Un recente studio condotto da Censis Confcooperative, intitolato “Intelligenza artificiale e persone: chi servirà a chi?“, ha analizzato l’impatto dell’IA sul mercato del lavoro italiano. La ricerca, presentata a Roma, stima che circa 6 milioni di lavoratori potrebbero perdere il proprio impiego nei prossimi anni, sostituiti dall’intelligenza artificiale nei processi produttivi.
Nonostante questo scenario preoccupante, lo studio evidenzia anche potenziali benefici economici: entro il 2035, il PIL italiano potrebbe crescere dell’1,8%, equivalente a circa 38 miliardi di euro, proprio grazie all’implementazione dell’IA.
I lavoratori più a rischio
L’avanzamento dell’intelligenza artificiale minaccia diverse categorie professionali, in particolare quelle con mansioni facilmente automatizzabili. Secondo il rapporto Censis Confcooperative, i professionisti maggiormente esposti sono contabili, tecnici bancari, statistici, matematici, periti, tesorieri e ragionieri, le cui attività potrebbero essere completamente digitalizzate.
Un dato preoccupante emerge dall’analisi: le donne sembrano essere più vulnerabili agli effetti della sostituzione tecnologica rispetto agli uomini. Paradossalmente, anche i lavoratori con elevato livello d’istruzione, inclusi i laureati, risultano più a rischio rispetto a chi possiede titoli di studio inferiori, poiché spesso impiegati in ruoli che richiedono competenze analitiche e organizzative ora replicabili dall’IA.
L’impatto in numeri
Secondo il rapporto Censis Confcooperative, l’impatto dell’intelligenza artificiale sul mondo del lavoro sarà significativo nei prossimi anni. Almeno 15 milioni di lavoratori subiranno conseguenze sulla propria professione entro il 2035: di questi, circa 6 milioni rischiano di essere completamente sostituiti, mentre altri 9 milioni vedranno l’IA affiancarli nelle loro mansioni quotidiane.
Il fenomeno interesserà anche professioni considerate tradizionalmente più sicure: avvocati, notai, magistrati, dirigenti, psicologi e archeologi potrebbero essere parzialmente sostituiti in alcune funzioni specifiche.
La situazione italiana mostra un certo ritardo: solo l’8,2% delle imprese italiane utilizza attualmente tecnologie di intelligenza artificiale, una percentuale nettamente inferiore rispetto al 19,7% della Germania e alla media europea del 13,5%. Anche rispetto a Francia (9,91%) e Spagna (19,7%), l’Italia evidenzia un divario preoccupante, particolarmente marcato nei settori del commercio e della manifattura. Le previsioni indicano che nei prossimi anni il 27% delle ore lavorate in Europa sarà automatizzato, con impatti maggiori nelle aree della ristorazione, del supporto d’ufficio e della produzione industriale.
Come sottolinea il presidente di Confcooperative Maurizio Gardini, è fondamentale un cambio di rotta negli investimenti tecnologici, mettendo però sempre le persone “al centro del modello di sviluppo con l’intelligenza artificiale al servizio dei lavoratori e non viceversa“.