Il Canto 2 dell’Inferno della Divina Commedia appresenta il vero prologo dell’intero viaggio dantesco, un momento cruciale in cui si chiarisce la dimensione provvidenziale dell’opera. Dopo l’incontro con le tre fiere e con Virgilio nel Canto I, Dante si trova ora ad affrontare i propri dubbi e timori prima di intraprendere il cammino attraverso i regni dell’aldilà.
Indice:
Introduzione al Canto II dell’Inferno
Il Canto II dell’Inferno rappresenta un momento cruciale nella struttura della Divina Commedia, fungendo da prologo essenziale prima dell’effettivo ingresso nell’oltretomba.
- Titolo: Canto II dell’Inferno
- Opera: Divina Commedia
- Autore: Dante Alighieri
- Periodo di composizione: 1304-1321
- Ambientazione temporale: Sera del Venerdì Santo (8 aprile 1300)
- Struttura metrica: Terzine di endecasillabi a rima incatenata (ABA, BCB, CDC…)
Ambientato nella sera del Venerdì Santo del 1300, questo canto ci mostra un Dante esitante, tormentato dalla consapevolezza della propria inadeguatezza rispetto alla missione che lo attende. Il poeta si paragona a figure eccelse come Enea e San Paolo, che prima di lui avevano compiuto viaggi ultraterreni, ma si ritiene indegno di tale privilegio.
È in questo momento di crisi che Virgilio rivela al pellegrino l’intervento divino che ha mosso l’intero disegno: tre donne benedette – Beatrice, Santa Lucia e la Vergine Maria – hanno interceduto per lui dal Paradiso, attivando una catena di soccorso celeste che testimonia come il viaggio non sia frutto del caso o della sola volontà umana, ma risponda a un preciso disegno della Provvidenza.
Il canto è ricco di simboli chiave come la selva (rappresentazione del peccato), la luce celeste (grazia divina) e le tre donne benedette. Si evidenziano riferimenti letterari fondamentali nella similitudine con Enea, che discese agli inferi per volere divino, e San Paolo, che fu rapito al terzo cielo, entrambi exempla con cui Dante si confronta nel celebre verso “Io non Enea, io non Paolo sono” (v. 32).
2 Canto Divina Commedia: testo e parafrasi
Testo originale | Parafrasi |
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Lo giorno se n’andava, e l’aere bruno toglieva li animai che sono in terra da le fatiche loro; e io sol uno | Il giorno stava finendo, e l’aria scura liberava dalle loro fatiche gli esseri viventi che sono sulla terra; e solo io |
m’apparecchiava a sostener la guerra sì del cammino e sì de la pietate, che ritrarrà la mente che non erra. | mi preparavo ad affrontare la dura prova sia del viaggio sia della sofferenza [alla vista dei tormenti infernali], che descriverà con precisione la mia memoria. |
O muse, o alto ingegno, or m’aiutate; o mente che scrivesti ciò ch’io vidi, qui si parrà la tua nobilitate. | O Muse, o grande intelligenza, ora aiutatemi; o memoria che registrasti ciò che io vidi, qui si mostrerà la tua eccellenza. |
Io cominciai: «Poeta che mi guidi, guarda la mia virtù s’ell’è possente, prima ch’a l’alto passo tu mi fidi. | Io iniziai: «Poeta che mi guidi, considera se la mia forza è sufficiente, prima di affidarmi a questa ardua impresa. |
Tu dici che di Silvïo il parente, corruttibile ancora, ad immortale secolo andò, e fu sensibilmente. | Tu racconti che il padre di Silvio [Enea], ancora in vita nel corpo mortale, andò nel mondo immortale, con i suoi sensi corporei. |
Però, se l’avversario d’ogne male cortese i fu, pensando l’alto effetto ch’uscir dovea di lui, e ‘l chi e ‘l quale, | Perciò, se l’avversario di ogni male [Dio] fu benevolo con lui, considerando le importanti conseguenze che sarebbero derivate da lui, e chi e quale sarebbe stato, |
non pare indegno ad omo d’intelletto; ch’e’ fu de l’alma Roma e di suo impero ne l’empireo ciel per padre eletto: | non sembra ingiusto a una persona intelligente; poiché egli fu scelto come padre della gloriosa Roma e del suo impero nell’empireo: |
la quale e ‘l quale, a voler dir lo vero, fu stabilita per lo loco santo u’ siede il successor del maggior Piero. | la quale città e il quale impero, a voler dire la verità, furono stabiliti per essere la sede santa dove risiede il successore del maggior Pietro [il Papa]. |
Per quest’andata onde li dai tu vanto, intese cose che furon cagione di sua vittoria e del papale ammanto. | Durante questo viaggio, di cui tu gli dai merito, apprese cose che furono causa della sua vittoria e del potere papale. |
Andovvi poi lo Vas d’elezïone, per recarne conforto a quella fede ch’è principio a la via di salvazione. | Vi andò poi il Vaso d’elezione [San Paolo], per portare conforto a quella fede che è l’inizio della via della salvezza. |
Ma io perché venirvi? o chi ‘l concede? Io non Enea, io non Paulo sono: me degno a ciò né io né altri ‘l crede. | Ma io perché dovrei andarci? Chi me lo concede? Io non sono Enea, non sono Paolo: né io né altri mi considera degno di ciò. |
Per che, se del venire io m’abbandono, temo che la venuta non sia folle. Se’ savio; intendi me’ ch’i’ non ragiono». | Perciò, se mi arrendo all’idea di questo viaggio, temo che l’impresa possa essere folle. Tu sei saggio; comprendi più di quanto io non dica». |
E qual è quei che disvuol ciò che volle e per novi pensier cangia proposta, sì che dal cominciar tutto si tolle, | E come colui che non vuole più ciò che voleva e a causa di nuovi pensieri cambia proposito, tanto da abbandonare completamente ciò che aveva iniziato, |
tal mi fec’io ‘n quella oscura costa, perché, pensando, consumai la ‘mpresa che fu nel cominciar cotanto tosta. | così mi comportai io su quel pendio oscuro, perché, riflettendo, abbandonai l’impresa che all’inizio era stata intrapresa con tanto slancio. |
«S’i’ ho ben la parola tua intesa», rispuose del magnanimo quell’ombra, «l’anima tua è da viltade offesa; | «Se ho ben compreso le tue parole», rispose l’ombra di quel nobile [Virgilio], «la tua anima è sopraffatta dalla viltà; |
la qual molte fïate l’omo ingombra sì che d’onrata impresa lo rivolve, come falso veder bestia quand’ombra. | la quale spesso ostacola l’uomo tanto da distoglierlo da un’impresa onorevole, come una percezione ingannevole fa indietreggiare un animale quando si spaventa. |
Da questa tema acciò che tu ti solve, dirotti perch’io venni e quel ch’io ‘ntesi nel primo punto che di te mi dolve. | Per liberarti da questa paura, ti dirò perché sono venuto e ciò che seppi nel primo momento in cui mi preoccupai per te. |
Io era tra color che son sospesi, e donna mi chiamò beata e bella, tal che di comandare io la richiesi. | Io ero tra coloro che sono in sospeso [nel Limbo], e una donna mi chiamò, beata e bella, tanto che le chiesi di comandarmi. |
Lucevan li occhi suoi più che la stella; e cominciommi a dir soave e piana, con angelica voce, in sua favella: | I suoi occhi brillavano più di una stella; e iniziò a parlarmi dolcemente e con calma, con voce angelica, nel suo linguaggio: |
“O anima cortese mantoana, di cui la fama ancor nel mondo dura, e durerà quanto ‘l mondo lontana, | “O anima gentile mantovana, la cui fama ancora dura nel mondo, e durerà quanto il mondo [continuerà a esistere], |
l’amico mio, e non de la ventura, ne la diserta piaggia è impedito sì nel cammin, che vòlt’è per paura; | il mio amico, non della sorte [ma vero amico], è ostacolato nella spiaggia deserta così nel cammino, che ha tornato indietro per paura; |
e temo che non sia già sì smarrito, ch’io mi sia tardi al soccorso levata, per quel ch’i’ ho di lui nel cielo udito. | e temo che sia già così smarrito, che io mi sia mossa troppo tardi per soccorrerlo, per quanto ho udito di lui in cielo. |
Or movi, e con la tua parola ornata e con ciò c’ha mestieri al suo campare, l’aiuta sì ch’i’ ne sia consolata. | Ora va’, e con la tua parola elegante e con ciò che è necessario alla sua salvezza, aiutalo in modo che io ne sia consolata. |
I’ son Beatrice che ti faccio andare; vegno del loco ove tornar disio; amor mi mosse, che mi fa parlare. | Io sono Beatrice che ti faccio andare; vengo dal luogo dove desidero tornare; amore mi mosse, che mi fa parlare. |
Quando sarò dinanzi al segnor mio, di te mi loderò sovente a lui”. Tacette allora, e poi comincia’ io: | Quando sarò davanti al mio Signore [Dio], mi loderò spesso di te davanti a lui”. Tacque allora, e poi iniziai io: |
“O donna di virtù, sola per cui l’umana spezie eccede ogne contento di quel ciel c’ha minor li cerchi sui, | “O donna virtuosa, solo grazie a te la specie umana supera ogni cosa contenuta in quel cielo che ha i cerchi più piccoli [la Luna], |
tanto m’aggrada il tuo comandamento, che l’ubidir, se già fosse, m’è tardi; più non t’è uo’ ch’aprirmi il tuo talento. | tanto mi piace il tuo comando, che l’ubbidire, se già lo fosse, mi sembra tardo; non hai bisogno di spiegarmi ulteriormente il tuo desiderio. |
Ma dimmi la cagion che non ti guardi de lo scender qua giuso in questo centro de l’ampio loco ove tornar tu ardi”. | Ma dimmi la ragione per cui non hai timore di scendere quaggiù in questo centro [Limbo] dall’ampio luogo [Paradiso] dove desideri ardentemente tornare”. |
“Da che tu vuo’ saver cotanto a dentro, dirotti brievemente”, mi rispuose, “perch’i’ non temo di venir qua entro. | “Poiché vuoi sapere così a fondo, ti dirò brevemente”, mi rispose, “perché non temo di venire qui dentro. |
Temer si dee di sole quelle cose c’hanno potenza di fare altrui male; de l’altre no, ché non son paurose. | Si devono temere solo quelle cose che hanno il potere di fare del male agli altri; delle altre no, perché non sono spaventose. |
I’ son fatta da Dio, sua mercé, tale, che la vostra miseria non mi tange, né fiamma d’esto incendio non m’assale. | Io sono fatta da Dio, per sua grazia, tale, che la vostra miseria non mi tocca, né la fiamma di questo incendio mi assale. |
Donna è gentil nel ciel che si compiange di questo ‘mpedimento ov’io ti mando, sì che duro giudicio là sù frange. | C’è una donna gentile in cielo che si addolora per questo impedimento a cui io ti mando [a risolvere], tanto che mitiga il severo giudizio divino lassù. |
Questa chiese Lucia in suo dimando e disse: – Or ha bisogno il tuo fedele di te, e io a te lo raccomando -. | Questa [Maria] chiamò Lucia con la sua richiesta e disse: – Ora il tuo devoto ha bisogno di te, e io te lo raccomando -. |
Lucia, nimica di ciascun crudele, si mosse, e venne al loco dov’i’ era, che mi sedea con l’antica Rachele. | Lucia, nemica di ogni crudeltà, si mosse, e venne al luogo dove io ero, che sedevo con l’antica Rachele. |
Disse: – Beatrice, loda di Dio vera, ché non soccorri quei che t’amò tanto, ch’uscì per te de la volgare schiera? | Disse: – Beatrice, vera lode di Dio, perché non soccorri colui che ti amò tanto, che uscì per te dalla schiera comune [si distinse]? |
Non odi tu la pieta del suo pianto, non vedi tu la morte che ‘l combatte su la fiumana ove ‘l mar non ha vanto? -. | Non senti la pietà del suo pianto, non vedi la morte che lo minaccia sul fiume dove il mare non ha vittoria? -. |
Al mondo non fur mai persone ratte a far lor pro o a fuggir lor danno, com’io, dopo cotai parole fatte, | Al mondo non ci furono mai persone veloci a fare il proprio vantaggio o a fuggire il proprio danno, come io, dopo tali parole pronunciate, |
venni qua giù del mio beato scanno, fidandomi del tuo parlare onesto, ch’onora te e quei ch’udito l’hanno”. | venni quaggiù dal mio seggio beato, fidandomi del tuo parlare onesto, che onora te e coloro che lo hanno ascoltato”. |
Poscia che m’ebbe ragionato questo, li occhi lucenti lagrimando volse; per che mi fece del venir più presto; | Dopo che mi ebbe detto questo, volse gli occhi lucenti piangendo; per cui mi fece affrettare di più nel venire; |
e venni a te così com’ella volse; d’inanzi a quella fiera ti levai che del bel monte il corto andar ti tolse. | e venni a te così come ella volle; ti sottrassi dalla bestia [la lupa] che ti impedì il cammino breve del bel monte. |
Dunque: che è? perché, perché restai? perché tanta viltà nel core allette? perché ardire e franchezza non hai, | Dunque: che c’è? perché, perché ti fermi? perché accogli tanta viltà nel cuore? perché non hai coraggio e franchezza, |
poscia che tai tre donne benedette curan di te ne la corte del cielo, e ‘l mio parlar tanto ben ti promette?». | dato che tali tre donne benedette si preoccupano di te nella corte del cielo, e il mio parlare ti promette tanto bene?». |
Quali fioretti dal notturno gelo chinati e chiusi, poi che ‘l sol li ‘mbianca, si drizzan tutti aperti in loro stelo, | Come i fiorellini, piegati e chiusi dal gelo notturno, quando il sole li illumina, si drizzano tutti aperti sul loro stelo, |
tal mi fec’io di mia virtude stanca, e tanto buono ardire al cor mi corse, ch’i’ cominciai come persona franca: | così divenni io con la mia forza rinvigorita, e tanto buon coraggio mi venne al cuore, che cominciai come persona libera [da paura]: |
«Oh pietosa colei che mi soccorse! e te cortese ch’ubidisti tosto a le vere parole che ti porse! | «Oh pietosa colei che mi soccorse! e te gentile che ubbidisti subito alle vere parole che ti rivolse! |
Tu m’hai con disiderio il cor disposto sì al venir con le parole tue, ch’i’ son tornato nel primo proposto. | Tu mi hai disposto il cuore con desiderio così al venire con le tue parole, che sono tornato al primo proposito. |
Or va, ch’un sol volere è d’ambedue: tu duca, tu segnore, e tu maestro». Così li dissi; e poi che mosso fue, | Ora andiamo, che un solo volere è di entrambi: tu guida, tu signore, e tu maestro». Così gli dissi; e dopo che si fu mosso, |
intrai per lo cammino alto e silvestro. | entrai per il cammino arduo e selvaggio. |
2 Canto Divina Commedia: riassunto e analisi tematica
Il Dubbio di Dante e il Confronto con Enea e San Paolo
Al principio del 2 canto della Divina Commedia, Dante manifesta una profonda inquietudine riguardo la propria capacità di affrontare un viaggio così straordinario attraverso l’oltretomba. La sua crisi si cristallizza nel celebre verso “Io non Enea, io non Paolo sono”, dove il poeta si confronta con due illustri predecessori di viaggi ultramondani: Enea, che discese agli inferi per volere divino prima di fondare Roma, e San Paolo, rapito al terzo cielo. L’umiltà di Dante si esprime nella consapevolezza della propria inadeguatezza rispetto a queste figure eroiche della tradizione classica e cristiana.
Questa dichiarazione non è mera captatio benevolentiae, ma riflette un’autentica crisi esistenziale davanti alla missione affidata. Il paragone sottolinea la tensione tra l’eccezionalità dell’esperienza che sta per intraprendere e la percezione della propria ordinarietà umana, evidenziando quel senso di insufficienza che spesso caratterizza l’uomo davanti al disegno divino.
La grazia divina e l’intervento soprannaturale
Il Canto II illustra come il viaggio di Dante non sia frutto del caso o della sola volontà umana, ma conseguenza di un intervento divino superiore. Le tre donne benedette (Maria, Lucia e Beatrice) rappresentano la catena della grazia divina che discende dall’alto per soccorrere l’uomo smarrito. Questa struttura verticale riflette la concezione medievale della mediazione tra umano e divino, evidenziando un principio fondamentale dell’intera Commedia: l’uomo non può salvarsi da solo, ma necessita dell’aiuto celeste.
Il dubbio umano e la missione divina
Dante rappresenta con intensità drammatica l’esitazione umana di fronte alle grandi imprese spirituali. La sua autoironia poetica emerge quando si definisce “non Enea, non Paolo”, sottolineando la propria umanità imperfetta rispetto ai modelli eroici. Il contrasto tra limitatezza umana e grandezza della missione divina crea una tensione che pervade tutto il canto, riflettendo la condizione dell’uomo medievale, consapevole dei propri limiti ma chiamato a rispondere a una vocazione superiore.
Predestinazione e libero arbitrio
Sebbene il viaggio dantesco sia predisposto dal Cielo, il poeta deve accettarlo liberamente. Questo delicato equilibrio tra volontà divina e libero arbitrio umano costituisce uno dei grandi temi teologici della Commedia. Dante mette in scena il momento cruciale della scelta personale, quando l’uomo deve decidere se accogliere o rifiutare la grazia offerta, evidenziando come la salvezza richieda sia l’intervento divino che la risposta umana.
La figura femminile come mediatrice
Le tre donne del Paradiso, e Beatrice in particolare, incarnano il tema della donna come strumento di elevazione spirituale. Il linguaggio della luce che le caratterizza (raggi, stelle, lume) contrasta con l’oscurità della selva, prefigurando il percorso dalla dannazione alla salvezza. La tradizione stilnovista dell’amore come forza nobilitante viene qui sublimata in chiave cristiana: la donna non è più solo oggetto d’amore terreno, ma guida verso la salvezza eterna, come sintetizzato nel verso “Amor mi mosse, che mi fa parlare”.
Sintesi tra mondo pagano e cristiano
Il riferimento a Enea, eroe pagano ma precursore provvidenziale dell’Impero Romano (visto da Dante come necessario alla diffusione del Cristianesimo), sottolinea la continuità che il poeta vedeva tra cultura classica e cristiana. Virgilio stesso, poeta pagano ma guida nel viaggio cristiano, incarna questa sintesi culturale. La struttura speculare del canto rispetto al primo crea un “prologo doppio” che stabilisce le basi filosofiche dell’intero poema, integrando tradizione classica e teologia cristiana.
La poesia come veicolo di verità
L’invocazione alle Muse all’inizio del canto richiama il valore della poesia come strumento di conoscenza e rivelazione. Per Dante, l’arte poetica non è mero esercizio retorico ma veicolo di verità trascendenti, capace di descrivere realtà che superano l’esperienza ordinaria. La retorica del dubbio, espressa attraverso interrogative ed esclamazioni, rende il lettore partecipe della crisi interiore del poeta, trasformando l’esperienza personale in un viaggio universale di redenzione.
Figure retoriche del Canto 2 dell’Inferno della Divina Commedia
Una delle figure retoriche più ricorrenti nel 2 Canto della Divina Commedia è l’anafora, ovvero la ripetizione di una stessa parola all’inizio di più versi consecutivi, come accade con la ripetizione del “tu” nei versi in cui Dante si rivolge a Virgilio, per sottolineare la grandezza della sua guida. È presente anche il chiasmo, una disposizione incrociata degli elementi della frase, che serve a rafforzare il ritmo e l’equilibrio del discorso poetico.
Molto usata anche la perifrasi, cioè la descrizione indiretta di una persona o concetto. Per esempio, Dante non nomina direttamente Beatrice, ma la presenta attraverso i suoi tratti angelici e spirituali. Altrettanto significativa è la metafora, come nel caso della “notte del corpo umano” (v. 13), che rappresenta lo smarrimento spirituale e il dubbio esistenziale del poeta.
Tra le figure di suono troviamo l’allitterazione, ovvero la ripetizione di suoni simili in parole vicine, che contribuisce a creare un tono musicale e a sottolineare concetti chiave, come nelle frasi in cui Dante esprime ansia e tensione.
Un’altra figura fondamentale è l’esclamazione, con cui Dante esprime con forza il proprio sgomento: “O muse, o alto ingegno, or m’aiutate!”, una invocazione che richiama la tradizione epica ma assume qui un tono personale e quasi drammatico.
2 Canto Divina Commedia: confronto critico e rilevanza storica
Le interpretazioni del 2 Canto dell’Inferno della Divina Commedia presentano notevoli convergenze sulla funzione strutturale: entrambe le fonti lo identificano come prologo essenziale al viaggio dantesco, evidenziando la tensione tra inadeguatezza umana e missione divina. La figura di Beatrice emerge in entrambe come fulcro della catena di intercessione, sebbene con sfumature diverse nell’analisi della gerarchia Maria-Lucia-Beatrice.
Particolarmente significativa è la continuità che Dante stabilisce tra mondo pagano e cristiano. Il riferimento a Enea rappresenta il collegamento provvidenziale tra Roma imperiale e Roma papale, concretizzando la visione dantesca di una storia universale guidata dalla provvidenza divina. Questa sintesi tra classicità e cristianesimo costituisce uno dei contributi più innovativi di Dante alla cultura medievale.
L’impatto del Canto II si estende ben oltre l’opera dantesca. La rappresentazione del dubbio come tappa necessaria nel percorso di redenzione ha influenzato profondamente la letteratura successiva, da Petrarca a T.S. Eliot. La struttura teologica che emerge dal canto, con la triplice intercessione femminile, ha inoltre contribuito all’evoluzione della rappresentazione letteraria della grazia divina, codificando un modello di intervento celeste che ha plasmato l’immaginario religioso occidentale.
Infobox Canto 2 Divina Commedia
Per facilitare la comprensione del Canto 2 dell’Inferno della Divina Commedia, ecco una tabella riassuntiva che raccoglie tutte le informazioni fondamentali.
Caratteristica | Descrizione |
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Titolo | Canto II dell’Inferno |
Opera | Divina Commedia |
Autore | Dante Alighieri |
Periodo di composizione | 1304-1321 |
Ambientazione temporale | Sera del Venerdì Santo (8 aprile 1300) |
Struttura metrica | Terzine di endecasillabi a rima incatenata (ABA, BCB, CDC…) |
Personaggi principali | Dante (protagonista), Virgilio (guida), Beatrice (menzionata), Santa Lucia (menzionata), Vergine Maria (menzionata) |
Ambientazione spaziale | Selva oscura/pendici del colle (ancora sulla Terra) |
Simboli chiave | Tre donne benedette (grazia divina), selva (peccato), luce celeste (salvezza), fiori che si raddrizzano (rinascita spirituale) |
Versi celebri | “Io non Enea, io non Paolo sono” (v. 32) “Tu se’ lo mio maestro e ‘l mio autore” (v. 140) “Amor mi mosse, che mi fa parlare” (v. 72) |
Temi fondamentali | Grazia divina, intervento soprannaturale, dubbio umano, predestinazione e libero arbitrio, vocazione poetica, mediazione femminile, rapporto tra mondo pagano e cristiano |
Riferimenti letterari | Eneide di Virgilio (discesa agli Inferi di Enea), San Paolo (rapimento al terzo cielo) |
Struttura narrativa | Dialogo tra Dante e Virgilio, rivelazione dell’intervento celeste |
Figure retoriche principali | Apostrofe (“O muse, o alto ingegno”), similitudine (i fiori che si raddrizzano), metafore della luce e dell’oscurità |
Ruolo nel poema | Prologo essenziale che chiarisce la dimensione provvidenziale dell’intero viaggio |
Significato allegorico | Il passaggio dal dubbio alla fede, l’accettazione della missione divina |
Le tre donne celesti | Vergine Maria (Carità), Santa Lucia (Speranza), Beatrice (Fede) |
La missione di Virgilio | Guidare Dante attraverso Inferno e Purgatorio fino al Paradiso terrestre |
Modello narrativo | Prologo drammatico che riprende la tradizione classica della discesa agli Inferi |
Transizione narrativa | Dal dubbio (inizio) al coraggio rinnovato (conclusione), preparando l’entrata nell’Inferno |