Dio Padre, potenza prima ed inesprimibile, contemplando il Figlio
(la Sapienza) con lo Spirito Santo (l’Amore) che Padre e Figlio spirano eternamente,
creò con ordine così perfetto tutto
ciò che prende vita nella mente (le cose spirituali) e nello spazio (le cose materiali), che chi contempla l’opera del creato
non può fare a meno di godere di questa potenza ordinatrice.
Alza dunque con me, o lettore lo sguardo ai cieli ruotanti,
precisamente quel punto dove il moto diurno di tutti i corpi celesti si incontra col moto annuo dei pianeti;
e da quel
punto comincia a contemplare con amore l’opera di quell’Artefice che nella sua mente l’ama a tal punto da non distaccare mai
l’occhio (della sua provvidenza) da essa.
Vedi come da quel punto si distacca il cerchio obliquo (dello zodiaco) nel quale
si muovono i pianeti, per soddisfare le esigenze della terra che ha bisogno di essi e delle loro influenze.
E se la strada
percorsa dai pianeti (lo zodiaco) non fosse obliqua, molta della virtù attiva dei cieli resterebbe inutile, e quaggiù sulla
terra sarebbe spenta quasi ogni potenzialità di vita;
e se l’inclinazione dello zodiaco rispetto all’equatore fosse
maggiore o minore, ne deriverebbe una grave imperfezione all’ordine terrestre nell’emisfero australe e in quello
boreale.
Ora, o lettore, resta pure seduto sul tuo banco, a meditare su quello di cui ti ho offerto soltanto un assaggio, se
vuoi provare la gioia (della scienza) che non lascia avvertire la stanchezza. Ti ho messo in tavola il cibo: ormai puoi
servirti da solo, perché l’argomento di cui ho incominciato a scrivere concentra su di se tutta la mia attenzione.
Il sole,
il più importante ministro esistente nel creato, il quale più degli altri astri imprime nel mondo le virtù degli influssi
celesti e con la sua luce ci dà la misura del tempo,
trovandosi in congiunzione con quel punto che ho prima ricordato,
girava per le spirali ascendenti dello zodiaco nelle quali sorge ogni giorno più presto ;
ed io mi trovavo nel cielo del
Sole ; ma non mi ero accorto del mio salire, allo stesso modo in cui l’uomo non s’accorge del sopraggiungere di un pensiero
prima del suo manifestarsi alla coscienza.
E’ Beatrice colei che in tal modo guida da un cielo inferiore ad un altro
superiore con tanta rapidità, che la durata dell’atto non si estende in uno spazio di tempo percettibile. Quanto dovevano
essere luminose per se stesse che erano nel cielo del Sole dove io entrai, visibili non per il colore diverso, ma per la luce
più intensa (che irradiavano)!
Per quanto io chiamassi in aiuto tutto il mio ingegno e l’arte e l’esperienza non riuscirei
mai a trovare un’espressione tanto efficace, da far immaginare (quello che vidi); ma si può credere (alle mie parole) e intanto
si può desiderare di vederlo (in cielo).
E non c’è da stupirsi se la nostra facoltà immaginativa è insufficiente a
rappresentare una così intensa luminosità, perché non vi fu mai alcun occhio mortale che potesse vedere una luce superiore a
quella del sole.
Così era qui la quarta schiera delle anime elette dall’eccelso Padre, che continuamente le appaga,
rivelando come genera il Figlio e come lo Spirito Santo spira (da Lui e dal Figlio).
E Beatrice cominciò a dire:
“Ringrazia, ringrazia Dio, il sole degli angeli, perché per sua grazia ti ha elevato a questo sole percepibile coi sensi”.
Non ci fu mai cuore di uomo mortale così disposto alla devozione e tanto pronto a volgersi a Dio con tutta la sua
gratitudine, quale divenne il mio a quelle parole; e tutto il mio amore si concentrò in Lui a tal punto, che cancellò dalla mia
memoria Beatrice.
A lei non dispiacque; anzi ne fu così lieta, che il fulgore dei suoi occhi sorridenti distrasse la mia
mente concentrata in Dio dividendola tra due oggetti (in più cose: fra Dio e Beatrice).
Io vidi numerosi splendori, tanto
vivi da vincere (la luce del sole) disporsi in corona attorno a noi, ed erano più dolci nel loro canto di quanto non fossero
luminosi nel loro aspetto:
così vediamo talvolta la luna ( identificata nella mitologia classica con la dea Diana, figlia
di Latona e di Giove) cingersi di un alone, quando l’aria è così satura di vapori, che trattiene in se il raggio lunare che
forma la cintura luminosa.
Nella corte celeste, dalla quale io sono tornato, ci sono molte gemme così preziose e belle che
non è possibile portarle fuori di quel regno (e descriverle); e il canto di quegli spiriti splendenti era una di quelle gemme:
chi non mette le ali in modo da poter volare fin lassù, è come se attendesse notizie di quei luoghi da un muto.
Dopo che,
cantando in modo cosi dolce, quelle luci ardenti ebbero fatto tre giri intorno a noi, muovendosi lentamente come stelle che
ruotano vicine ai poli fissi (del cielo),
esse mi apparvero come donne che, senza interrompere le movenze della danza, si
arrestino in silenzio, rimanendo in ascolto finché non abbiano percepito le nuove note musicali (che annunciano un nuovo giro
di danza);
e dentro ad una di queste luci udii dire: “Poiché il raggio della grazia divina, da cui è acceso in noi l’amore
del vero bene (Dio) e che poi in virtù di questo amore cresce sempre più, risplende in te così moltiplicato, che ti conduce su
per la scala dei cieli, per la quale nessuno può discendere senza che poi possa risalire, chi ti rifiutasse il vino della sua
ampolla per soddisfare la tua sete (di sapere), non godrebbe della libertà (che distingue i beati), proprio come un corso d’
acqua che non va a gettarsi in mare (perché impedito da qualche ostacolo).
Tu vuoi sapere di quali anime si adorna questa
corona che, standole intorno, contempla con amore Beatrice, la bella donna che ti dà la virtù necessaria per salire al cielo.
Io fui uno degli agnelli del santo gregge che Domenico guida per un cammino dove ci si può arricchire spiritualmente se non
si inseguono cose vane.
Questo che a destra mi è più vicino, mi fu fratello e maestro, ed è Alberto di Colonia, ed io sono
Tommaso d’Aquino.
Se vuoi parimenti essere informato su tutti gli altri spiriti, segui il mio discorso con lo sguardo
girando gli occhi sulla ghirlanda di questi beati.
Quell’altra fiamma è l’espressione della felicità di Graziano, il quale
giovò al tribunale civile e a quello ecclesiastico, tanto che la sua opera è gradita a Dio.
L’altro che vicino a Graziano
adorna il nostro coro, fu quel Pietro che offrì il tesoro della sua sapienza alla Santa Chiesa come la poverella (del Vangelo).
Il quinto spirito, che è il più splendente tra noi, nelle sue opere spira tale amore, che tutto il mondo laggiù sulla
terra brama sapere (se sia salvo o dannato): in questa luce intelligenza di Salomone, nella quale venne infusa una sapienza
così profonda, che, se la Sacra Scrittura è verace, non nacque mai un uomo dotato di così grande scienza.
Vicino a lui vedi
la luce di quel luminare che sulla terra, durante la vita mortale, trattò più a fondo di tutti la natura e l’ufficio degli
angeli. Nell’altra luce più piccola sorride quel difensore del Cristianesimo dei cui discorsi si giovò Sant’Agostino.
Ora se
muovi l’attenzione della mente da una luce all’altra seguendo l’ordine dei miei elogi, già ti fermi con il desiderio di sapere
chi sia l’ottava.
Dentro è beata perché vede Dio, sintesi d’ogni bene, l’anima santa di Boezio, la quale a chi ben medita le
sue opere manifesta la vanità dei beni mondani: il corpo dal quale fu cacciata (con violenza) è sepolto giù in terra nella
chiesa di San Pietro in Ciel d’Oro;
ed essa giunse nella nostra pace celeste dopo il martirio e l’esilio terreno.
Dopo
Boezio vedi come fiammeggiano le anime ardenti di Isidoro, di Beda e di Riccardo, che nella scienza della contemplazione fu
dotato di intelligenza superiore a quella di un uomo.
Questi per cui il tuo sguardo ritorna a me, è la luce di uno spirito
al quale, vivendo immerso in angosciosi pensieri, parve di arrivare troppo tardi alla morte:
è la luce inestinguibile di
Sigieri, il quale insegnando (a Parigi) in via della Paglia, espose con sillogismi verità che gli procurarono l’invidia degli
avversari”.
Poi, come un orologio a sveglia che ci chiami nell’ora in cui la Chiesa sorge a cantare le lodi del mattino al
suo Sposo perché continui ad amarla,
orologio nel quale una parte del congegno tira e spinge producendo un tintinnio con
melodia così dolce, che riempie d’amor di Dio l’anima fervorosa,
allo stesso modo (in cui si muove questo orologio) vidi la
gloriosa corona dei beati muoversi danzando e accordare una voce all’altra con una modulazione e una dolcezza tali che non
possono essere conosciute se non in paradiso, là dove la gioia (che ispira questo canto) dura in eterno.
- 200 e 300
- Parafrasi Paradiso
- Dante
- Letteratura Italiana - 200 e 300