Plinio il Vecchio - Studentville

Plinio il Vecchio

[T2]La vita[/T]

Gaio Plinio Secondo detto il

“Vecchio” nacque a Como nel 23-24 d.C.; egli apparteneva all’ordine equestre romano e comandò a lungo uno squadrone di

cavalleria sul Reno. Vero modello di funzionario imperiale, ricoprì anche importanti incarichi amministrativi durante i regni

Vespasiano (69-79 d.C.) e Tito (79-81 d.C.). Ammiraglio, infine, della flotta romana stanziata a Miseno (vicino a Napoli),

durante il regno di Tito, egli esercitava ancora questo comando quando trovò la morte per asfissia causata dall’eruzione del

Vesuvio, che seppellì le città campane (soprattutto Pompei ed Ercolano) nell’agosto del 79 d.C., quando Plinio si trovava a

Stabile (odierna Castellammare), dove era andato per studiare da vicino lo straordinario evento e per recare aiuto agli

abitanti del luogo, in particolare all’amico Pomponiano che viveva appunto a Stabia.
Una buona parte delle nostre

informazioni su di lui (sulla vita, sul catalogo delle opere e sul suo metodo di lavoro) ci provengono dalla corrispondenza di

un suo nipote e figlio adottivo, Plinio “il Giovane”.

[T2]Opere[/T]

Studioso infaticabile, prendeva appunti su

tutto ciò che leggeva e vedeva, raccogliendoli in ben 160 volumi. Compose opere di argomenti vari; l’unica pervenuta è la

monumentale Naturalis historia (Storia naturale), in 37 libri. Gli scritti perduti, elencati in ordine cronologico, riportati

dal nipote in una lettera a Tacito, sono: De iaculatione equestri unus, un libro sul lancio del giavellotto da cavallo; De vita

Pomponii Secundi duo, due libri sulla vita del poeta Pomponio Secondo; Bellorum Germaniae viginti, 20 libri sulle guerre di

Germania; Studiosus, 3 libri sulla formazione dell’oratore; Dubii sermonis octo, 8 libri, su questioni grammaticali e

linguistiche, dei quali sono giunti vari frammenti in citazioni di grammatici; A fine Aufidi Bassi triginta unus, 31 libri

sulla continuazione della storia di Roma di Aufidio Basso, dalla morte di Claudio a Vespasiano.

[T2]“Naturalis

histroria”[/T]

Tuttavia, per noi, Plinio è soprattutto un “enciclopedista”, le cui straordinarie conoscenze si trovano

raccolte nei 37 libri della sua “Naturalis histroria” (“Storia naturale”, ma il senso esatto sarebbe piuttosto “La scienza

della natura”), vasta indagine (finita del 77-78) su tutto ciò che esiste in natura, partendo dall’essere umano e passando ad

argomenti che spaziano dall’arte alla medicina, una vera e propria summa del sapere reperibile fino a quel momento in autori

soprattutto greci, ma anche latini; infatti Plinio stesso sottolinea che non si tratta di un lavoro originale e neppure di un’

opera letteraria elaborata che abbia come fine quello di catturare l’attenzione del lettore, è piuttosto un grande archivio di

dati, desunti da un lavoro di schedatura e riassunto di circa 2000 volumi scientifici.
Per quanto riguarda lo stile, Plinio

non scrive sempre allo stesso modo, mescolando “elogi” della scienza, della natura e della terra italica con condanne

moralistiche del lusso e dello sfruttamento della natura.
Il piano dell’opera, aperta da un’epistola dedicatoria e

illustrativa rivolta al futuro imperatore Tito, è il seguente:
– libro I: indice generale dell’opera e bibliografia (una

vera novità, questa, nel mondo classico) libro per libro
– libro II: cosmologia e geografia fisica (astronomia)

libri III-VI: geografia
– libro VII: antropologia
– libro VIII-XI: zoologia
– libri XII-XIX: botanica

libri XX-XXXII: medicina derivata dal regno animale
– libri XXXIII-XXXVII: metallurgia e mineralogia, con ampi

excursus sulla storia dell’arte, con particolare riguardo per la scultura e la pittura
Il VII libro, dedicato all’

antropologia, è uno dei più importanti poiché in esso Plinio attacca il provvidenzialismo della natura che porta a giustificare

i danni e le calamità che la natura arreca all’uomo (malattie, terremoti…); tale idea è in contrasto con la constatazione

razionale e pessimistica della condizione infelice dell’uomo, in cui Plinio vede l’unico essere vivente che la “natura

matrigna” getta piangente e nudo a terra, senza niente che lo protegga, quindi l’uomo è debole e indifeso, ma nello stesso

tempo superbo e avido, tanto da indurlo spesso a danneggiare i propri simili, cosa che non fanno mai gli esemplari delle altre

specie. Plinio tuttavia non attribuisce alla natura una colpa intenzionale, ma si limita a evidenziare la sofferenza dell’uomo,

attenuando quindi il proprio pessimismo antropologico.
In realtà, l’interesse di Plinio non si può definire propriamente

“scientifico”, poiché l’autore non si preoccupa, per esempio, di sottoporre le notizie a un’adeguata e rigorosa verifica, né

sente l’esigenza di proporre un lavoro originale e metodologicamente impostato, infatti egli è piuttosto un avido ed eclettico

collezionista, mosso da una forte curiosità. Infatti Plinio non si rivolge agli specialisti, ma vuole rendere disponibile la

propria opera a tutti come strumento di pubblica utilità.
Comunque, mescolando esperienze personali e testimonianze di fonti

antiche, Plinio ci dà, oltre a innumerevoli, precise e preziose notizie sulle conoscenze scientifiche e letterarie del tempo,

un esempio unico della vastità d’interessi della cultura latina del I secolo d.C., nonché una lampante testimonianza della

diffusione e dell’ascesa dei ceti tecnici e professionali, con la conseguente domanda di cognizioni specifiche ai relativi

settori.
Plinio non è dunque un ricercatore o uno scienziato nel senso moderno del termine, tuttavia la sua enciclopedia,

opportunamente ridotta o pubblicata per sezioni, diventò uno dei testi fondamentali nella tarda latinità e nel Medioevo ed ebbe

un ruolo di primo piano della trasmissione del patrimonio delle conoscenze della civiltà greco-latina e, quindi, nella

formazione delle strutture culturali della nostra società; per esempio, per tutto il Medioevo, uno dei testi fondamentali per

la formazione dei medici era la “Medicina Plinii”, un estratto dei libri della “Naturalis historia” che trattano della

medicina.

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