Divina Commedia, Canto 1 Inferno: testo, parafrasi e analisi

Divina Commedia, Canto 1 Inferno: testo, parafrasi, riassunto e figure retoriche

Il Canto 1 dell’Inferno della Divina Commedia introduce il viaggio di Dante attraverso i regni dell’aldilà. Siamo nella “selva oscura”, simbolo dello smarrimento e della crisi morale che l’uomo può vivere nel corso della vita. Dante, perso e spaventato, tenta di risalire verso un colle illuminato dal sole, ma tre fiere – una lonza, un leone e una lupa – gli sbarrano la strada. In questo momento di disperazione, gli appare l’ombra di Virgilio, poeta latino, che si offre di guidarlo attraverso l’Inferno e il Purgatorio fino a condurlo a Beatrice, simbolo della salvezza e della grazia divina. Questo canto rappresenta l’inizio simbolico del viaggio verso la redenzione.

Introduzione al Canto 1 della Divina Commedia

TitoloCanto I dell’Inferno
OperaDivina Commedia
AutoreDante Alighieri
Composizione1304-1321
Ambientazione temporale1300, anno del Giubileo
Versi136 terzine in endecasillabi a rima incatenata
Personaggi principaliDante pellegrino, Virgilio, le tre fiere (lonza, leone, lupa)
LuoghiSelva oscura, colle illuminato, “piagge deserte”
Elementi simboliciSelva oscura (peccato), colle illuminato (salvezza), sole (grazia divina)
Struttura narrativaSmarrimento iniziale, tentativo di ascesa, incontro con Virgilio
Figure retoriche principaliMetafora, allegoria, similitudine, anastrofe, allitterazione
Temi fondamentaliSmarrimento spirituale, redenzione, allegoria politica, profezia del Veltro
Funzione nell’operaPrologo all’intero poema, introduzione del viaggio ultraterreno
Versi celebri“Nel mezzo del cammin di nostra vita”, “Poeta fui, e cantai di quel giusto”
Influenze letterarieEneide di Virgilio, visioni medievali dell’aldilà, Salmo 90:10

 

Indice:

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Parafrasi e testo del canto 1 dell’Inferno della Divina Commedia

Ecco il testo originale del canto 1 dell’Inferno della Divina Commedia, affiancato dalla parafrasi in italiano moderno, per facilitare la comprensione del capolavoro dantesco.

Testo OriginaleParafrasi
Nel mezzo del cammin di nostra vitaA metà del percorso della nostra vita (cioè all’età di 35 anni)
mi ritrovai per una selva oscura,mi ritrovai smarrito in una selva tenebrosa,
ché la diritta via era smarrita.poiché avevo perso la via della rettitudine.
Ahi quanto a dir qual era è cosa duraAh, quanto è difficile descrivere
esta selva selvaggia e aspra e fortequesta selva selvaggia, difficile da attraversare e pericolosa
che nel pensier rinova la paura!che, al solo ripensarci, rinnova in me lo spavento!
Tant’è amara che poco è più morte;È tanto dolorosa che la morte lo è poco di più;
ma per trattar del ben ch’i’ vi trovai,ma per parlare del bene che vi ho trovato,
dirò de l’altre cose ch’i’ v’ho scorte.narrerò delle altre cose che vi ho visto.
Io non so ben ridir com’i’ v’intrai,Non so dire con precisione come vi entrai,
tant’era pien di sonno a quel puntotanto ero pieno di torpore in quel momento
che la verace via abbandonai.in cui abbandonai la strada giusta.
Ma poi ch’i’ fui al piè d’un colle giunto,Ma dopo essere giunto ai piedi di un colle,
là dove terminava quella vallelà dove terminava quella valle
che m’avea di paura il cor compunto,che mi aveva riempito il cuore di paura,
guardai in alto e vidi le sue spalleguardai verso l’alto e vidi le sue spalle
vestite già de’ raggi del pianetagià illuminate dai raggi del sole
che mena dritto altrui per ogne calle.che guida gli uomini per il retto cammino.
Allor fu la paura un poco queta,Allora la paura si placò un poco,
che nel lago del cor m’era duratache mi era rimasta nell’intimo del cuore
la notte ch’i’ passai con tanta pieta.durante la notte che trascorsi con tanta angoscia.
E come quei che con lena affannata,E come colui che, con respiro affannoso,
uscito fuor del pelago a la riva,uscito dal mare profondo alla riva,
si volge a l’acqua perigliosa e guata,si volta verso l’acqua pericolosa e la osserva,
così l’animo mio, ch’ancor fuggiva,così il mio animo, che ancora fuggiva,
si volse a retro a rimirar lo passosi volse indietro a guardare il passaggio
che non lasciò già mai persona viva.che non lasciò mai passare nessuno in vita.
Poi ch’èi posato un poco il corpo lasso,Dopo aver riposato un poco il corpo stanco,
ripresi via per la piaggia diserta,ripresi il cammino per il pendio deserto,
sì che ‘l piè fermo sempre era ‘l più basso.in modo che il piede fermo fosse sempre quello più in basso.
Ed ecco, quasi al cominciar de l’erta,Ed ecco, quasi all’inizio della salita,
una lonza leggiera e presta molto,una lince agile e molto veloce,
che di pel macolato era coverta;che era coperta di pelo maculato;
e non mi si partia dinanzi al volto,e non si allontanava dal mio viso,
anzi ‘mpediva tanto il mio cammino,anzi ostacolava tanto il mio cammino,
ch’i’ fui per ritornar più volte vòlto.che fui più volte sul punto di tornare indietro.
Temp’era dal principio del mattino,Era l’ora dell’inizio del mattino,
e ‘l sol montava ‘n sù con quelle stellee il sole saliva nel cielo con quelle stelle
ch’eran con lui quando l’amor divinoche erano con lui quando l’amore divino
mosse di prima quelle cose belle;mosse per la prima volta quelle cose belle;
sì ch’a bene sperar m’era cagionecosì che mi davano motivo di sperare bene
di quella fiera a la gaetta pellequella bestia dalla pelle screziata
l’ora del tempo e la dolce stagione;l’ora del giorno e la dolce primavera;
ma non sì che paura non mi dessema non al punto che non mi facesse paura
la vista che m’apparve d’un leone.la vista che mi apparve di un leone.
Questi parea che contra me venisseQuesti sembrava venisse contro di me
con la test’alta e con rabbiosa fame,con la testa alta e con rabbiosa fame,
sì che parea che l’aere ne tremesse.tanto che sembrava che l’aria ne tremasse.
Ed una lupa, che di tutte brameE una lupa, che di ogni bramosia
sembiava carca ne la sua magrezza,sembrava carica nella sua magrezza,
e molte genti fé già viver grame,e che già aveva fatto vivere miseramente molte persone,
questa mi porse tanto di gravezzami causò tanto sgomento
con la paura ch’uscia di sua vista,con la paura che usciva dal suo aspetto,
ch’io perdei la speranza de l’altezza.che io persi la speranza di raggiungere l’altezza.
E qual è quei che volontieri acquista,E come colui che volentieri accumula ricchezze,
e giugne ‘l tempo che perder lo face,e giunge il momento che lo fa perdere tutto,
che ‘n tutti suoi pensier piange e s’attrista;così che in tutti i suoi pensieri piange e si rattrista;
tal mi fece la bestia sanza pace,tale mi rese la bestia senza pace (la lupa),
che, venendomi ‘ncontro, a poco a pocoche, venendomi incontro, a poco a poco
mi ripigneva là dove ‘l sol tace.mi respingeva là dove il sole tace (nella selva oscura).
Mentre ch’i’ rovinava in basso loco,Mentre precipitavo verso il basso,
dinanzi a li occhi mi si fu offertodavanti agli occhi mi si presentò
chi per lungo silenzio parea fioco.chi per lungo silenzio sembrava fioco (debole).
Quando vidi costui nel gran diserto,Quando vidi costui nel grande deserto,
«Miserere di me», gridai a lui,«Abbi pietà di me», gridai a lui,
«qual che tu sii, od ombra od omo certo!».«chiunque tu sia, o ombra o uomo vero!».
Rispuosemi: «Non omo, omo già fui,Mi rispose: «Non sono un uomo, lo fui,
e li parenti miei furon lombardi,e i miei genitori furono lombardi,
mantoani per patrïa ambedui.entrambi mantovani di patria.
Nacqui sub Iulio, ancor che fosse tardi,Nacqui sotto Giulio Cesare, benché fosse tardi,
e vissi a Roma sotto ‘l buono Augustoe vissi a Roma sotto il buon Augusto
nel tempo de li dèi falsi e bugiardi.nel tempo degli dèi falsi e bugiardi.
Poeta fui, e cantai di quel giustoFui poeta, e cantai di quel giusto
figliuol d’Anchise che venne di Troia,figlio di Anchise che venne da Troia,
poi che ‘l superbo Ilïón fu combusto.dopo che la superba Ilio fu incendiata.
Ma tu perché ritorni a tanta noia?Ma tu perché ritorni a tanta afflizione?
perché non sali il dilettoso monteperché non sali il monte dilettoso
ch’è principio e cagion di tutta gioia?».che è principio e causa di tutta la gioia?».
«Or se’ tu quel Virgilio e quella fonte«Sei tu dunque quel Virgilio e quella fonte
che spandi di parlar sì largo fiume?»,da cui sgorga un così ampio fiume di eloquenza?»,
rispuos’io lui con vergognosa fronte.gli risposi con volto vergognoso.
«O de li altri poeti onore e lume,«O onore e luce degli altri poeti,
vagliami ‘l lungo studio e ‘l grande amoremi giovino il lungo studio e il grande amore
che m’ha fatto cercar lo tuo volume.che mi hanno spinto a cercare la tua opera.
Tu se’ lo mio maestro e ‘l mio autore,Tu sei il mio maestro e il mio modello,
tu se’ solo colui da cu’ io tolsitu sei il solo da cui io presi
lo bello stilo che m’ha fatto onore.il bello stile che mi ha fatto onore.
Vedi la bestia per cu’ io mi volsi;Vedi la bestia a causa della quale mi sono voltato indietro;
aiutami da lei, famoso saggio,aiutami contro di lei, famoso saggio,
ch’ella mi fa tremar le vene e i polsi».perché ella mi fa tremare le vene e i polsi».
«A te convien tenere altro vïaggio»,«Ti conviene seguire un altro viaggio»,
rispuose, poi che lagrimar mi vide,rispose, dopo avermi visto piangere,
«se vuo’ campar d’esto loco selvaggio;perché vuoi scampare da questo luogo selvaggio;
ché questa bestia, per la qual tu gride,perché questa bestia, a causa della quale tu gridi,
non lascia altrui passar per la sua via,non lascia passare nessuno per la sua via,
ma tanto lo ‘mpedisce che l’uccide;ma tanto lo ostacola che lo uccide;
e ha natura sì malvagia e ria,e ha natura così malvagia e crudele,
che mai non empie la bramosa voglia,che mai non sazia il bramoso desiderio,
e dopo ‘l pasto ha più fame che pria.e dopo il pasto ha più fame di prima.
Molti son li animali a cui s’ammoglia,Molti sono gli animali con cui si accoppia,
e più saranno ancora, infin che ‘l veltroe saranno ancora di più, finché il veltro
verrà, che la farà morir con doglia.verrà, che la farà morire con dolore.
Questi non ciberà terra né peltro,Questi non si nutrirà di terra né di denaro,
ma sapïenza, amore e virtute,ma di sapienza, amore e virtù,
e sua nazion sarà tra feltro e feltro.e la sua origine sarà tra feltro e feltro.
Di quella umile Italia fia saluteSarà la salvezza di quell’umile Italia
per cui morì la vergine Cammilla,per cui morirono la vergine Camilla,
Eurialo e Turno e Niso di ferute.Eurialo, Turno e Niso di ferite.
Questi la caccerà per ogne villa,Questi la caccerà per ogni città,
fin che l’avrà rimessa ne lo ‘nferno,finché l’avrà rimessa nell’inferno,
là onde ‘nvidia prima dipartilla.da dove l’invidia originariamente la fece uscire.
Ond’io per lo tuo me’ penso e discernoPerciò per il tuo meglio penso e decido
che tu mi segui, e io sarò tua guida,che tu mi segua, e io sarò tua guida,
e trarrotti di qui per loco etterno;e ti condurrò di qui attraverso un luogo eterno;
ove udirai le disperate strida,dove udrai le grida disperate,
vedrai li antichi spiriti dolenti,vedrai gli antichi spiriti sofferenti,
ch’a la seconda morte ciascun grida;che invocano tutti la seconda morte;
e vederai color che son contentie vedrai coloro che sono contenti
nel foco, perché speran di venirenel fuoco, perché sperano di venire
quando che sia a le beate genti.quando che sia tra le anime beate.
A le quai poi se tu vorrai salire,Alle quali poi se tu vorrai salire,
anima fia a ciò più di me degna:ci sarà un’anima più degna di me per questo:
con lei ti lascerò nel mio partire;con lei ti lascerò al mio congedo;
ché quello imperador che là sù regna,perché quell’imperatore che regna lassù,
perch’i’ fu’ ribellante a la sua legge,poiché io fui ribelle alla sua legge,
non vuol che ‘n sua città per me si vegna.non vuole che nella sua città si giunga grazie a me.
In tutte parti impera e quivi regge;In tutte le parti domina e qui governa;
quivi è la sua città e l’alto seggio:qui è la sua città e l’alto seggio:
oh felice colui cu’ ivi elegge!».oh felice colui che egli sceglie per quel luogo!».
E io a lui: «Poeta, io ti richesseE io a lui: «Poeta, io ti chiedo
per quello Dio che tu non conoscesti,per quel Dio che tu non conoscesti,
acciò ch’io fugga questo male e peggio,affinché io fugga questo male e uno peggiore,
che tu mi meni là dov’or dicesti,che tu mi conduca là dove ora hai detto,
sì ch’io veggia la porta di san Pietrocosì che io veda la porta di san Pietro
e color cui tu fai cotanto mesti».e coloro che tu definisci tanto afflitti».
Allor si mosse, e io li tenni dietro.Allora si mosse, e io lo seguii.

Canto 1 Inferno della Divina Commedia: riassunto e spiegazione

Il canto 1 dell’Inferno della Divina Commedia rappresenta il prologo dell’intero poema dantesco e si articola in tre momenti narrativi fondamentali che delineano l’inizio del viaggio ultraterreno di Dante.

Lo smarrimento nella selva oscura (vv. 1-12)

Il canto si apre con Dante che, all’età di 35 anni, si ritrova smarrito in una selva oscura, allegoria del peccato e dell’allontanamento dalla retta via morale. L’atmosfera è dominata da sentimenti di paura e angoscia, espressi attraverso immagini potenti come “selva selvaggia e aspra e forte” che comunicano lo stato di profondo turbamento del poeta. La selva è talmente terrificante che il solo pensiero rinnova in lui la paura. In questa prima sezione Dante stabilisce immediatamente la dimensione autobiografica e universale dell’opera.

Il tentativo di ascesa al colle (vv. 13-60)

All’alba, dopo la notte angosciosa, Dante scorge un colle illuminato dai raggi del sole. La luce rappresenta simbolicamente la grazia divina e la possibilità di salvezza. Il poeta tenta di salire verso questa luce, ma il suo cammino viene ostacolato dall’apparizione di tre fiere:

  • La lonza: agile e maculata, simbolo della lussuria o, secondo altre interpretazioni, della frode
  • Il leone: fiero e rabbioso, rappresentazione della superbia
  • La lupa: magra e bramosa, allegoria dell’avarizia e della cupidigia

Le tre bestie costringono Dante a retrocedere verso la selva, facendogli perdere “la speranza dell’altezza”. La lupa, in particolare, incarna il vizio più pericoloso, capace di bloccare definitivamente il cammino di redenzione. Le fiere rappresentano anche le tre categorie di peccati puniti nell’Inferno: l’incontinenza, la violenza e la frode.

L’incontro con Virgilio (vv. 61-136)

Mentre Dante indietreggia sconfitto, gli appare un’ombra che si rivela essere Virgilio, il grande poeta latino autore dell’Eneide. Virgilio si presenta raccontando di essere vissuto “sotto Giulio” (Cesare) e di aver cantato “di quel giusto figliuol d’Anchise” (Enea). Dante lo riconosce immediatamente come il suo maestro poetico e modello di stile.

Virgilio spiega a Dante che la lupa non può essere superata direttamente e gli propone un percorso alternativo attraverso i regni ultraterreni: Inferno, Purgatorio e Paradiso. Rivela inoltre che la sua venuta è stata voluta da Beatrice, scesa dal Paradiso fino al Limbo per chiedere il suo aiuto. Virgilio preannuncia anche l’arrivo futuro di un misterioso “veltro” (levriero) che caccerà la lupa “di villa in villa” fino a ricacciarla nell’Inferno.

Il canto si conclude con Dante che accetta di seguire Virgilio nel viaggio ultraterreno, consapevole che questo rappresenta l’unica via di salvezza possibile.

Significato storico e cronologico

L’inizio del viaggio è collocato precisamente nell’anno 1300, anno del primo Giubileo indetto da Papa Bonifacio VIII. Questa scelta temporale non è casuale, ma carica di significato simbolico: rappresenta un momento cruciale nella storia della cristianità e coincide con un periodo di profonda crisi politica a Firenze, divisa tra le fazioni dei Bianchi e dei Neri, che porteranno all’esilio di Dante nel 1302. La datazione esatta (Venerdì Santo del 1300 secondo la maggioranza dei critici) sottolinea il parallelismo tra il viaggio di redenzione di Dante e la Passione di Cristo, collocando l’esperienza individuale del poeta all’interno della grande narrazione cristiana della salvezza.

Canto 1 Inferno della Divina Commedia: i personaggi

Nel canto 1 dell’Inferno della Divina Commedia, Dante costruisce un sistema di personaggi fortemente allegorici che rappresentano sia figure reali sia concetti astratti. Ogni personaggio svolge una funzione precisa all’interno dell’architettura simbolica dell’opera.

Dante pellegrino è il protagonista del canto e dell’intero poema. Rappresenta l’uomo smarrito nel peccato, l’umanità alla ricerca della salvezza. È importante distinguere tra Dante autore e Dante personaggio: mentre il primo è il poeta che compone l’opera, il secondo è la sua trasposizione letteraria, un everyman che sperimenta lo smarrimento spirituale. Nel primo canto lo troviamo confuso, impaurito e incapace di procedere autonomamente verso la salvezza, simboleggiando la condizione umana dopo il peccato originale.

Virgilio appare nella seconda parte del canto come risposta provvidenziale alla disperazione di Dante. Il poeta latino, autore dell/Eneide, assume il ruolo di guida razionale del pellegrino. Rappresenta la ragione umana, la filosofia e la cultura classica. La sua descrizione come “chi per lungo silenzio parea fioco” (v. 63) sottolinea come la cultura classica fosse stata temporaneamente dimenticata. Virgilio incarna anche i limiti della razionalità: potrà guidare Dante attraverso l’Inferno e il Purgatorio, ma non nel Paradiso, regno della fede che trascende la ragione.

Le tre fiere costituiscono un trittico allegorico che impedisce a Dante di raggiungere il colle illuminato:

  • La lonza (vv. 31-43): animale agile, dalla pelle maculata, probabilmente un leopardo o una lince. Simboleggia la lussuria secondo l’interpretazione morale tradizionale, o la frode secondo altre letture. La sua leggerezza e velocità rappresentano la seduzione del peccato carnale.
  • Il leone (vv. 44-48): descritto come fiero, con la testa alta e rabbioso, rappresenta la superbia e l’arroganza. Il suo aspetto maestoso e minaccioso incarna la violenza e l’orgoglio umano.
  • La lupa (vv. 49-54): la più pericolosa delle tre fiere, magra ma “carca di tutte brame”, simboleggia l’avarizia o, più ampiamente, la cupidigia, radice di ogni male secondo la tradizione medievale. È l’ostacolo più difficile da superare e solo l’intervento del misterioso veltro potrà sconfiggerla.

In questo sistema di personaggi si intravede anche la presenza di Beatrice, menzionata da Virgilio come colei che lo ha inviato in soccorso di Dante, prefigurando il suo ruolo di guida spirituale nel Paradiso.

Analisi del Canto 1 dell’Inferno: elementi tematici e narrativi

Livelli allegorici

L’interpretazione del Canto 1 dell’Inferno della Divina Commedia si sviluppa su molteplici piani allegorici che si intrecciano armoniosamente, creando un sistema simbolico di straordinaria complessità e coesione.

L’allegoria morale rappresenta il percorso individuale di purificazione che ogni anima deve intraprendere. La selva oscura simboleggia lo stato di peccato in cui Dante si trova all’inizio del poema, uno smarrimento spirituale che riflette la condizione universale dell’uomo lontano dalla grazia. Il colle illuminato dai raggi del sole rappresenta la meta virtuosa, la beatitudine che il pellegrino aspira a raggiungere. Le tre fiere che ostacolano il cammino di Dante – la lonza, il leone e la lupa – incarnano rispettivamente la lussuria (o la frode secondo alcune interpretazioni), la superbia e l’avarizia (o più generalmente la cupidigia), vizi che impediscono all’anima di elevarsi spiritualmente. Questo piano allegorico si rivolge direttamente alla coscienza del lettore, invitandolo a riconoscere i propri peccati e a intraprendere un analogo cammino di redenzione.

L’allegoria politica offre una lettura del canto come critica alla corruzione delle istituzioni del tempo. La selva diventa metafora del caos politico italiano, mentre le tre fiere possono essere interpretate come simboli delle forze che ostacolano la pace nella penisola: la lonza rappresenterebbe Firenze divisa dalle lotte faziose, il leone la casa reale di Francia con la sua politica espansionistica, la lupa il potere temporale della Chiesa corrotta dall’avidità. In questa chiave, la profezia del veltro che caccerà la lupa “di villa in villa” assume un significato messianico-politico, preannunciando l’avvento di un salvatore (forse un imperatore come Enrico VII o Can Grande della Scala) che ristabilirà l’ordine e la giustizia. Questa dimensione conferisce al canto una profonda attualità storica, collegando la vicenda ultraterrena alle vicissitudini dell’Italia durante l’esilio di Dante.

L’allegoria teologica esplora il rapporto tra ragione e fede nel cammino verso la salvezza. Virgilio, simbolo della razionalità umana al suo più alto grado, soccorre Dante ma ammette i propri limiti: potrà guidarlo solo attraverso l’Inferno e il Purgatorio, lasciando a “un’anima più degna” (Beatrice, simbolo della teologia e della grazia illuminante) il compito di condurlo in Paradiso. Questa suddivisione riflette la concezione medievale del rapporto complementare tra filosofia e teologia, tra conoscenza naturale e rivelazione divina. La “matta bestialità” della lupa richiama il concetto tomistico di peccato come privazione di ragione, mentre l’intervento di Virgilio rappresenta il primo passo di un processo di redenzione che culminerà nella visione beatifica.

Innovazioni stilistiche e tecniche narrative

Il Canto 1 della Divina Commedia manifesta già pienamente l’originalità stilistica dantesca attraverso scelte formali rivoluzionarie che segnano un distacco netto dalla tradizione precedente.

L’inizio in medias res costituisce una rottura radicale con i canoni poetici medievali, che prevedevano solitamente un proemio convenzionale. Dante ci proietta immediatamente nel vivo dell’azione, senza preamboli, con un’immediatezza drammatica che coinvolge il lettore nella situazione esistenziale del protagonista. Questa scelta narrativa testimonia l’influenza del modello virgiliano dell’Eneide, reinterpretato però in chiave cristiana e autobiografica.

Il dinamismo visionario si manifesta nelle rapide transizioni tra stati emotivi contrastanti: dalla paura paralizzante nella selva alla speranza alla vista del colle, dallo sconforto di fronte alle tre fiere al sollievo per l’apparizione di Virgilio. Questa mobilità psicologica viene resa attraverso immagini potenti e concrete che visualizzano gli stati d’animo come esperienze fisiche. La similitudine del naufrago (“E come quei che con lena affannata / uscito fuor del pelago a la riva…”) esemplifica questa capacità di tradurre l’esperienza interiore in quadri visivi di straordinaria efficacia.

Il plurilinguismo dantesco emerge già in questo canto attraverso la sapiente modulazione dei registri stilistici. La descrizione angosciosa della selva utilizza un linguaggio aspro e dissonante (“esta selva selvaggia e aspra e forte”), mentre l’incontro con Virgilio si eleva a toni solenni e riverenti (“Tu se’ lo mio maestro e ‘l mio autore”). Questa varietà di registri anticipa la straordinaria flessibilità linguistica che caratterizzerà l’intero poema, dove il lessico si adatta costantemente al contenuto rappresentato, abbracciando l’intero spettro delle possibilità espressive, dal termine tecnico e specialistico alla parola popolare, dal neologismo all’arcaismo.

Funzione strutturale del canto

Il Canto 1 svolge una fondamentale funzione architettonica nell’economia complessiva della Divina Commedia, fungendo da prologo all’intero poema. Non appartiene propriamente all’Inferno, ma costituisce un’introduzione autonoma che anticipa i temi, i personaggi e i conflitti che si svilupperanno nei canti successivi.

La struttura temporale del canto stabilisce le coordinate cronologiche dell’intera opera: il viaggio inizia nella notte tra il 7 e l’8 aprile del 1300 (Venerdì Santo), anno del primo Giubileo indetto da Papa Bonifacio VIII. Questa precisa collocazione temporale, carica di significati simbolici, ancorà l’allegoria a un momento storico determinato, creando quella fusione tra dimensione universale e particolarità storica che è cifra stilistica dell’intero poema.

Particolarmente significativa è la profezia del veltro, che introduce la dimensione escatologica e messianica del poema, proiettando la narrazione verso un futuro di redenzione che trascende la vicenda individuale di Dante. Questo elemento profetico anticipa la struttura vaticinante che caratterizzerà numerosi incontri nell’oltretomba dantesco, dove il passato e il presente vengono costantemente interpretati alla luce di un futuro già scritto nel disegno provvidenziale.

In definitiva, il Canto I rappresenta in forma concentrata l’intero percorso spirituale, poetico e conoscitivo della Commedia: dallo smarrimento iniziale alla promessa di salvezza, dall’esperienza autobiografica all’allegoria universale, dalla concretezza storica alla visione trascendente. In esso Dante fonde magistralmente le proprie vicissitudini personali con le grandi questioni morali, politiche e teologiche del suo tempo, trasformando l’esperienza soggettiva in un viaggio paradigmatico che parla a ogni epoca e a ogni lettore.

Figure retoriche nel Canto 1 dell’Inferno della Divina Commedia

Il canto 1 dell’Inferno della Divina Commedia è ricco di figure retoriche che contribuiscono alla sua straordinaria efficacia espressiva e alla creazione di un universo simbolico complesso.

Metafore e allegorie

La metafora continuata più evidente è quella della “selva oscura”, che rappresenta lo stato di peccato e smarrimento morale del poeta. Questa immagine simbolica si estende attraverso l’intero canto, creando un paesaggio allegorico in cui ogni elemento possiede un significato ulteriore. Il “colle illuminato” diventa metafora della virtù e della beatitudine, mentre il “sole” rappresenta la grazia divina.

Le tre fiere (lonza, leone e lupa) costituiscono una potente allegoria dei vizi umani: la lussuria/frode, la superbia e l’avarizia/cupidigia. Queste bestie non sono semplici ostacoli, ma incarnazioni viventi dei peccati che impediscono la salvezza.

Figure di suono e ripetizione

L’allitterazione è frequente, come nel verso “selva selvaggia e aspra e forte” (v.5), dove la ripetizione del suono “s” evoca il fruscio sinistro della vegetazione, mentre la reiterazione della congiunzione “e” (polisindeto) accentua l’impressione di densità e impenetrabilità.

La paronomasia “selva selvaggia” accosta due parole etimologicamente affini, rafforzando l’idea di uno spazio indomabile e ostile.

Le anafore, come “questa” ai versi 4-7, creano un ritmo incalzante che sottolinea l’angoscia del pellegrino.

Figure di costruzione

L’anastrofe, figura retorica che inverte l’ordine naturale delle parole, appare in versi come “ché la diritta via era smarrita” (v.3) o “Ahi quanto a dir qual era è cosa dura” (v.4), conferendo solennità al dettato poetico e creando una tensione sintattica che rispecchia lo smarrimento del protagonista.

L’iperbato, con la separazione di elementi sintatticamente collegati, si nota in “questa selva selvaggia e aspra e forte / che nel pensier rinova la paura!” (vv.5-6), dove la proposizione relativa è separata dal suo antecedente.

Similitudini ed ossimori

La celebre similitudine dei versi 22-27, dove Dante paragona il proprio sollievo a quello di un naufrago che raggiunge la riva e si volge a guardare il mare pericoloso, rappresenta uno dei momenti più intensi del canto, creando un’immagine visiva potente e universalmente comprensibile.

Gli ossimori sono più sottili, come l’implicito contrasto tra la “selva oscura” e il “dilettoso monte” illuminato dal sole, che rappresenta la tensione tra peccato e virtù, o la descrizione della lupa “che di tutte brame / sembiava carca nella sua magrezza” (vv.49-50), dove convivono ingordigia e magrezza.

Perifrasi e sinestesia

La perifrasi “Nacqui sub Iulio” (v.70), usata da Virgilio per riferirsi all’epoca di Giulio Cesare, evita il riferimento diretto e conferisce un tono autorevole e solenne al discorso.

La sinestesia, fusione di sensazioni appartenenti a sfere sensoriali diverse, si manifesta in espressioni come “il sol tace” (v.60), dove si attribuisce il silenzio (percezione uditiva) al sole (percezione visiva).

Effetto complessivo

Queste figure retoriche non sono meri abbellimenti stilistici, ma strumenti essenziali per creare la dimensione onirica e al contempo concretissima del viaggio dantesco. L’accumulo di figure di suono e di costruzione contribuisce a creare un’atmosfera densa e angosciante nella descrizione della selva, mentre le metafore e le allegorie trasformano il racconto in un’esperienza universale che trascende la contingenza biografica del poeta per diventare rappresentazione della condizione umana.

Temi principali del 1 canto dell’Inferno della Divina Commedia

Il primo canto dell’Inferno introduce alcuni temi fondamentali che si svilupperanno attraverso l’intero poema dantesco. La crisi della mezza età rappresenta uno spartiacque esistenziale: i trentacinque anni di Dante, “nel mezzo del cammin di nostra vita”, simboleggiano il momento cruciale in cui l’uomo prende coscienza del proprio stato morale. Questo riferimento cronologico colloca anche l’opera nel contesto storico del Giubileo del 1300, anno di profonda crisi politica per Firenze.

La dialettica tra ragione e fede emerge dall’incontro con Virgilio. Il poeta latino, simbolo della ragione umana e della cultura classica, può guidare Dante solo fino al Purgatorio, evidenziando i limiti della conoscenza razionale senza il supporto della fede. Questa limitazione preannuncia la necessità di Beatrice come guida nel Paradiso, completando il percorso verso la contemplazione divina.

La simbologia numerica permea l’intero canto attraverso strutture trinitarie: le tre fiere (lonza, leone, lupa) rappresentano i peccati che ostacolano il cammino; i tre regni ultraterreni (Inferno, Purgatorio, Paradiso) delineano la cosmologia dantesca; le tre guide (Virgilio, Beatrice, San Bernardo) accompagnano il pellegrino in fasi successive del viaggio. Questa architettura ternaria riflette l’influenza della teologia trinitaria medievale sull’opera.

Il tema della corruzione morale e politica viene introdotto nel canto 1 della Divina Commedia attraverso le tre fiere, particolarmente nella figura della lupa, simbolo dell’avidità che caratterizza sia la Chiesa che le istituzioni politiche del tempo. Questo prepara il terreno alla profezia del Veltro, figura messianica che “farà morir con doglia” la lupa, cacciandola “di villa in villa”. L’identità del Veltro rimane enigmatica: potrebbe rappresentare un imperatore riformatore, un papa illuminato o una figura provvidenziale di rinnovamento morale.

Il conflitto tra libero arbitrio e predestinazione si manifesta nella tensione tra lo smarrimento di Dante, frutto delle sue scelte morali, e l’intervento provvidenziale che gli invia Virgilio come guida. Questo rapporto dialettico tra responsabilità individuale e grazia divina costituisce uno dei nodi filosofici centrali dell’intero poema.

La retorica dell’ineffabilità, espressa nei versi “Tant’è amara che poco è più morte”, anticipa un tema ricorrente nella Commedia: l’inadeguatezza del linguaggio umano di fronte alle esperienze trascendenti. Dante riconosce i limiti espressivi pur tentando di superarli attraverso la potenza evocativa della poesia.

Il tema dell’esilio, che sarà centrale nel Paradiso, viene prefigurato nella condizione di smarrimento del poeta nella selva. L’allontanamento dalla “diritta via” anticipa l’esilio politico che colpirà Dante nel 1302, trasformando un’esperienza biografica in metafora universale della condizione umana lontana dalla verità.

Il Canto I dell’Inferno in pillole

Sintesi dei contenuti
I personaggiDante pellegrino rappresenta l’uomo smarrito e bisognoso di salvezza; Virgilio incarna la ragione umana e la cultura classica, guida fino al Paradiso terrestre; le tre fiere (lonza, leone, lupa) simboleggiano i principali vizi umani; Beatrice è la figura spirituale che muove l’intervento provvidenziale.
Riassunto e spiegazioneDante si smarrisce in una selva oscura e tenta invano di salire un colle illuminato; tre fiere gli sbarrano il cammino e lo ricacciano indietro; interviene Virgilio, che gli propone un viaggio ultraterreno come unica via verso la salvezza.
Significato storico e cronologicoIl viaggio di Dante avviene nel 1300, anno del primo Giubileo e momento simbolico di crisi e redenzione; la data coincide con eventi politici cruciali, come le tensioni a Firenze e l’esilio di Dante, e richiama la Passione di Cristo.
Livelli allegoriciLa selva simboleggia lo smarrimento morale, il colle la virtù, le tre fiere i vizi (lussuria/frode, superbia, avarizia); la selva riflette il caos politico italiano; Virgilio rappresenta la ragione, Beatrice la fede e la grazia; il veltro è figura di speranza futura.
Innovazioni stilistiche e tecniche narrativeL’inizio in medias res, il linguaggio variato e la resa drammatica delle emozioni definiscono lo stile di Dante; le immagini concrete e le variazioni di tono rendono vivi i conflitti interiori; si fonde la tradizione classica con una visione cristiana e personale.
Funzione strutturale del cantoIl canto funge da prologo a tutta la Commedia, anticipando temi, personaggi e struttura narrativa; stabilisce il tempo del viaggio (Venerdì Santo del 1300) e introduce il veltro come simbolo di speranza escatologica e rinnovamento morale.
Figure retoricheMetafore, allegorie, anafore, anastrofi e similitudini creano un linguaggio poetico ricco e simbolico; la selva è metafora del peccato, le fiere dei vizi; l’uso di suoni e costruzioni sintattiche rafforza l’atmosfera e la tensione emotiva del canto.
Temi principaliEmergenza morale nella crisi della mezza età, tensione tra ragione e fede, simbolismo trinitario, denuncia della corruzione ecclesiastica e politica, intervento della grazia, riflessione sull’esilio e sul limite del linguaggio umano nel descrivere l’esperienza spirituale.

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