PSICOLOGIA DI COMUNITA’: COMUNITA’, SOCIENTA’ E CULTURA. La psicologia di comunità nasce negli USA a metà degli anni ’60 presentandosi come una sintesi di pratica clinica e sociale. Essa infatti si configura come area di ricerca così come di intervento e la sua attenzione è rivolta al “luogo” in cui sfera collettiva e individuale, sociale e psicologica si incontrano.
Nella pratica, lo scopo della comunità , così come della psicologia di comunità, è la produzione e il mantenimento di un benessere che abbracci tanto l’individuo quanto il gruppo e la società nel suo complesso. L’intervento attivo, il lavoro di equìpe e la ricerca sull’intervento sono pertanto i mezzi con cui la comunità cerca di ottenere il conseguimento dei suoi obiettivi, in particolare avviando progetti di prevenzione e promozione del benessere.
PSICOLOGIA DI COMUNITA’: IL CONCETTO DI INDIVIDUO. Dal punto di vista delle basi cliniche su cui la psicologia di comunità poggia possiamo notare come si ripresenti una ormai ben nota differenza di prospettive. Pur non potendo prescindere dalla cultura di appartenenza, le diverse comunità sviluppano infatti diversi punti di vista circa i metodi da utilizzare e i concetti di riferimento. In particolare, le posizioni riguardanti il concetto di individuo possono essere racchiuse in due “macro-atteggiamenti”: l’individuo come portatore di un problema da correggere o l’individuo come portatore di risorse che richiedono aiuto nel loro sviluppo. Il secondo atteggiamento riverbera poi nella realtà pratica di interventi sempre più personalizzati e finalizzati alla produzione di un benessere inteso relazionalmente, questo anche in funzione di una sempre più crescente consapevolezza dell’interdipendenza fra individuo e contesti di appartenenza. A questo riguardo è interessante notare come negli ultimi anni siano nate sempre più comunità e siano stati progettati sempre più interventi partendo da un’ottica di empowerment e di mutuo-aiuto: l’individuo viene coinvolto nell’intervento di cui diventa erogatore e fruitore attraverso lo sviluppo di un appartenenza all’insegna della condivisione e della partecipazione. Gli operatori intervengono quindi secondo il principio di sussidiarietà sostenendo gli sforzi degli utenti senza sostituirsi a questi ultimi che si scoprono sempre più capaci e responsabili del benessere proprio quanto di quello altrui, sempre meno soli nell’affrontare problemi che in realtà si rivelano come comuni (e quindi condivisi e condivisibili) più che intimi e personali.
E’ evidente come la psicologia di comunità metta diversi contesti in relazione fra loro e debba essere fluida nel seguire i cambiamenti socioculturali in cui si immerge, in particolar modo se il benessere che ha come obiettivo è inteso come insieme di più fattori di diversa natura. Ad esempio, i progetti, gli interventi e la loro valutazione (preferibilmente effettuata prima, durante e alla fine dell’intervento) richiedono finanziamenti, pubblici o privati, e questi dipendono tanto dai valori culturali dominanti quanto dalle condizioni sociopolitiche in cui si vuole o deve operare. E’ richiesto inoltre lo sviluppo di canali di comunicazione efficaci fra i diversi enti (fra i finanziatori, gli enti coinvolti nel progetto e le differenti figure che vi partecipano) proprio per poter far fronte a eventuali imprevisti o necessità in corso d’opera, e questo dipende molto dai valori che caratterizzano l’uno o l’altro ente.
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