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Poeti e letterati di fronte alla grande guerra

Tipologia B: ambito artistico-letterario: Poeti e letterati di fronte alla grande guerra.

Il secolo appena trascorso è stato caratterizzato da due eventi significativi: la Prima e la Seconda Guerra Mondiale. La prima “inutile strage”, come la definì papa Benedetto XV, avvenne tra il 1914 e il 1918 e vide il fronteggiarsi della Triplice Intesa (Francia, Inghilterra, Russia) contro la Triplice Alleanza (Austria, Germania e Italia). Quale fu l’atteggiamento dei letterati di fronte alla guerra? Ci fu chi l’esaltò e chi, invece, ne mise in risalto i limiti e le violenze. Tutti gli esponenti appartenenti alla corrente del Futurismo si mostravano favorevoli alla guerra. Essa, come appare dal Manifesto del Futurismo, era considerata l’unica capace di igienizzare il mondo. I futuristi, infatti, rifiutavano la tradizione e si opponevano alla cultura del passato. Per raggiungere una piena modernità, quindi, era necessario far ricorso alle armi. Accanito sostenitore della guerra fu anche il poeta italiano Gabriele d’Annunzio. Egli, infatti, apparteneva alla cosiddetta corrente degli interventisti: l’Italia non entrò subito in guerra, ma aspettò un anno. In quest’arco di tempo, si scontrarono i neutralisti, contrari all’entrata in guerra della nazione, e gli interventisti, favorevoli all’intervento bellico italiano. D’Annunzio, nel discorso tenuto a Quarto il 5 maggio 1915, affermò la sua contentezza nel sapere che finalmente l’Italia era entrata in guerra.
Non tutti i letterati espressero questi comportamenti gioiosi nei confronti del conflitto. Il poeta russo Majakovsfkij, in un suo componimento, mette in risalto le caratteristiche negative dei combattimenti: il rosso purpureo del sangue, le labbra anch’esse bagnate di sangue, le baionette, gli obici. Anche la natura rispecchia la violenza che sta avvenendo in terra: nel Reno scorre sangue, nei cieli di Roma si sente il tuonare delle armi, sempre dal cielo c’è un pianto di lacrime di stelle.
Anche Renato Serra, in Esami di coscienza di un letterato, sostiene l’inutilità della guerra. Essa, infatti, non porta ad alcun cambiamento nel mondo, ma rimane fine a sé stessa. Afferma l’autore: «non fa miracoli. Non paga i debiti, non lava i peccati». Erroneamente l’uomo considera la guerra una “giusta causa”, al termine della quale vuole che chi ha combattuto abbia reso più forte il suo carattere e che chi è morto venga santificato. Ma sulla terra, alla fine del combattimento, non cambia assolutamente nulla poiché tutti morti riposeranno sottoterra mentre spunteranno sempre la stessa erba e il solito Sole di primavera.
La guerra pone tutti sullo stesso piano. Che si appartenga alla nobiltà o che si sia un umile cittadino, il destino di chi è in guerra è, per la maggior parte dei combattenti, sempre uno: la morte. Si pensi alle numerose vittime del primo conflitto mondiale. Esse furono numerose, in quanto il combattimento si trasformò in una lunga ed estenuante guerra di trincea: per conquistare pochi metri di terra, i combattimenti erano estremamente violenti e si perdevano numerose vite umane. Inoltre i soldati vivevano in condizioni precarie all’interno delle stesse trincee: molto spesso morivano a causa del freddo e delle malattie. La morte, quindi, mette tutti sullo stesso piano. Giovanni Papini nell’opera Amiamo la guerra, afferma che le persone decedute sono diverse tra solo dal colore dei vestiti che indossano. Ma Papini è sostenitore dell’utilità della guerra perché essa «rimette in pari le partite» dal momento che «c’è un di troppo di qua e un di troppo di là che si premono» e si deve ritornare necessariamente a un equilibrio.
Anche Thomas Mann, in Pensieri di guerra, esalta la guerra. Egli sostiene che è la sola idea del combattimento ad esaltare i poeti, poiché esso diventa una necessità morale. Bisogna, dunque, combattere perché è la nazione che richiede di farlo e bisogna lottare ad ogni costo, anche andando contro la ragione. Infine, Mann vede nella pace l’elemento di maggiore corruzione civile ed è perciò necessario prendere in mano le armi.
Io sono del parere che la guerra potrebbe essere evitata se solo i diversi popoli fossero aperti maggiormente ad un dialogo reciproco e cercassero di mettere da parte i loro interessi trovando una soluzione consona ad entrambe le parti. Altrimenti ci sarà sempre un conflitto armato che porterà solo ad un’inutile perdita di vite umane.

Stefania Annunziata

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