Nelle “Meditazioni sul Chisciotte”, Ortega scrive una frase che ben circoscrive la sua concezione dell’uomo: ” io sono io e la mia circostanza “. Per ” circostanza “, Ortega non vuole indicare soltanto l’ambiente fisico in cui ogni essere umano vive, ma anche l’ambiente sociale. La “circostanza” orteghiana ò la base che si impone ad ogni uomo già a partire dalla sua nascita: ò il luogo, il tempo, la società : ” circostanza! Circum-stantia! Le cose mute che stanno nei nostri più prossimi dintorni! “. Con questo insieme di poliedriche concretezze, con questo orizzonte al cui centro ò il singolo, l’uomo deve costantemente rapportarsi. Si giunge ad una prospettiva che non ò mai decisa una volta per tutte, anzi, la prospettiva adottata va di volta in volta messa tra parentesi. L’ Io deve continuamente impegnarsi in questo rapporto gnoseologico-etico con il suo circostante e operare uno sguardo di se stesso proiettato all’esterno per non arenarsi in una visione soggettiva e unilaterale delle decisioni prese, seguendo la propria personalissima vocazione. La visione orteghiana della circostanza quale cifra del vitale soggettivismo, non ò da confondere con un esasperato individualismo. Anzi, si crea un legame, un ponte di connessione estremamente inscindibile tra il mio mondo e il mondo. Si ò all’interno di uno scambio alchemico tra ambiente ed essere. Non vi ò in Ortega un essere ontologico astratto, certo, perchè la metafisica sistematica, come lo spirito spagnolo vuole, non ò accettata dal filosofo del razio-vitalismo. Per essere si intende l’essere concreto, proprio come l’amico filosofo Unamuno, che parlava di ” uomo in carne ed ossa “, o della sua allieva Maria Zambrano, che ebbe la fortuna di assistere alle lezioni di Ortega, docente di metafisica all’Università di Madrid. E’ essenziale mettersi in relazione problematica ed autentica con la propria “circostanza”, perchè questo rapporto elastico, mai rigido, permette all’uomo di trovare il senso della vita, della propria vita, trovando la propria vocazione e permettendogli di attuarla. Così spiega Josò Ortega: ” il senso della vita consiste nell’accettare ciascuno la propria inesorabile circostanza e, nell’accettarla, convertirla nella propria vocazione “. Riassumendo questi passaggi essenziali: Ortega presenta l’essere reale che deve essere legato all’osservazione delle cose concrete e non astratte e universali: la loro immediatezza non costituisce la totalità , così come la circostanza individuale non ò un mondo chiuso, ma una parte dell’universo. L’uomo singolo esamina parti dell’universo, costituito dalla sua circum-stantia in cui egli stesso ò incluso, e ha un’idea astratta del totale. Le parti e il totale hanno bisogno l’uno dell’altra al fine di un’autentica comprensione: come non ò ammissibile una scelta estrema tra i due poli, così ò imprescindibile un vitale e prospettico dialogo tra il limitato conosciuto e l’illimitato sconosciuto. Per conosciuto e sconosciuto, si intende una conoscenza fenomenologica. La verità ò pertanto la verità di singole parti della realtà , del circum-stante di cui ho avuto percezione sensoriale: l’ho visto, l’ho toccato. Io ne ho fatto esperienza hic et nunc. La verità assoluta ò riscontrabile, quindi, nell’immediatezza di una personale percezione, nasce dall’incontro tra il punto di vista soggettivo e corporale con l’oggetto osservato, scoperto, esperito. Per fare un semplice esempio: se dico che qui c’ò un cane, nessuno può dubitare che ci sia, nemmeno Dio, ma questo ò vero qui e ora, non in un altro luogo e in un altro momento. La verità ha quindi sempre un valore prospettico: ciò che ho visto in quel ben determinato momento ò esattamente ciò che ho visto e non ò detto che, ad uno sguardo successivo, non scopra un aspetto prima magari celato o da me ignorato. Allo stesso modo non ò detto che la mia personale scoperta successiva non implichi una verità opposta alla precedente. Quando osservo un oggetto non ho mai una visione tridimensionale, ma bidimensionale. Per vedere ciò che sta dietro o di lato, devo cambiare prospettiva e allora scopro qualcosa che precedentemente non avevo visto perchè non potevo vederlo. Quindi: il punto di vista mi offre una verità , sì, ma mai globale bensì prospettica. Si potrebbe fraintendere Ortega e attribuirgli un certo dualismo tra soggetto/oggetto. In realtà , per quanto finora si sia fatta menzione di soggetto conoscente e oggetto conosciuto, era solo a fini esemplaristici. Non dimentichiamo la frase iniziale con cui si ò aperto il paragrafo: ” io sono io e la mia circostanza ” e la spiegazione successiva con cui si indicava il legame di continuità ( continuum ) tra i due termini. C’ò un soggetto, l’ “io”, e c’ò un oggetto, che ò la circum-stantia, ossia una realtà che ò composta dal concreto sociale, temporale, esperenziale del singolo. “Io” e “circostanza” non sono due insiemi separati e nemmeno la contiguità sarebbe un termine adatto: perchè “io” e “circostanza” non si toccano soltanto, bensì si integrano e uno dà senso all’altro, si situano sul medesimo piano del reale: ” questo settore della realtà circostante costituisce l’altra metà della mia persona: solo con il suo tramite posso integrarmi ed essere pienamente me stesso io sono io e la mia circostanza, e se non salvo lei non salvo neppure me “. Quali sono le implicazioni nell’ambito della vita del singolo, dell’uomo? Vivere hic et nunc, essere operanti, presenti, adattarsi all’ambiente e adattare l’ambiente a noi stessi, scoprire ed attuare la propria vocazione. Vita non ò mera biologia, ma anche biografia e soprattutto una particolare autobiografia che si scrive in tempo reale: si ò più volte accennato alla “vocazione” del singolo e alla necessità di scoprirla ed attuarla. Questo implica un ulteriore passaggio: ” l’uomo ò l’essere condannato a tradurre la necessità in libertà “. Analizziamo innanzitutto il concetto orteghiano di libertà : alla sua base c’ò la fantasia. E’ questo il tramite per cui l’ “io” inventa la propria esistenza. Si tratta di una forza che rende l’uomo essere progettante, che senza tregua confronta i progetti elaborati nel mondo interiore del soggetto con la situazione del mondo esterno. Si esercita la libertà per ” decidere ciò che dobbiamo essere in questo mondo “: “dobbiamo”, scrive Ortega. Quindi esercitare la libertà individuale, fantasticare e attuare il proprio personale progetto seguendo la propria vocazione ò una necessità . E’ necessario esercitare la libertà e autoprogettarsi. La vita ò necessariamente anche immaginazione, fantasia che guida la ragione nella scoperta di nuovi orizzonti, dando corpo a concetti inediti per la formulazione di nuove idee. Cosa che la ragione, per sua costituzione, non potrebbe fare da sola.. Chi ò quindi l’uomo? Niente di estremo, nè angelo nè bestia (corre il ricordo all’ Oratio de hominis dignitate di Pico della Mirandola e al discorso di Dio ad Adamo al momento della creazione) ma un essere finito e limitato dalla propria circostanza, da un punto di vista prospettico del mondo e da ciò che la realtà concreta gli offre, un essere concreto che deve cercare di corrispondere alla sua vocazione, migliorando se stesso e il circostante. L’uomo quindi agisce e trasforma non solo il suo “io”, ma anche la realtà fisica e quella sociale. In tal caso ò utile soffermarsi sul concetto di generazione. Ortega ne individua ben tre, ognuna con una propria peculiarità . La generazione cumulativa ò la generazione all’interno della quale ogni individuo appartiene, un insieme di persone che condividono, nella stessa categoria spazio- temporale, il medesimo retroscena fatto di problemi, emergenze, difficoltà , speranze. La generazione polemica ò invece formata da quell’insieme di uomini che si oppongono al lascito di chi li ha preceduti, anche se spesso ò una rottura più apparente ed ideologica che reale, perchè i mutamenti collettivi hanno in genere vita breve. Tuttavia la generazione polemica può divenire decisiva e apportare vere e proprie rivoluzioni che concretizzano una nuova configurazione alla collettività . All’interno della generazione (cumulativa), questi individui sono sempre minoranze scelte dotate di fantasia e coraggio. La storia quindi si muove, si sviluppa, si trasforma. E’ uno sviluppo comprensibile a partire dall’azione creatrice di individui intraprendenti, che hanno corrisposto alla propria vocazione.
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