Essere ed esistenza - Studentville

Essere ed esistenza

L'essere per Heidegger.

Il termine essere può essere impiegato in molti significati, nel senso di esistere oppure di essere vero o come copula che collega un soggetto e un predicato. Il problema ò se esista un significato primario che consenta di pensarli tutti nella loro unità . Generalmente, quando si usa il termine essere, si privilegia un determinato tempo verbale, il presente, ma si può dire che l’essere si riduca soltanto a ciò che ò presente? Il tempo si articola in passato, presente e futuro e si può quindi porre la domanda: il tempo appartiene al senso dell’essere? Nel momento in cui si pone questa domanda l’equivalenza fra essere e essere semplicemente e costantemente presente non ò più ovvia. Tale domanda, tuttavia, ad avviso di Heidegger, ò stata dimenticata dopo Platone e Aristotele. Solitamente si dice che essere ò il concetto più generale di tutti: di qualunque cosa, infatti, si può dire che ò. Ma se ò il concetto più generale, esso no può essere definito, dal momento che una definizione richiede l’esibizione del genere entro il quale l’oggetto da definire viene distinto mediante una differenza specifica; ma l’essere, essendo il concetto più generale, non può essere incluso in un genere più ampio. Per giungere al concetto di essere occorre allora percorrere un’altra strada. La domanda sull’essere, come ogni domanda, comporta che ci sia qualcosa che viene cercato (in questo caso l’essere) e qualcos’altro che viene interrogato (ossia un ente), ma ciò che ò interrogato sul senso dell’essere non può essere un ente qualsiasi tra gli altri. Infatti, perchè sia possibile il problema del senso dell’essere occorre che sia possibile la comprensione dell’essere; quindi deve esserci un ente, al cui modo di essere appartenga la comprensione dell’essere. Tale ente, che detiene pertanto questo primato tra gli altri enti, ò quello che Heidegger chiama esserci (Dasein, ‘l’essere qui’), come modo di essere proprio dell’uomo. Heidegger usa questo termine in un significato diverso da Jaspers, per il quale esserci indica non solo l’uomo, ma tutte le cose in quanto semplicemente presenti al mondo. Rispetto agli altri enti, l’esserci ha per Heidegger la peculiarità  che ‘ nel suo essere, ne va di questo essere stesso ‘, ossia il suo essere non ò qualcosa di dato stabilmente, ma ò sempre in gioco. Ciò significa che l’esserci si rapporta al proprio essere, ò aperto ad esso: avendo una comprensione dell’essere, l’esserci non ò semplicemente un ente (ossia, nel linguaggio heideggeriano, non ò soltanto ontico), ma ha la prerogativa di essere ontologico, ossia di poter condurre un ricerca esplicita sul senso dell’essere, cosa che gli altri enti non sono in grado di fare. Kierkegaard aveva definito esistenza questo rapportarsi all’essere: per Heidegger l’esistenza ò l’essere o essenza dell’esserci. Heidegger asserisce che ‘ l’esserci comprende sempre se stesso in base alla sua esistenza, cioò alla possibilità  che gli ò propria di essere o non essere se stesso ‘. Attraverso l’interrogazione dell’esserci in rapporto al suo essere, si ricercano le strutture fondamentali dell’esistenza: l’indagine che cerca di portare alla luce queste strutture ò chiamata da Heidegger analitica esistenziale, antecedente a ogni psicologia, antropologia o biologia. Il metodo da impiegare, secondo Heidegger, deve essere fenomenologico, nel senso già  chiarito di ‘ lasciar vedere da se stesso ciò che si manifesta, così come si manifesta da sè ‘: si tratta cioò di fare in modo che le strutture dell’esistenza si manifestino alla comprensione propria dell’esserci. Occorrerà , dunque, scegliere modalità  di accesso a tali strutture, che consentano all’esserci di mostrarsi da sè, dapprima com’ò per lo più, nella sua quotidianità  media. L’esserci, come si ò visto, ò definito dal fatto che per lui ne va sempre del suo essere, cosicchò l’esserci ò sempre la sua possibilità , non possiede il suo essere come un proprietà  semplicemente presente. Ciò significa che l’esserci può conquistarsi o perdersi: nel primo caso si ha l’esistenza autentica e nel secondo quella inautentica, dove “autentico” e “inautentico” significano letteralmente “appartenente o no a se stesso”. Nella quotidianità  media, l’esserci si manifesta nel modo dell’inautenticità  e quindi, a questo livello, si può pervenire soltanto ad una chiarificazione preparatoria, non ancora ad una risposta circa il senso dell’essere in generale; tuttavia, anche in seno alla quotidianità  media e pertanto in maniera inautentica, si manifestano, secondo Heidegger, le strutture dell’esistenza. Infatti, l’esserci si ò formato all’interno del modo di comprendere l’essere, che si ò consolidato in una tradizione, anche se per lo più questa dimensione storica e tramandata del suo modo di comprendere l’essere resta nascosta all’esserci e non viene tematizzata. Si tratta allora di cogliere l’essere dell’esserci contro la sua tendenza all’inautenticità : l’analitica esistenziale ha, dunque, secondo Heidegger, un carattere violento, in quanto va contro la tendenza dell’esserci nella sua quotidianità  a dimenticare o fuggire se stesso. Il primo passo dell’analitica esistenziale consiste nel mostrare qual ò la struttura fondamentale dell’esserci nella sua quotidianità  media. In questa situazione l’esserci, anzichè giungere al possesso di sè, tende a interpretare se stesso a partire dal fatto che per lo più si disperde nella cura del mondo. Per questo aspetto, l’esserci ò erede inconsapevole di una tradizione risalente alla metafisica greca, nella quale il senso dell’essere ò determinato come ousìa, cioò come sostanza e, quindi, compreso a partire da un determinato modo del tempo, il presente. Ciò significa che il punto di partenza dell’ autocomprensione dell’esserci nella sua quotidianità  ò dato dal mondo, come insieme degli enti semplicemente presenti. L’esserci per lo più tende a comprendere il proprio essere in base agli enti con i quali si rapporta costantemente, ma in tal modo gli rimane nascosto il suo specifico modo di essere. In generale, dunque, l’esserci si configura come essere-nel-mondo, dove essere-nel-mondo significa, più che il semplice trovarsi spazialmente presenti dentro o a contatto con qualcosa, essere presso, abitare, essere familiare con: tutte queste espressioni indicano, secondo Heidegger, modi del prendersi cura (in tedesco Sorge ) del mondo. L’esserci, dunque, non ha un rapporto puramente conoscitivo col mondo, come rapporto tra soggetto e oggetto: su questo punto Heidegger si allontana nettamente da tutte le impostazioni filosofiche, in particolare neokantiane, che avevano assegnato una posizione privilegiata al problema della conoscenza. Il mondo, al quale l’esserci si rapporta nella sua quotidianità  media, ò chiamato da Heidegger mondo-ambiente: esso ò costituito dalle cose intese come utilizzabili, cioò come strumenti, mezzi in vista di qualcos’altro. Questo spiega perchè nei confronti del mondo l’esserci abbia non un atteggiamento esclusivamente teoretico, consistente nel vedere e rappresentarsi in maniera puramente disinteressata gli enti che lo popolano, bensì quella che Heidegger chiama visione ambientale preveggente. Questa consiste, infatti, nel prendersi cura pratico delle cose, che, in quanto utilizzabili, si mostrano vicine all’esserci non solo in senso spaziale, ma “a portata di mano” in vista di determinati fini. Quando, invece, l’esserci si limita a osservare e considerare le cose nella loro semplice presenza, si genera l’atteggiamento teoretico, che ò dunque soltanto un modo secondario e particolare del prendersi cura del mondo. Il mondo, tuttavia, ò costituito non soltanto dalle cose utilizzabili o semplicemente presenti, ma anche da enti che sono tali e quali l’esserci che li comprende, ossia dagli altri uomini, cosicchò l’essere-nel -mondo ò anche sempre essere-con (in tedesco mit-sein ) altri. L’esserci ha sempre cura degli altri, anche se di fatto per lo più non se ne cura o crede di poterne fare a meno; anzi per lo più si muove nella soggezione agli altri, non ò autenticamente se stesso. Nella quotidianità , infatti, ciascuno ò intercambiabile e ciò che domina ò il Si ( man ), indeterminato e anonimo, in cui tutte le possibilità  si trovano livellate e ricondotte all’uniformità . Nelle pagine che Heidegger dedica a questo tema ò avvertibile la critica, diffusa nella Germania del suo tempo, alla massificazione e spersonalizzazione prodotto dalla moderna civiltà  tecnica. L’essere autenticamente se stessi equivale, invece, a sottrarsi al dominio del “si” impersonale per aprirsi alle proprio possibilità . Questo avviene nei due modi essenziali dell’esistenza, che Heidegger chiama esistenziali: essi sono il sentirsi situato ( Befindlichkeit ) e il comprendere ( Verstehen ). L’esserci si avverte sempre emotivamente situato nel mondo, gettato in esso, senza che ciò dipenda dalla sua iniziativa. Nel sentirsi un essere-gettato nel mondo, cosa che Heidegger chiama anche effettività , per distinguerla dalla semplice presenza nel mondo, l’esserci incontra se stesso più nella forma della fuga che in quella della ricerca di se stesso. La struttura propria del sentirsi situato viene alla luce nella paura, perchè solo l’esserci, per cui ne va del suo essere, può spaventarsi e si sente aperto al rischio. D’altra parte, avvertendosi situato, l’esserci comprende se stesso, anche se tende a reprimere e occultare questa sua comprensione. Questa struttura esistenziale della comprensione ò chiamata da Heidegger progetto, nel senso letterale di “gettare avanti”; la comprensione, infatti, progetta l’essere dell’esserci nel suo poter essere, che non ò qualcosa di già  dato. D’altra parte, progetto non equivale al semplice escogitare piani, perchè l’esserci si comprende giò sempre a partire da possibilità  date. Quando sviluppa la comprensione, l’esserci giunge all’ interpretazione, che consiste nell’appropriarsi di ciò che ha compreso e quindi nell’elaborare el possiblità  progettate nella comprensione. Il discorso, a sua volta, ò l’articolazione del sentirsi situato e della comprensione. Che carattere assumono nella quotidianità  la comprensione, l’interpretazione e il discorso? Heidegger non intende muovere contro la quotidianità  e l’esistenza inautentica, a cui essa approda, una critica materialistica; il suo intento ò invece di mettere in luce le strutture proprie dell’interpretazione che abitualmente l’esserci dà  di sè, entro le quali l’esserci ò cresciuto e si ò formato e alle quali non può mai definitivamente sottrarsi. La chiacchiera ò il modo di essere della comprensione o interpretazione propria dell’esserci nella sua quotidianità , il quale si regola sul si: ‘ Le cose stanno così perchè così si dice ‘. La chiacchiera ò la possibilità  di comprendere tutto senza appropriarsi preliminarmente della cosa da comprendere: essa diffonde una comprensione indifferente, per la quale non esiste più nulla di incerto, ma in tal modo l’esserci smarrisce la sua apertura alla possibilità . La tendenza al “vedere”, caratteristica della quotidianità , ò la curiosità : essa non si prende cura di vedere per comprendere ciò che vede, ma soltanto di vedere, ò incapace di soffermarsi e cerca continuamente la distrazione e il nuovo sol ocome trampolino per cercare un altro nuovo e così via. In questa situazione sembra che tutto sia compreso, ma non lo ò: l’ equivoco ò la comprensione dell’esserci fondata nel “si”, la quale finisce per non sapere neppure a che cosa si riferisca il “si”. Nella connessione di chiacchiera, curiosità  ed equivoco si rivela il modo fondamentale dell’essere della quotidianità : Heidegger lo chiama la deiezione dell’esserci, ossia lo scadere dell’esserci al livello di un fatto, il suo disperdersi nel mondo e nella dimensione pubblica del “si”. Qui l’esserci vive non come autenticamente se stesso, ma come “si” vive ed ò nella tranquillizzante presunzione di possedere e raggiungere tutto. In tal modo l’esserci ò nell’inautenticità , la quale tuttavia non ò uno stato di fatto, com’ò presupposto, invece, dalla dottrina cristiana della corruzione della natura umana dovuta al peccato originale, ma ò una possibilità . Proprio in quanto l’inautenticità  ò una possibilità  e non un dato di fatto necessario, ne risulta che l’esserci può anche essere autentico.

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