L'essere per la morte - Studentville

L'essere per la morte

La morte vista da Heidegger.

Introduzione “Benchè la rinascita della ‘metafisica’ sia considerata una conquista del nostro tempo, tuttavia il problema dell’essere ò purtroppo dimenticato”. Così inizia l’opera più famosa di Heidegger, Essere e tempo. Heidegger imposta la questione del problema dell’essere – che considera “oscura e aggrovigliata” -, indagando e analizzando “quell’ente che noi che cerchiamo, già  siamo”. La metafisica si presenta nel primo Heidegger come analisi dell’Esserci, cioò di quell’essere, appunto, “che noi stessi già  siamo, e che ha, fra le altre possibilità , quella del cercare”. Come viene detto in questo passo, l’Esserci ò caratterizzato, nel suo essere-nel-mondo, dall’essere-per-la-morte. Se l’Esserci ò definito dalla possibilità  di essere, la morte gli si presenta come il limite e la negazione di questa possibilità  e gli chiede di accettare l’essere per la morte come “orizzonte in cui si iscrive la sua vita”. Il “Si muore” cerca di esorcizzare l’angoscia davanti alla morte, di tranquillizzare gli uomini, ma Heidegger considera inautentico questo approccio all’essere-per-la-morte, che, invece, richiede all’uomo di progettarsi sapendo quale ò la possibilità  estrema che gli appartiene. Sapendo che non può solidificarsi su nessuna delle situazioni esistenziali raggiunte. Testo di Heidegger La morte sovrasta l’esserci. La morte non ò affatto una semplice presenza non ancora attuatasi, non ò un mancare ultimo ridotto ad minimum, ma ò, prima di tutto, un’imminenza che sovrasta. Ma all’esserci, come essere-nel-mondo, sovrastano molte cose. Il carattere d’imminenza sovrastante non ò esclusivo della morte. Un’interpretazione del genere potrebbe far credere che la morte sia un evento che s’incontra nel mondo, minaccioso nella sua imminenza. Un temporale può sovrastare come imminente; la riparazione d’una casa, l’arrivo d’un amico, possono essere imminenti; tutte cose, queste, che sono semplici-presenze o utilizzabili o compresenze. Il sovrastare della morte non ha un essere di questo genere. [… ] La morte ò una possibilità  di essere che l’esserci stesso deve sempre assumersi da sè. Nella morte l’esserci sovrasta se stesso nel suo poter-essere più proprio. In questa possibilità  ne va per l’esserci puramente e semplicemente del suo essere-nel- mondo. La morte ò per l’esserci la possibilità  di non-poter-più-esserci. Poichè in questa possibilità  l’esserci sovrasta se stesso, esso viene completamente rimandato al proprio poter-essere più proprio. In questo sovrastare dell’esserci a se stesso, dileguano tutti i rapporti con gli altri esserci. Questa possibilità  assolutamente propria e incondizionata ò, nel contempo, l’estrema. Nella sua qualità  di poter-essere, l’esserci non può superare la possibilità  della morte. La morte ò la possibilità  della pura e semplice impossibilità  dell’esserci. Così la morte si rivela come la possibilità  più propria, incondizionata e insuperabile. Come tale ò un’imminenza sovrastante specifica. [… ] Questa possibilità  più propria, incondizionata e insuperabile, l’esserci non se la crea accessoriamente e occasionalmente nel corso del suo essere. Se l’esserci esiste, ò anche già  gettato in questa possibilità . [… ]. L’esser-gettato nella morte gli si rivela nel modo più originario e penetrante nella situazione emotiva dell’angoscia. Un’angoscia davanti alla morte ò angoscia davanti al poter- essere più proprio, incondizionato e insuperabile. [… ] L’angoscia non dev’essere confusa con la paura davanti al decesso. Essa non ò affatto una tonalità  emotiva di ‘depressione’, contingente, casuale, alla mercè dell’individuo; in quanto situazione emotiva fondamentale dell’esserci, essa costituisce l’apertura dell’esserci al suo esistere come esser-gettato per la propria fine. Si fa così chiaro il concetto esistenziale dei morire come esser-gettato nel poter-essere più proprio, incondizionato e insuperabile, e si approfondisce la differenza rispetto al semplice scomparire, al puro cessare di vivere e all’esperienza vissuta dei decesso. [… ] Un’interpretazione pubblica dell’esserci dice: “Si muore”; ma poichè si allude sempre a ognuno degli Altri e a noi nella forma dei Si anonimo, si sottintende: di volta in volta non sono io. Infatti il Si ò il nessuno. [… ] Il morire, che ò mio in modo assolutamente insostituibile, ò confuso con un fatto di comune accadimento che capita al Si. Questo tipico discorso parla della morte come di un “caso” che ha luogo continuamente. Esso fa passare la morte come qualcosa che ò sempre già  “accaduto”, coprendone il carattere di possibilità  e quindi le caratteristiche di incondizionatezza e di insuperabilità . Con quest’equivoco l’esserci si pone nella condizione di perdersi nel Si proprio rispetto al poter-essere che più di ogni altro costituisce il suo se-Stesso più proprio. Il Si fonda e approfondisce la tentazione di coprire a se stesso l’essere-per-la-morte più proprio. Questo movimento di diversione dalla morte coprendola domina a tal punto la quotidianità  che, nell’essere-assieme, “i parenti più prossimi” vanno sovente ripetendo al “morente” che egli sfuggirà  certamente alla morte e potrà  far ritorno alla tranquilla quotidianità  del mondo di cui si prendeva cura. Questo “aver cura” vuol così “consolare il morente”. Ci si preoccupa di riportarlo nell’esserci, aiutandolo a nascondersi la possibilità  del suo essere più propria, incondizionata e insuperabile. Il Si si prende cura di una costante tranquillizzazione nei confronti della morte. In realtà  ciò non vale solo per il “morente” ma altrettanto per i consolanti. [… ] Il Si non ha il coraggio dell’angoscia davanti alla morte. [… ] Nell’angoscia davanti alla morte, l’esserci ò condotto davanti a se stesso in quanto rimesso alla sua possibilità  insuperabile. Il Si si prende cura di trasformare quest’angoscia in paura di fronte a un evento che sopravverrà . Un’angoscia, banalizzata equivocamente in paura, ò presentata come una debolezza che un esserci sicuro di sè non deve conoscere. [… ] Un essere-per-la-morte ò l’anticipazione di un poter-essere di quell’ente il cui modo dì essere ò l’anticiparsi stesso. Nella scoperta anticipante di questo poter-essere, l’esserci si apre a se stesso nei confronti della sua possibilità  estrema. Ma progettarsi sul poter essere più proprio significa poter comprendere se stesso entro l’essere dell’ente così svelato: l’anticipazione dischiude all’esistenza, come sua estrema possibilità , la rinuncia a se stessa, dissolvendo in tal modo ogni solidificazione su posizioni esistenziali raggiunte. [Tratto da Essere e Tempo ]

  • Filosofia del 1900

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