Somnium Scipionis Paragrafo 26: versione tradotta - StudentVille

Paragrafo 26

Quae cum dixisset: ‘Ego vero,’ inquam,

‘Africane, si quidem bene meritis de patria quasi limes ad caeli aditus patet, quamquam a pueritia vestigiis ingressus

patris et tuis decori vestro non defui, nunc tamen tanto praemio exposito enitar multo vigilantius.’ Et ille: ‘Tu vero

enitere et sic habeto, non esse te mortalem, sed corpus hoc; nec enim tu is es, quem forma ista declarat, sed mens cuiusque is

est quisque, non ea figura, quae digito demonstrari potest. Deum te igitur scito esse, si quidem est deus, qui viget, qui

sentit, qui meminit, qui providet, qui tam regit et moderatur et movet id corpus, cui praepositus est, quam hunc mundum ille

princeps deus, et ut mundum ex quadam parte mortalem ipse deus aeternus, sic fragile corpus animus sempiternus movet.

Versione tradotta

Dopo che ebbe così parlato, gli dissi: «Allora, o Africano, se

davvero per chi vanta dei meriti verso la patria si apre una sorta di sentiero per l’accesso al cielo, io, sebbene fin

dall’infanzia, calcando le orme di mio padre e le tue, non sia mai venuto meno al vostro decoro, adesso tuttavia, di fronte

a una ricompensa così grande, mi impegnerò con attenzione molto maggiore». Ed egli: «Sì, impegnati e tieni sempre per certo che

non tu sei mortale, ma lo è questo tuo corpo: non rappresenti infatti ciò che la tua figura esterna manifesta, ma l’essere

di ciascuno di noi è la mente, non certo l’aspetto esteriore che si può indicare col dito. Sappi, dunque, che tu sei un dio,

se davvero è un dio colui che vive, percepisce, ricorda, prevede, regge e regola e muove il corpo cui è preposto, negli stessi

termini in cui quel dio sommo governa questo universo; e come quel dio eterno dà movimento all’universo, mortale sotto un

certo aspetto, così l’anima sempiterna muove il fragile corpo.

  • Letteratura Latina
  • Somnium Scipionis di Marco Tullio Cicerone
  • Cicerone

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