Libro 8, vv.102-183 - Studentville

Libro 8, vv.102-183

Forte die sollemnem illo rex Arcas

honorem 8.102
Amphitryoniadae magno divisque ferebat
ante urbem in luco. Pallas huic filius una,
una omnes iuvenum

primi pauperque senatus 105
tura dabant, tepidusque cruor fumabat ad aras.
ut celsas videre rates atque inter opacum

adlabi nemus et tacitos incumbere remis,
terrentur visu subito cunctique relictis
consurgunt mensis. audax quos

rumpere Pallas 110
sacra vetat raptoque volat telo obius ipse,
et procul e tumulo: ‘iuvenes, quae causa subegit

ignotas temptare vias? quo tenditis?’ inquit.
‘qui genus? unde domo? pacemne huc fertis an arma?’
tum

pater Aeneas puppi sic fatur ab alta 115
paciferaeque manu ramum praetendit olivae:
‘Troiugenas ac tela vides inimica

Latinis,
quos illi bello profugos egere superbo.
Evandrum petimus. ferte haec et dicite lectos
Dardaniae venisse

duces socia arma rogantis.’ 8.120
obstipuit tanto percussus nomine Pallas:
‘egredere o quicumque es’ ait

‘coramque parentem
adloquere ac nostris succede penatibus hospes.’
excepitque manu dextramque amplexus inhaesit;

progressi subeunt luco fluviumque relinquunt. 125
Tum regem Aeneas dictis adfatur amicis:
‘optime Graiugenum, cui

me Fortuna precari
et vitta comptos voluit praetendere ramos,
non equidem extimui Danaum quod ductor et Arcas

quodque a stirpe fores geminis coniunctus Atridis; 130
sed mea me virtus et sancta oracula divum
cognatique patres,

tua terris didita fama,
coniunxere tibi et fatis egere volentem.
Dardanus, Iliacae primus pater urbis et auctor,

Electra, ut Grai perhibent, Atlantide cretus, 135
advehitur Teucros; Electram maximus Atlas
edidit, aetherios umero

qui sustinet orbis.
vobis Mercurius pater est, quem candida Maia
Cyllenae gelido conceptum vertice fudit;
at Maiam,

auditis si quicquam credimus, Atlas, 8.140
idem Atlas generat caeli qui sidera tollit.
sic genus amborum scindit se

sanguine ab uno.
his fretus non legatos neque prima per artem
temptamenta tui pepigi; me, me ipse meumque
obieci

caput et supplex ad limina veni. 145
gens eadem, quae te, crudeli Daunia bello
insequitur; nos si pellant nihil afore

credunt
quin omnem Hesperiam penitus sua sub iuga mittant,
et mare quod supra teneant quodque adluit infra.
accipe

daque fidem. sunt nobis fortia bello 150
pectora, sunt animi et rebus spectata iuventus.’
Dixerat Aeneas. ille os

oculosque loquentis
iamdudum et totum lustrabat lumine corpus.
tum sic pauca refert: ‘ut te, fortissime Teucrum,

accipio agnoscoque libens. ut verba parentis 155
et vocem Anchisae magni vultumque recordor.
nam memini Hesionae

visentem regna sororis
Laomedontiaden Priamum Salamina petentem
protinus Arcadiae gelidos invisere finis.
tum mihi

prima genas vestibat flore iuventas, 8.160
mirabarque duces Teucros, mirabar et ipsum
Laomedontiaden; sed cunctis altior

ibat
Anchises. mihi mens iuvenali ardebat amore
compellare virum et dextrae coniungere dextram;
accessi et cupidus

Phenei sub moenia duxi. 165
ille mihi insignem pharetram Lyciasque sagittas
discedens chlamydemque auro dedit

intertextam,
frenaque bina meus quae nunc habet aurea Pallas.
ergo et quam petitis iuncta est mihi foedere dextra,

et lux cum primum terris se crastina reddet, 170
auxilio laetos dimittam opibusque iuvabo.
interea sacra haec,

quando huc venistis amici,
annua, quae differre nefas, celebrate faventes
nobiscum, et iam nunc sociorum adsuescite

mensis.’
Haec ubi dicta, dapes iubet et sublata reponi 175
pocula gramineoque viros locat ipse sedili,

praecipuumque toro et villosi pelle leonis
accipit Aenean solioque invitat acerno.
tum lecti iuvenes certatim

araeque sacerdos
viscera tosta ferunt taurorum, onerantque canistris 8.180
dona laboratae Cereris, Bacchumque

ministrant.
vescitur Aeneas simul et Troiana iuventus
perpetui tergo bovis et lustralibus extis.

Versione tradotta

Per

caso in quel giorno il re arcade rendeva solenne
onore al grande anfitrioniade ed agli dei
nel bosco davanti alla città.

Insieme con lui il figlio,
insieme tutti i primi dei giovani ed il povero senato 105
offrivano incenso, tirpido sangue

fumava presso gli altari.
Come videro scorrere alte navi tra l'ombroso
bosco e (uomini) taciti sforzarsi sui

remi,
si apaventano alla vista e tutti subito, lasciate
le mense si alzano. Pallante audace vieta che essi 110

interrompano i sacri riti e presa la lancia, lui solo
vola incontro e lontano dall'altura:"Giovani, quale

motivo
costrinse a tentare ignote vie? Dove andate?" disse.
"quale stirpe? da quale patria?Portate pace o

armi?"
Allora il padre Enea dall'alta poppa così parla 115
e tende con la mano un rammo del pacifero olivo:
"Tu

vedi Troiugeni ed armi nemiche ai Latini,
ma essi ci fecero profughi con guerra superba.
Cerchiamo Evandro. Riferite

questo e dite che capi
scelti della Dardania son giunti a chiedere armi alleate" 120
Stupì colpito da tanto nome

Pallante:
"Avanza, chiunque tusia" disse " parla al cospetto
del padre ed entra ospite tra i nostri

penati."
L'accolse con la mano e abbracciatolo strinde la destra;
avanzati entrano nel bosco e lasciano il fiume. 125

Allora Enea parla al re con parole amiche:
"Ottimo dei Graiugeni, cui la Fortuna volle che io
supplice mi rivolgessi

e tendessi rami coronate di benda,
certamente non temetti perché guida di Danai ed Arcade
e perché tu fossi unito per

stirpe ai fratelli Atridi; 130
ma il mio coraggio, i santi oracoli degli dei
ed i padri parenti, la tua fama diffusa

nelle terre,
unirono me a te e mi resero disponibile ai fati.
Dardano, primo padre e fondatore della città

iliaca,
nato da Elettra Atlantide, come raccontano i Grai, 135
e portata fra i Teucri; Elettra la generò il

massimo
Atlante, che sostiene sulle spalle i mondi eterei.
A voi e padre Mercurio, che la candida Maia,
concepitolo,

partorì sulla gelida cima di Cillene;
Ma Maia, sentite se crediamo in qualcosa, la genera 140
Atlante, lo stesso Atlante

che regge le stelle del cielo.
Così la stirpe di entramdi si scinde da un unico sangue.
Confidando su questo, non decisi

messaggeri né con artificio
primi tentativi con te; io stesso esposi me, me
e la mia persona, supplice venni alle tue

soglie. 145
E' la stessa gente Daunia che insegue te con guerra
crudele; se cacciassero noi, credono che nulla

mancherebbe
a metter sotto i loro gioghi tutta l'Esperia completamente,
ed il mare che hanno sopra e che scorre

sotto.
Accogli e dà alleanza. Noi abbiamo forti petto 150
per la guerra, abbiamo coraggio e gioventù provata dai

fatti."
Aenea aveva parlato. Egli osservava con lo sguardo il volto
e gli occhi del parlatore e tutta la persona.
Poi

così brevemente risponde: " Fortissimo fra i Teucri, come
volentieri accolgo e riconosco te. Come ricordo le parole 155

del padre, la voce ed il volto del grande Anchise.
Ricordo proprio Priamo Laomedonziade che visitava
regni della

sorella Esione e dirigendosi a Salamina
subito dopo visitava i gelidi territori d'Arcadia.
Allora la prima giovinezza

mi rivestiva le guance di floridezza, 160
e ammiravo i capi teucri, ammirravo anche lo stesso
Laomenziade; ma su tutti

più alto avanzava
Anchise. In me il cuore ardeva di giovanile amore
nel conversare con l'eroe e congiungere destra a

destra;
l'avvicinai e bramoso lo condussi sotto le mura di Feneo. 165
Egli partendo mi diede una stupenda faretra e

freccie licie
ed una clamide intessuta d'oro,
due briglie d'oro che adesso ha il mio Pallante.
Dunque la destra

che chiedete per me è unita da patto,
ed appena la luce di domani ritornerà sulle terre, 170
vi congederò felici per

l'aiuto e vi doterò di mezzi.
Intanto questi riti annuali, poiché veniste come amici,
che sarebbe sacrilego rimandare,

celebrateli con noi
partecipando e già ora abituatevi alle mense di alleati."
Come questo fu detto, comanda di portare

vivande e 175
le coppe tolte e pone lui stesso gli eroi su erboso sedile,
accoglie Enea, il primo, su cuscino e pelle di

villoso leone e lo invita su trono di acero.
Poi giovani scelti ed il sacerdote dell'altare portano a gara
le

viscere di tori arrostite, accumulano in canestri 180
i doni della laboriosa Cerere, e servono Bacco.
Enea ed insieme la

gioventù troiana si ciba
della intera schiena di un bue e delle sacre viscere.

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