Negli ultimi dieci anni il sistema universitario italiano ha registrato una crescita significativa del numero complessivo di iscritti. Secondo i dati del Ministero dell’Università e della Ricerca, gli studenti sono passati da 1.702.414 nell’anno accademico 2014/2015 a 2.025.434 nel 2024/2025, con un incremento del 19%. Il ritmo delle immatricolazioni si è attestato stabilmente oltre le 300mila nuove unità annue.
Nonostante questa espansione degli accessi, la percentuale di laureati nella fascia di popolazione tra i 25 e i 34 anni resta ferma al 31,6%, collocando l’Italia tra i Paesi con i valori più bassi in Europa. Il paradosso è evidente: l’aumento delle immatricolazioni non si traduce in un incremento proporzionale dei laureati, rivelando un sistema che attrae studenti ma fatica a condurli al conseguimento del titolo.
Il primo anno come collo di bottiglia: tasso di abbandono al 7,1%
Il primo anno di università rappresenta il momento più critico dell’intero percorso accademico. Secondo gli open data del Ministero dell’Università e della Ricerca, nell’anno accademico 2022/23 il 7,1% delle matricole ha abbandonato gli studi entro i primi dodici mesi dall’immatricolazione.
Si tratta di una dispersione significativa che coinvolge migliaia di studenti ogni anno, interrompendo il percorso formativo prima ancora di consolidarlo.
L’aspetto più preoccupante emerge dal confronto temporale: dieci anni prima, nel 2012/13, il tasso di abbandono al primo anno si attestava al 5,9%. Nonostante l’aumento delle immatricolazioni e i numerosi interventi nel sistema universitario, il fenomeno non solo non è migliorato, ma si è consolidato come criticità strutturale. L’incremento di 1,2 punti percentuali testimonia che le misure adottate non hanno ancora prodotto gli effetti sperati sul contenimento della fuoriuscita precoce.
Questo dato trasforma il primo anno in un vero e proprio snodo decisivo: chi supera questa fase ha maggiori probabilità di proseguire, mentre chi incontra difficoltà iniziali tende ad abbandonare rapidamente, contribuendo a quel fenomeno di “dispersione universitaria” che caratterizza il sistema italiano.
Le cause evidenziate: orientamento debole e offerta non allineata
Il sistema universitario italiano presenta due criticità strutturali che alimentano la dispersione studentesca. La prima riguarda un processo di orientamento in ingresso poco efficace, che non sempre aiuta gli studenti a compiere scelte consapevoli e coerenti con le proprie inclinazioni.
Molte matricole si iscrivono a corsi senza una reale comprensione di contenuti, metodi di studio e sbocchi professionali, aumentando il rischio di disillusione precoce.
La seconda criticità emerge dall’offerta formativa, che non sempre risulta compatibile con i talenti e le capacità effettive degli iscritti di portare a termine il percorso intrapreso. Questo disallineamento tra aspettative, preparazione di base e richieste dei corsi di laurea genera un effetto “colabrodo”: il sistema attrae numerosi studenti ma ne perde una quota significativa lungo il percorso, vanificando gli sforzi di ampliamento dell’accesso all’università.
Le differenze di genere: maggioranza femminile tra gli iscritti, abbandoni simili
Le studentesse rappresentano la maggioranza assoluta degli iscritti universitari, con 1.152.280 presenze contro gli 873.154 studenti uomini. Nonostante questa preponderanza numerica, il tasso di abbandono al primo anno riguarda entrambi i sessi in misura sostanzialmente simile: le ragazze non si dimostrano migliori dei ragazzi nel portare a termine il percorso iniziale.
La prevalenza femminile caratterizza la composizione della popolazione universitaria, ma non si traduce in una differenza significativa nella probabilità di permanenza al termine del primo anno accademico.