Tema storico: La crisi del 1929 - Studentville

Tema storico: La crisi del 1929

Nell’ottobre del 1929 scoppiò negli Stati Uniti una gravissima crisi economica, destinata a durare a lungo e a propagarsi rapidamente in Europa. Illustra le origini di tale crisi, soffermandoti particolarmente sulle conseguenze che essa ebbe nell’economia e sulle soluzioni politiche adottate nei paesi europei.

Con la fine della prima guerra mondiale, gli Stati Uniti riescono a imporsi come principale potenza economica a livello internazionale. L’uscita dalla guerra, però, non fu facile per la maggior parte dei paesi europei, e dopo una breve ripresa (tra il 1925 e il 1926), le economie di tutto il mondo dovettero affrontare quella che è forse tutt’ora da considerare come la più grande crisi delle borse di tutti i tempi. Nell’ottobre del 1929, infatti, il clamoroso crollo dei titoli azionari della borsa di New York, segnò l’inizio della cosiddetta “grande crisi”, crisi che ebbe almeno per i successivi venti anni delle ripercussioni importantissime non solo economiche, ma anche politiche, per tutte le più importanti potenze mondiali.
Le cause della crisi del Ventinove sono da individuare essenzialmente in due fattori: il primo è la crisi del credito, dovuta alle speculazioni dei grandi finanzieri internazionali e di una parte rilevante di piccoli e medi risparmiatori. Quando, durante i primi giorni della crisi, la notizia riguardo un crollo del valore delle azioni cominciò a diffondersi, i clienti delle banche accorsero a ritirare i propri depositi, tanto che gli operatori non furono più in grado di restituire liquidità ai risparmiatori. Allo stesso tempo, l’economia doveva fare i conti con la seconda causa della recessione: la crisi di sovrapproduzione dovuta all’incapacità del mercato americano di reggere la concorrenza europea, con conseguente crollo dei prezzi, che si estese rapidamente dai generi alimentari all’intera produzione interna. A causa delle forti relazioni commerciali tra gli Stati Uniti e i paesi europei, la crisi si diffuse molto rapidamente anche nel vecchio continente. Inoltre, il governo americano guidato da H.C.Hoover adottò immediatamente delle misure protezionistiche, provvedimento che costrinse, nella pratica, a chiudersi a loro volta su sé stessi. Le conseguenze della crisi, insomma, si dimostrarono fortissime anche in Europa, prima da un punto di vista economico, e successivamente anche politico. La riduzione degli scambi commerciali si tradusse quasi subito in una riduzione e poi quasi in una paralisi della produzione, e in una serie di incredibili svalutazioni della moneta. Le risposte, però, arrivarono soprattutto sul piano politico.
La Gran Bretagna, forte dei rapporti privilegiati con i paesi del Commonwealth, provò ad uscire dalla crisi aumentando ulteriormente gli scambi commerciali con i paesi appartenenti all’area, in cambio di una certa liberalizzazione nei rapporti politici. Facendo “fronte comune” con i propri partners commerciali, riuscì così ad attutire, anche se moderatamente, gli effetti della crisi, attraverso la riduzione dei dazi doganali all’interno del Commonwealth e la difesa dei prodotti inglesi sul mercato internazionale. Tutto questo, però, costò all’impero britannico la concessione del diritto di autogoverno ai sei Dominions allora esistenti: il Canada, l’Australia, l’Unione sudafricana, la Nuova Zelanda, Terranova e lo Stato libero di Irlanda.
Ancora differenti furono le ripercussioni politiche che la crisi del ’29 ebbe sugli altri stati europei. Per quanto riguarda la Germania, c’è da dire che se fino ad allora la destra violenta, eversiva e nazista che avrebbe poi dato vita al partito nazionalsocialista, godeva di un consenso tutto sommato modesto, proprio la crisi economica – fortissima nell’allora Repubblica di Weimar – riuscì a far guadagnare a Hitler l’appoggio di un ceto medio praticamente allo sbando. Dai piccoli industriali agli artigiani, dal ceto impiegatizio agli studenti, passando per i militari, in molti furono affascinati dal programma estremista del partito nazista, che proponeva il superamento della congiuntura sfavorevole attraverso una chiusura che fondasse le proprie basi su un ritorno allo spirito germanico, che sarebbe stato, tra le altre cose, capace di vendicare i torti subiti nel corso e al termine della prima guerra mondiale. La reazione autoritaria alla crisi, infatti, apriva anche alla possibilità di un nuovo conflitto, inteso, dal punto di vista economico, come l’occasione per rilanciare l’industria internazionale. Se Hitler si impossessava del potere attraverso un colpo di stato, Mussolini dal canto suo, che in Italia aveva ormai consolidato il proprio regime dittatoriale, contestava sempre più apertamente gli assetti europei stabiliti dalla pace di Versailles, e chiedeva a gran voce la revisione dei trattati di pace.
Le risposte, insomma, date dai governi europei alla crisi economica del 1929 furono molto varie, sia dal punto di vista economico che politico. È vero, inoltre, che alla chiusura britannica e alla reazione autoritaria tedesca, corrisposero talvolta delle risposte “a sinistra”. In Francia, per esempio, dove la crisi arrivò piuttosto tardi (intorno al 1932), e dove proprio il rischio concreto di una avanzata delle destre, portò al trionfo nelle elezioni del ’36 del cosiddetto Fronte popolare, costituito da socialisti, comunisti e radicali, nel tentativo di scongiurare una eventuale presa del potere fascista.
Risposte molto diverse quindi, ma che in un modo o nell’altro concorsero a creare quella situazione di forte tensione che, esattamente dieci anni dopo lo scoppio della crisi, porterà la maggior parte dei paesi del mondo a trovarsi coinvolti nel più grande conflitto che la storia abbia conosciuto.

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