Quae cum dixisset: ‘Ego vero,’ inquam,
‘Africane, si quidem bene meritis de patria quasi limes ad caeli aditus patet, quamquam a pueritia vestigiis ingressus
patris et tuis decori vestro non defui, nunc tamen tanto praemio exposito enitar multo vigilantius.’ Et ille: ‘Tu vero
enitere et sic habeto, non esse te mortalem, sed corpus hoc; nec enim tu is es, quem forma ista declarat, sed mens cuiusque is
est quisque, non ea figura, quae digito demonstrari potest. Deum te igitur scito esse, si quidem est deus, qui viget, qui
sentit, qui meminit, qui providet, qui tam regit et moderatur et movet id corpus, cui praepositus est, quam hunc mundum ille
princeps deus, et ut mundum ex quadam parte mortalem ipse deus aeternus, sic fragile corpus animus sempiternus movet.
Versione tradotta
Dopo che ebbe così parlato, gli dissi: «Allora, o Africano, se
davvero per chi vanta dei meriti verso la patria si apre una sorta di sentiero per l’accesso al cielo, io, sebbene fin
dall’infanzia, calcando le orme di mio padre e le tue, non sia mai venuto meno al vostro decoro, adesso tuttavia, di fronte
a una ricompensa così grande, mi impegnerò con attenzione molto maggiore». Ed egli: «Sì, impegnati e tieni sempre per certo che
non tu sei mortale, ma lo è questo tuo corpo: non rappresenti infatti ciò che la tua figura esterna manifesta, ma l’essere
di ciascuno di noi è la mente, non certo l’aspetto esteriore che si può indicare col dito. Sappi, dunque, che tu sei un dio,
se davvero è un dio colui che vive, percepisce, ricorda, prevede, regge e regola e muove il corpo cui è preposto, negli stessi
termini in cui quel dio sommo governa questo universo; e come quel dio eterno dà movimento all’universo, mortale sotto un
certo aspetto, così l’anima sempiterna muove il fragile corpo.
- Letteratura Latina
- Somnium Scipionis di Marco Tullio Cicerone
- Cicerone