L’oggettivazione della volontà nel mondo fenomenico ò principio di sofferenza e di dolore. La liberazione da questi mali deve quindi necessariamente passare attraverso la negazione del mondo fenomenico, in cui la nostra individualità ò legata alla catena dei bisogni e delle soddisfazioni. Bisogna dunque attingere una forma di conoscenza che non obbedisca più al principio di ragion sufficiente, il quale, attraverso le forme a priori dello spazio, del tempo e della causalità , determina necessariamente la dimensione individuale dell’uomo. Questo scopo ò conseguito mediante l’ arte che ò per Schopenhauer conoscenza delle idee. Nell’esperienza artistica infatti il soggetto riesce a svincolare l’oggetto dalle condizioni spaziali, temporali e causali che lo individualizzano e riesce a contemplarlo come una specie universale, come un’essenza, come l’immediata oggettività della volontà . L’artista appare, così, quale soggetto assoluto di una conoscenza pura, precedente al processo di fenomenizzazione. Anche le idee sono rappresentazioni, ma in esse l’elemento rappresentativo si riduce al fatto primario e universale del necessario rapporto tra soggetto e oggetto. In esse la relazione tra le due componenti della conoscenza non ò ancora (o non ò più, dal momento che con l’arte si ripercorre al contrario il processo conoscitivo) determinata dalle forme a priori. Nell’arte, tra soggetto e oggetto non vi ò dunque alcuna mediazione, ma il secondo occupa interamente la coscienza del primo, oppure, il che ò lo stesso, il primo si perde nel secondo. Naturalmente ciò comporta, da parte dell’artista, la capacità di negare anche la sua propria individualità , liberandosi di tutti gli interessi e di tutte le volontà particolari che lo legano alla determinatezza fenomenica: egli deve diventare un puro contemplatore disinteressato. Questa capacità di liberarsi dall’individualità per contemplare l’universale non solo per un attimo, ma per tutto il tempo necessario alla riproduzione dell’esperienza artistica nell’opera d’arte, ò ciò che contraddistingue il genio dall’uomo prosaico. L’arte, tuttavia, costituisce solamente il primo gradino del processo di negazione della volontà da parte dell’individuo. Essa ò pur sempre qualcosa di temporaneo, in quanto legata al momento della contemplazione dell’idea, sia attraverso l’opera creatrice dell’artista, sia attraverso la fruizione dell’opera d’arte da parte dello spettatore. Una più duratura liberazione dai mali della volontà può derivare dalla morale, la quale rappresenta la naturale continuazione dell’attività artistica. La virtù, infatti, nasce sempre da una forma di conoscenza. Attraverso la virtù, però, la conoscenza va al di là delle manifestazioni fenomeniche della volontà , che costituiscono l’esperienza ordinaria, e attinge la vera natura della volontà stessa, rendendo l’uomo consapevole delle dolorose conseguenze cui essa conduce. La conoscenza cessa così di acconsentire all’impulso vitale fondamentale e di fungere da ‘motivo’ (inteso come ‘ciò che muove’) dell’azione umana, ma diventa piuttosto un quietivo della volontà : essa si traduce in un atteggiamento di negazione del volere, in modo da sortire immediatamente anche un effetto sulla vita pratica dell’uomo. Per far questo, bisogna estendere dal piano conoscitivo a quello pratico quella sospensione del ‘principio di individuazione’ che ò già stata realizzata dalla contemplazione artistica. In questo modo, l’uomo non considererà più se stesso come un individuo contrapposto ad altri individui, cioò come espressione di bisogni e interessi che lo portano necessariamente al conflitto con il suo vicino. Al contrario, egli opererà in modo da far convergere in un’unica realtà il proprio io e quello degli altri, eliminando ogni conflittualità tra gli individui. Questo obiettivo viene conseguito dapprima in negativo, limitandosi a non compiere azioni che possano ledere la volontà degli altri: ò questo il diritto, che si realizza esteriormente nell’ambito dello Stato. Successivamente il superamento della contrapposizione inter-individuale deve essere conseguito anche mediante un agire in positivo, cioò attraverso un atteggiamento fattivamente caritatevole nei confronti del prossimo: in ciò consiste la compassione, che può nascere solamente nella sfera dell’interiorità dell’uomo. Ma diritto e compassione si limitano a negare la volontà individuale, eliminando il conflitto tra uomo e uomo. Un più alto grado del processo di liberazione dai mali della vita richiede invece una negazione della volontà di vivere in se stessa. A questo scopo ò infatti finalizzata l’ ascesi, intesa come sistematica mortificazione dei bisogni della vita sensibile (in primis dell’impulso sessuale) in modo da ridurre il più possibile non solo il nostro consapevole consenso alla volontà , ma la stessa oggettivazione della volontà noumenica nel mondo fenomenico. L’ideale a cui ogni procedura ascetica deve tendere ò la completa negazione della volontà , ovvero, il che ò lo stesso, l’affermazione della nolontà , della non volontà . L’esito finale del processo di negazione della volontà deve quindi portare al nulla. Con questo termine Schopenhauer non indica alcunchò di positivo, come potrebbe essere l’estasi in cui il mistico si perde nella totalità del divino, dato che il contenuto estatico sfugge a ogni comunicazione inter-personale, e quindi si colloca al di là del piano della filosofia. Il nulla esprime esclusivamente la completa negazione della volontà di vivere, la quale porta con sè anche la negazione del mondo come oggettivazione di questa volontà . Nella formulazione del concetto di nulla Schopenhauer ò stato indubbiamente influenzato dalla nozione di Nirvana, che ò centrale nel pensiero delle Upanishad. Tuttavia, nella concezione indiana il Nirvana appare ancora come qualcosa di positivo: un nulla-tutto in cui l’individuo si perde, risolvendo completamente in esso la sua specificità . In quanto tale, per Schopenhauer il Nirvana degli indiani ò ancora un’illusione. Il nulla deve essere qualcosa di assolutamente negativo, la pura e semplice ‘nolontà ‘, senza alcun riempimento sostitutivo del vuoto a cui essa porta. Per questo motivo Schopenhauer porta come modello più appropriato le vite dei santi, che si sono completamente liberati dal condizionamento della volontà . Ma nella tradizione cristiana il vuoto lasciato dalla negazione del mondo si riempie positivamente dalla comunione tra il santo e la divinità . Attraverso l’ascesi il misticismo cristiano giunge alla totale affermazione di Dio; quello di Schopenhauer ò invece un misticismo ateo che rifiuta il mondo per giungere alla pura negatività . In questo senso la sola speranza che l’ uomo, almeno in quanto individuo, ha di conseguire il nulla è la morte, la quale dissipa l’illusione che separa la coscienza individuale dall’universale e dà la certezza della fine temporale dell’individuo. Paradossalmente, dunque, la morte costituisce l’unica nota di speranza nella pessimistica concezione schopenhaueriana della realtà .
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- Filosofia - 1800