Capitolo 30 - Studentville

Capitolo 30

Promessi Sposi - Analisi Capitolo 30: approfondimento circa la psicologia dei protagonisti degli eventi, lo stile narrativo e il contesto sociale del capitolo.

I Promessi Sposi – Analisi del Capitolo 30

Analisi del Capitolo 30 dei Promessi Sposi di Alessandro Manzoni

Luoghi: la strada per il castello dell’innominato, il castello, la strada dal castello al paesello, la casa del sarto, la casa di Agnese, la canonica dio don Abbondio.

Tempo: settembre-ottobre 1629.

Il capitolo è suddiviso in tre macrosequenze ambientate in tre luoghi diversi: la vita al castello dell’innominato, il viaggio di ritorno al paesello con una sosta a casa del sarto e il riordino delle case dopo la devastazione. La struttura è costruita in modo simmetrico rispetto a quella del capitolo 29 e il tempo del capitolo è una continuazione di quello del capitolo precedente. Il percorso di ritorno che i tre compiono è lo stesso dell’andata, ma questa volta la sosta a casa del sarto è brevissima e non costituisce un nucleo narrativo.

L’ACCOGLIENZA DELL’INNOMINATO

alla vista dell’innominato, don Abbondio indossa la sua maschera ufficiale, tipica del vigliacco, a coprire la spontaneità con cui si è comportato con le due donne. Con loro ha espresso liberamente la sua stizza, lamentandosi di tutto, rimproverandole  e mettendole a tacere quando gli facevano notare l’assurdità delle sue paure, badando bene a non farsi sentire da altri; al vedere il signore che gli si fa incontro scatta invece in una mossa da automa, come quando, sentendo dai bravi il nome di don Rodrigo, faceva, come per istinto, una grand’inchino (Capitolo 1).
Il registro linguistico, che con le donne era quello popolare, ora si sdoppia in un linguaggio cerimonioso e retorico. All’ipocrisia del curato si contrappongono il modo confidenziale di rapportarsi ai potenti e la lingua spontanea di Agnese, che r ingrazia semplicemente con una familiarità disinvolta.

IL RITORNO A CASA

il rientro è un trauma per i personaggi, seppure non inaspettato. Il viaggio tra i paesi e le campagne devastati li ha preparati agli effetti devastanti della guerra. La reazione di Agnese è quella ottimistica e serena di sempre: spazza e rigoverna quello che le è rimasto e fa riparare ciò che è rotto, ma con la tranquillità di chi non teme la fatica. Più traumatico è il rientro del curato e di Perpetua, perché alla violenza sulla casa, i soldati hanno aggiunto lo scherno di luterani con un sacerdote cattolico; la violazione della casa si rivela subito nella porta aperta, come già prevedeva la saggi a Perpetua, e nel nauseante tanfo pestifero. È una delle poche volte in l’olfatto e non l’udito precede la vista e preannuncia l’orrore: la vista conferma lo sfacelo e il lettore non può fare a meno di associare i resti degli oggetti del curato alla sua immagine che, dopo l’incontro con i bravi, si barricava al sicuro nella propria casa.
L’esterno, invece, per un momento fa respirare i due personaggi all’aria aperta, ma solo per creare suspense con l’immagine della terra smossa, accentuata dal grido comune e risolta con la scoperta che il denaro è stato trafugato. L’immagine richiama una scena da cimitero profanato, che serve al narratore per ironizzare sulla somma cura con cui il curato salvaguardava il suo prezioso denaro persino dagli sguardi di Tonio e Gervaso, trascurando invece di nasconderlo adeguatamente quando si è trattato di fuggire.

IL LINGUAGGIO PARLATO DAI PROTAGONISTI

Perpetua commenta il disastro in casa con un volgare Ah porci!, il curato usa un’espressione dialettale un po’ meno volgare, Ah baroni!,  come abbiamo visto altre volte (quando i bravi entrarono in casa di Lucia per esempio) Manzoni esprime la violenza non sui corpi, ma sulla casa. Nel caso della canonica la violenza è doppia: a quella fisica, distruttiva dei soldati, si aggiunge il saccheggio dei beni residui da parte degli stessi parrocchiani.
Naturalmente don Abbondio non reagisce né all’una né all’altra, benché sua ridotto a farsi prestare i soldi da Agnese; non si dice nulla invece riguardo la chiesa, ma il curato decisamente non se ne cura e d’altro canto per il narratore sarebbe stata una profanazione troppo grave. Il capitolo si chiude con una prolessi che annuncia sventure in climax: apprensioni…guai…disastro. La pausa comica delle vicende del curato ha avuto il compito di rilassare l’atmosfera prima della tragedia finale, che si prepara con la suspense di questa chiusa.


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