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Schleiermacher

Il pensiero del filosofo.

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Schleiermacher Nell’ambito del circolo romantico di Berlino spicca indiscutibilmente l’illustre figura di Friedrich Daniel Ernst Schleiermacher (1768-1834). Questi studiò a Halle, dove ricevette una formazione di stampo illuministico, dedicandosi con particolare zelo allo studio di Immanuel Kant. In un secondo tempo si cimentò nella lettura dei testi di Jacobi e Spinoza e, in virtù dei contatti con Friedrich Schlegel, si distaccò dal freddo razionalismo settecentesco e abbracciò con passione la causa romantica. Insegnò Teologia prima all’università di Halle, poi in quella di Berlino (fondata nel 1810), dove fu attivo fino alla morte. Le sue opere principali sono i Discorsi sulla religione (1799), i Monologhi (1800) e La fede cristiana (1821-1822). Il fulcro degli interessi di Schleiermacher è costituito dalla filosofia della religione e della teologia; in contrasto con le interpretazioni razionalistiche dell’illuminismo, Schleiermacher definisce la religione come un’ intuizione dell’infinito nella forma del sentimento . La religione infatti altro non è che “accettare ogni cosa particolare come una parte del tutto, ogni cosa finita come espressione dell’infinito”. Visto che l’infinito coincide con l’universo, la religione sarà quindi intuizione dell’universo, inteso in primis come universale naturale, come insieme delle cose finite che rimandano all’infinito, in secundis come universo morale in cui consiste lo spirito dell’uomo. Dire che la religione è intuizione dell’universo non significa però sostenere che con essa l’uomo raggiunga una completa conoscenza dell’infinito, dato che un infinito da cui fosse eliminato il senso del mistero e dell’ineffabilità non sarebbe più tale: “Voler penetrare più profondamente nella natura e nella sostanza del tutto non è più religione”. L’intuizione dell’universo implica semplicemente il sentimento della dipendenza del finito dall’infinito , dell’uomo da Dio (ed è in esso che consiste l’atteggiamento autenticamente religioso). Ma tale sentimento non è un qualcosa di contingente e passeggero, non è uno stato emotivo che cambia con il variare delle condizioni che lo hanno determinato, bensì è connaturato alla costituzione stessa dell’uomo; riprendendo un linguaggio di tipo kantiano, Schleiermacher dice che esso è un linguaggio trascendentale. Sebbene sia fondata su un linguaggio trascendentale, l’esperienza religiosa si manifesta in forma individuale in ogni singolo uomo. Ogni individuo vive infatti in modo singolare la sua intuizione dell’infinito: in senso proprio, quindi, le religioni sono tante quanti sono gli individui. Questo spiega il fatto che storicamente la religione abbia assunto forme diverse e si sia istituzionalizzata in una pluralità di fedi positive. Nessuna di queste religioni esaurisce in sé l’essenza stessa della religione, ma ciascuna di esse è pienamente giustificata, in quanto è uno dei possibili modi finiti in cui si palesa l’infinito. La sola religione il cui valore non viene riconosciuto da Schleiermacher è quella naturale, che cerca di comprendere razionalmente Dio e di dimostrarne argomentativamente l’esistenza: in questo modo però l’infinito viene ridotto alla stregua del finito e l’uomo si chiude nell’esperienza religiosa. Schleiermacher concentra le sue riflessioni filosofiche non solo sui temi della religione, ma anche su quelli della dialettica e dell’etica. Nelle lezioni sulla Dialettica (edite postume nel 1939) egli definisce questa disciplina come la dottrina dei princìpi pertinenti all’arte del filosofare. Il sapere umano è frantumato in due poli antitetici: da un lato il dato empirico, l’elemento reale, la natura; dall’altro lato, la forma del pensiero, l’elemento ideale, la ragione. L’avvicinamento di questi due poli non è mai attuabile nell’uomo, dato che il sapere concettuale, che gli è proprio, procede sempre per opposizioni e distinzioni. Ma l’uomo sente che il proprio sapere dipende dalla presupposizione di quell’unità che deve essere intuita in un (segue nel file da scaricare)

  • Filosofia

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