Exim se cuncti divinis rebus ad urbem
8.306
perfectis referunt. ibat rex obsitus aevo,
et comitem Aenean iuxta natumque tenebat
ingrediens varioque viam
sermone levabat.
miratur facilisque oculos fert omnia circum 310
Aeneas, capiturque locis et singula laetus
exquiritque auditque virum monimenta priorum.
tum rex Evandrus Romanae conditor arcis:
‘haec nemora indigenae
Fauni Nymphaeque tenebant
gensque virum truncis et duro robore nata, 315
quis neque mos neque cultus erat, nec iungere
tauros
aut componere opes norant aut parcere parto,
sed rami atque asper victu venatus alebat.
primus ab aetherio
venit Saturnus Olympo
arma Iovis fugiens et regnis exsul ademptis. 8.320
is genus indocile ac dispersum montibus altis
composuit legesque dedit, Latiumque vocari
maluit, his quoniam latuisset tutus in oris.
aurea quae perhibent illo
sub rege fuere
saecula: sic placida populos in pace regebat, 325
deterior donec paulatim ac decolor aetas
et belli
rabies et amor successit habendi.
tum manus Ausonia et gentes venere Sicanae,
saepius et nomen posuit Saturnia tellus;
tum reges asperque immani corpore Thybris, 330
a quo post Itali fluvium cognomine Thybrim
diximus; amisit verum
vetus Albula nomen.
me pulsum patria pelagique extrema sequentem
Fortuna omnipotens et ineluctabile fatum
his
posuere locis, matrisque egere tremenda 335
Carmentis nymphae monita et deus auctor Apollo.’
Vix ea dicta, dehinc
progressus monstrat et aram
et Carmentalem Romani nomine portam
quam memorant, nymphae priscum Carmentis honorem,
vatis fatidicae, cecinit quae prima futuros 8.340
Aeneadas magnos et nobile Pallanteum. spondaico
hinc lucum
ingentem, quem Romulus acer asylum
rettulit, et gelida monstrat sub rupe Lupercal
Parrhasio dictum Panos de more
Lycaei.
nec non et sacri monstrat nemus Argileti 345
testaturque locum et letum docet hospitis Argi.
hinc ad
Tarpeiam sedem et Capitolia ducit
aurea nunc, olim silvestribus horrida dumis.
iam tum religio pavidos terrebat
agrestis
dira loci, iam tum silvam saxumque tremebant. 350
‘hoc nemus, hunc’ inquit ‘frondoso vertice collem
(quis deus incertum est) habitat deus; Arcades ipsum
credunt se vidisse Iovem, cum saepe nigrantem
aegida
concuteret dextra nimbosque cieret.
haec duo praeterea disiectis oppida muris, 355
reliquias veterumque vides monimenta
virorum.
hanc Ianus pater, hanc Saturnus condidit arcem;
Ianiculum huic, illi fuerat Saturnia nomen.’
talibus
inter se dictis ad tecta subibant
pauperis Evandri, passimque armenta videbant 8.360
Romanoque foro et lautis mugire
Carinis.
ut ventum ad sedes, ‘haec’ inquit ‘limina victor
Alcides subiit, haec illum regia cepit.
aude,
hospes, contemnere opes et te quoque dignum
finge deo, rebusque veni non asper egenis.’ 365
dixit, et angusti subter
fastigia tecti
ingentem Aenean duxit stratisque locavit
effultum foliis et pelle Libystidis ursae:
nox ruit et
fuscis tellurem amplectitur alis.
Versione tradotta
Celebrati dunque i riti sacri, tutti si recano
in città. Avanzava il re, coperto di anni,
e
procedendo teneva vicino Enea, come compagno,
ed il figlio ed alleviava la via con vario parlare.
Enea ammira e porta i
facili occhi attorno 310
a tutto, è colpito dai luoghi e lieto chiede
cosa per cosa ed ascolta i ricordi degli eroi
precedenti.
Allora il re Evandro, fondatore della rocca romana:
"Questi boschi li occupavano Fauni e Ninfe
indigene
popolo di eroi nato dai tronchi e dal duro rovere, 315
essi non avevano né tradizione né culto, né
sapevano
aggiogare tori o raccogliere beni o conservare il prodotto,
ma rami ed aspra caccia li forniva di vitto.
Per
primo venne Saturno dall'etereo Olimpo
fuggendo le armi di Giove, esule, perduti i poteri. 320
Egli raccolse la razza
indocile e dispersa sugli
alti monti e diede leggi, preferì che si chiamasse
Lazio, poiché sicuro fu latitante in queste
terre.
D'oro furon le epoche, che tramandano, sotto quel re:
così in placida pace governava i popoli, 325
fino a
quando succedette poco a poco una età deteriore
ed offuscata e la rabbia della guerra e l'amor di possedere.
Allora
giunsero un manipolo ausonio e le genti sicane,
più spesso la terra saturnia prese nome;
allora (vennero) re e l'aspro
Tevere dal corpo gigantesco 330
da cui poi (noi) Itali chiamammo il fiume col nome
di Tevere; perse l'antico vero nome
di Albula.
Me, cacciato dalla patria e che seguivo i confini del mare,
la Fortuna onnipotente ed il fato
ineluttabile
mi posero in questi luoghi, e (mi) spinsero i tremendi 335
moniti della madre, la ninfa Carmente ed Apollo,
dio promotore."
Appena detto questo, avanzantosi da lì mostra sia l'altare
sia la porta che i Romani chiamano col nome
di Carmentale, antico onore della ninfa Carmenta
indovina profetica, che per prima profetò i futuri 340
grandi Eneadi
ed il nobile Pallanteo.
Da qui mostra l'immenso bosco, che il forte Romolo rese
asilo ed il Lupercale sotto la gelida
rupe secondo
ol costume parrasio detto di Pan liceo.
Mostra pure la selva del sacro Argileto, 345
attesta il luogo e
racconta la morte dell'ospite Argo.
Da qui lo conduce alla sede tarpeia ed al Cmpidoglio,
ora d'oro, un tempo irto
di rovi selvaggi.
Già allora la terribile venerazione del luogo atterriva
i paurosi contadini, già allora tremavano per
la selva e la roccia. 350
"Questo bosco, disse, colle dalla cima frondosa,
(quale dio è incerto) l'abita un dio; gli
Arcadi credono
aver visto lo stesso Giove, mentre spesso scuoteva
con la destra egida nereggiante e radunava i
nembi.
Inoltre queste due città dalla mura abbattute, 355
tu vedi i resti ed i ricordi degli antichi eroi.
Questa la
fondò il padre Giano, questa rocca Saturno;
questa ebbe nome Gianicolo, quella Saturnia."
Con tali discorsi tra loro
s'avvicinavano ai tetti
del povero Evandro, qua e là vedevano armenti 360
muggire nel foro romani e nelle ricche
Carine.
Come si giunse al palazzo, " Queste soglie, disse, le passò
Alcide vincitore, questa reggia l'accolse.
Osa
, ospite, disprezzare le ricchezze e renditi tu pure
degno del dio, vieni non non superbo con le cose povere." 365
Disse
e condusse il grande Enea sotto i frontoni
del piccolo tetto e lo accomodò sdraiato
sulle foglie stese e sulla pelle di
un'orsa libica:
la notte precipita e con le fosche ali abbraccia la terra.
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