porta neri animali: queste siano le prime espiazioni.
Così finalmente vedrai i boschi di stige ed i regni impossibili
Ai vivi. Disse e con bocca sigillata ammutolì
- Letteratura Latina
- Eneide di Publio Virgilio Marone
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