La domanda che sta al centro della riflessione dell’ultimo Heidegger ò: come si può trovare il cammino che porti ad un altro inizio, non più legato all’epoca della metafisica e al suo modo di pensare l’essere? In altre parole, Heidegger si chiede come possa avvenire un oltrepassamento della metafisica. Chi si prepara all’attesa di un altro inizio ò in qualche modo straniero nel mondo moderno, caratterizzato dall’imperare dell’uomo su tutti gli altri enti. Per questo motivo, nell’immediato dopoguerra, nella Lettera sull’umanismo Heidegger respinge l’idea di essere qualificato come esistenzialista, visto che l’esistenzialismo, nella formulazione sartreiana, ò solamente una delle forme del soggettivismo moderno e, dunque, appartiene del tutto all’epoca della metafisica. La grande svolta, dopo Essere e Tempo, sta in una ripresa del problema dell’essere, ma senza più adottare l’esistenza umana come il luogo privilegiato in cui ò chiarificabile il senso dell’essere; la svolta ò caratterizzata dal fatto che l’uomo non dispone dell’essere, ma ò pastore dell’essere: la cura dell’uomo consiste nel custodire l’essere. In questo modo il baricentro si sposta dall’esistenza alla verità dell’essere, che di volta in volta avviene come insieme di svelamento e velamento: l’essere si configura come evento. La svolta determina dunque un passaggio dall’ oblìo dell’ essere, proprio della metafisica, alla custodia della sua essenza, ma questo non vuol dire che si arrivi ad un fondamento ultimo e definitivo, in quanto il velamento che appartiene all’ essenza della verità e, quindi all’ oblìo ad esso connesso non sono mai definitivamente annullati. Se l’ oblìo della verità dell’ essere appartiene all’ essenza della verità , in quanto insieme di svelamento e velamento, il compito consisterà piuttosto nel ripercorrere la storia della metafisica per pensare quel che ò rimasto velato e, dunque, non non pensato in quel che ò detto nella metafisica. Questo spiega perchò la produzione dell’ ultimo Heiddeger sia un continuo confrontarsi con i testi canonici della tradizione filosofica a partire dagli antichi greci, in particolare con i primi, che egli chiama “pensatori” per distinguerli dai filosofi dell’ epoca della metafisica, che inizia con Platone. Il superamento della metafisica consiste, infatti, nell’ andare verso l’ elemento iniziale che regge tutto il pensiero della metafisica, ma che in esso non ò pervenuto a farsi linguaggio: il pensiero si fa dunque interpretazione storica, al fine di recuperare in un altro inizio quel che ò rimasto dimenticato e occultato in quell’ inizio. Anche nell’ interpretazione la verità dell’ essere ò esperita non come qualcosa di meramente presente e, quindi del tutto disponibile: l’ interpretazione non si traduce dunque mai in una ricostruzione storiografica oggettiva con pretese di scientificità , ma ò esperita come evento di volta in volta storicamente variabile e inesauribile. La condizione perchè abbia luogo questa esperienza consiste nel disporsi di fronte a quel che ò già stato pensato, ma considerandolo non fissato e irrigidito una volta per tutte, ma come qualcosa su cui bisogna ancora riflettere, in modo che ne possa emergere quel che ò rimasto impensato, ma meritevole di essere pensato. In tal modo s’ intreccia un dialogo con la tradizione, a partire dal luogo che si occupa nella tradizione stessa, ossia condizionati dalla pre-comprensione, che determina storicamente quel che ò da interpretare e i presupposti che guidano l’ interpretazione. Il che vuol dire che non si può mai raggiungere una risposta e una visione definitiva e totale, in quanto di volta in volta si occupa sempre e soltanto un luogo limitato e circoscritto nella storia della verità , in cui l’ essere si mostra, ma senza che mai si possa disporre completamente di esso. Il pensiero, che esperisce la storia dell’ essere e in tal modo s’ inserisce nella storia della sua verità , si chiarisce allora come pensiero dell’ essere, nel senso che pensiero e essere si appartengono l’ uno all’ altro e si manifestano nella loro identità come evento. Il pensiero ò tale solo se ò aperto all’ essere e, quindi, nella sua essenza, esso appartiene all’ essere: l’ uomo appartiene all’ evento della verità come svelatezza, di cui egli non può mai disporre come si trattasse di una cosa. Del resto, l’ essenza dell’ uomo, come aveva insegnato Cartesio, ò pensiero e, in questo senso, nella sua essenza esso ò rimemorazione dell’ essere. Quando si parla di di pensiero, Heidegger non intende la costruzione di ragionamenti o o di teorie: la logica, a suo parere, non esaurisce le possibilità del pensiero, anzi alla base di essa ò la decisione di assumere la correttezza come criterio della verità e pertanto anche la logica appartiene all’ epoca della metafisica. Pensare non ò, per Heidegger, qualcosa di puramente teorico e disinteressato, separato dalla pratica, ma ò il mondo originario di custodire la verità e di abitare il mondo Per custodire la verità ò essenziale il linguaggio, ma anche per comprendere l’ essenza del linguaggio bisogna prendere le distanze dal modo metafisico di concepirlo. Tradizionalmente il linguaggio ò considerato soltanto in termini di comunicazione verbale, come un ente che ha la proprietà di essere segno o uno strumento per informare sugli enti e, in tal modo metterli a disposizione dell’ uomo; in questo orizzonte si fa consistere il dire nel prendere qualcosa come costantemente presente, in modo da poter tornare costantemente su esso. Ma in tal modo, stando ad Heidegger, l’ essere continua a rimanere celato, non ò propriamente portato al linguaggio, che ò l’ evento in cui l’ essere e il mondo si danno storicamente all’ uomo. L’ uomo, infatti, non crea il linguaggio, ma nascendo trova già sempre il linguaggio, che ò la casa dell’ essere “, il luogo in cui le cose si mostrano all’ uomo. ‘ Il linguaggio ò ad un tempo la casa dell’essere e la dimora dell’essere umano. Solo perchò il linguaggio ò la dimora dell’essenza dell’uomo, le umanità storiche e gli uomini possono non essere di casa nel loro linguaggio, cosicchò questo diviene per loro l’abitacolo delle loro macchinazioni ‘. In questo senso, proprio in quanto predeterminato dal linguaggio in cui storicamente via via si trova, il parlare dell’ uomo poggia sull’ ascolto e appropriazione di quel che ò detto nel linguaggio: propriamente non ò mai l’ uomo che parla, ma il linguaggio stesso, che però ha sempre a che fare con l’ uomo e dispone dell’ uomo, facendolo essere quel che ò. Nel linguaggio ò rivolto un appello all’ uomo, cosicchò il pensiero diventa ascolto del linguaggio, un porsi ” In cammino verso il linguaggio “, come suona il titolo dell’ opera pubblicata da Heidegger nel 1959. Se il linguaggio giunge a parola, allora ò esperito come “la casa dell’ essere”, il luogo dell’ accadere della verità , in cui l’essere ò custodito e protetto nel suo manifestarsi e nascondersi e in cui l’ uomo può trovare il cammino verso la sua essenza che ò il pensiero: ò nel linguaggio, infatti, che si decide sempre il destino e si prepara una nuova epoca, in quanto ogni mutamento che avviene nelle parole essenziali del linguaggio determina, al tempo stesso, il mutamento del modo in cui le cose e il mondo si mostrano e sono per l’ uomo. Ogni accadere della verità ò, infatti, essenzialmente un accadere linguistico: per questo secondo Heidegger, ò opportuno preservare la forza delle parole più elementari della lingua greca e tedesca (le lingue per eccellenza del pensiero, a suo parere), le quali hanno determinato la storia del pensiero occidentale. I modi in cui il linguaggio parla sono molteplici: il pensiero ò uno di questi, ma accanto ad esso c’ ò, secondo Heidegger, la parola poetica. Abitualmente pensare e poetare sono radicalmente distinti; in realtà secondo Heidegger, essi sono strettamente congiunti, anche se rimangono diversi per la maniera di dire propria di ciascuno. Il pensatore, infatti, “dice l’ essere”, cioò porta ad espressione il non detto tramite quel che ò detto nel pensiero della metafisica, mentre il poeta ” nomina il sacro “, vale a dire che inventa un nuovo linguaggio e in tal modo inaugura una nuova apertura dell’ essere, preparando l’ avvento degli dei, che nell’ epoca attuale, come aveva spiegato Hà¶lderlin, “hanno abbandonato la terra”. Pensare e poetare, però, sono imparentati fra loro, in quanto entrambi prendono congedo da quel che ò abituale, per volgersi a ciò che ò rimasto non detto e che ò meritevole di essere detto nel futuro. Per questo Heidegger torna più volte a esercitare il suo pensiero sui versi di Trakl, George e soprattutto di Hà¶lderlin. Con questi poeti egli si pone in cammino, cercando di far riaffiorare quel che ò rimasto non pensato e quindi anche i presupposti non ancora pensati, che hanno determinato il modo di parlare dell’ epoca della metafisica. Per questa via si può fare esperienza della verità come cammino che non giunge a compimento, cosicchò Heidegger può presentarsi come un ” viandante diretto nelle vicinanze dell’ essere “. Un pensatore, che ò in cammino e non ò giunto nò può giungere alla meta, non ha dunque dottrine da comunicare e trasmettere, ma può soltanto indicare, a sua volta, itinerari possibili e così preparare l’ avvento di una nuova epoca. Del resto all’ edizione delle sue Heidegger stesso appose il motto: “Cammini, non opere”.
- Filosofia
- Filosofia - 1900