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Gabriele D'Annunzio

Riassunto completo su Gabriele D'Annunzio per la Maturità: vita, opere, pensiero.

GABRIELE D'ANNUNZIO: RIASSUNTO VITA E OPERE

Possiamo considerare la vita di D’Annunzio come un’opera d’arte. Infatti, secondo i principi dell’estetismo, bisognava fare della vita un’opera d’arte.

GABRIELE D'ANNUNZIO: BIOGRAFIA

Nato nel 1863 a Pescara da agiata famiglia borghese, studiò in un collegio prestigioso di Prato, il Cicognini. Esordì giovanissimo, nel 1879, con un libretto di versi, Primo Vere. A 18 anni si trasferisce a Roma per frequentare l’università, e inizia ad acquisire notorietà. Produce versi, opere di narrativa, articoli di giornale che suscitavano scandalo per i loro contenuti erotici. Sono gli anni in cui D’Annunzio si crea la maschera dell’esteta, dell’individuo superiore che rifiuta inorridito la mediocrità borghese. Pubblica nel 1882 una raccolta di novelle, Terra Vergine, e una seconda raccolta poetica, Canto Novo (1882), in cui descrive gli amori con una giovane fiorentina, Elda Zucconi. Nel 1883 incontra Maria Hardouin di Gallese, che gli ispira un componimento fin troppo esplicito, Il peccato di maggio. Lo scandalo fu immediato e D’Annunzio fugge con Maria. La fuga culmina poi con un matrimonio riparatore. In questi anni la vita di D’Annunzio è caratterizzata da amori, duelli, viaggi, una vita elegante e dispendiosa che costringe il poeta ad indebitarsi. Nascono figli, ma Gabriele non rinuncia a relazioni. Pubblica un’altra raccolta di novelle (San Pantaleone) e altri versi (Isaotta Guttadauro). Nel 1889 scrive il romanzo Il piacere, il cui protagonista Andrea Sperelli non è altro che l’alter ego di D’Annunzio. Si trasferisce a Napoli, frequenta la buona società, conosce Maria Gravina Cruyllas di Ramacca, da cui ha una figlia.

Pubblica:

  • Giovanni Episcopo (1891)
  • L’innocente (1891-92)
  • Elegie Romane (1892)
  • Odi navali (1893)
  • Poema paradisiaco (1893)
  • Il trionfo della morte (1894)

Verso gli anni Novanta D’Annunzio cerco nuove soluzioni, trovandole nel nuovo mito del superuomo, ispirato alle teorie del filosofo tedesco Nietzsche: un mito non soltanto di bellezza, ma anche di energia eroica. Dall’esteta malato e sconfitto del Piacere infatti egli si volge all’idea di un esteta-superuomo, dispregiatore del volgo e della democrazia. Frutto delle letture del filosofo tedesco sono Le vergini delle rocce (1895) e Il Fuoco (1900), che ha per protagonisti un autore teatrale e un’attrice affascinante, nella quale è ritratta l’attrice Eleonora Duse, con cui D’Annunzio aveva avviato una relazione. Inizia un’attività come autore di teatro (La figlia di Iorio) e si presenta alle elezioni politiche con la Destra. Nel 1898 si stabilisce nella villa La Capponcina (Firenze) con la Duse. L’attrice sostiene D’Annunzio economicamente. Nel 1900 D’Annunzio si ripresenta alle elezioni, questa volta con la Sinistra. Scrive Le laudi nel 1903: dei 3 libri la più celebre è Alcyone. La relazione con la Duse termina, e D’Annunzio si lega ad altre donne. Viene incalzato dai creditori e pignorata La Capponcina. Nel 1910 si trasferisce in Francia con l’amante russa Natalia de Goloubeff, e i suoi debiti vengono pagati da Luigi Albertini, diretto del Corriere della Sera. Abbandona Natalia e nel 1915 torna in Italia. Commemora l’impresa dei Mille, assume il ruolo del poeta vate tra gli interventisti. Con l’entrata in guerra dell’Italia partecipa alle operazioni militari come ufficiale di marina e aviazione. Durante un volo su Vienna nel 1918 lancia sulla città manifestini con suoi versi e invitando la città alla resa. Nel 1916, durante un volo si ferisce alla testa e perde la vista ad un occhio. Per salvare l’altro occhio gli viene imposto un periodo di riposo da trascorrere bendato. Durante la temporanea cecità scrive il Notturno, una prosa di memoria. Dopo la guerra, sdegnato per la vittoria mutilata, si impegna in discorsi irredentistici e occupa Fiume, che governa dal 1919 al 1920. Intrattiene rapporti con Mussolini e con il Fascismo. Mussolini fa di lui un monumento vivente, ma nello stesso tempo intende allontanarlo dal mondo politico, confinandolo in una sontuosa villa di Gardone, trasformata da D’Annunzio in un mausoleo per sé stesso, il “Vittoriale degli Italiani”. Morì qui nel 1938.

OPERE GABRIELE D'ANNUNZIO. Primo vere (1879) e Canto novo (1882)

Primo vere è un esercizio di apprendistato, e insieme a Canto novo si rifà alle Odi Barbare di Carducci. Dall’opera di Carducci viene ripresa la metrica barbara, il senso pagano delle cose, la comunione con una natura solare e vitale. Queste tematiche sono portate al limite estremo, toccando i vertici di una fusione ebbra tra io e natura, che nelle successive opere sfocerà nel panismo.

Terra vergine (1882). Si tratta del corrispettivo in prosa del Canto novo. Qui viene preso a modello il Verga rusticano di Vita del campi. D’Annunzio rappresenta i paesaggi dell’Abruzzo, ma a differenza di Verga, egli non indaga sui meccanismi della lotta per la vita nelle basse sfere, e non vi è l’impersonalità e l’oggettività dell’autore. Il mondo di Terra vergine è idillico, non problematico: in una natura rigogliosa e sensuale esplodono passioni primordiali, sotto forma di un erotismo vorace, irrefrenabile, ma anche di una violenza sanguinaria.

Novelle della Pescara (1902). Anche queste novelle, accanto all’interesse regionale e dialettale, rivelano l’ambiguo compiacimento per un mondo magico, superstizioso e sanguinario.

D'ANNUNZIO, OPERE DELL'ESTETISMO. Isaotta Guttadauro (1886). Si tratta di un esercizio raffinato ed estetico di recupero delle forme poetiche quattrocentesche.

La Chimera (1890). Insiste su temi di sensualità perversa, compendiati in immagini di una femminilità fatale e distruttrice. Queste due opere sono frutto della fase dell’estetismo dannunziano, che si esprime nella formula “il Verso è tutto”. L’arte è il valore supremo, ad essa devono essere subordinati tutti gli altri valori. La vita di sottrae alle leggi del bene e del male e si sottopone solo alla legge del bello, trasformandosi in opera d’arte. La poesia non sembra nascere dall’esperienza vissuta, ma da altra letteratura: vi sono echi letterari provenienti da poeti classici, poeti della tradizione italiana, francese e inglese.
 

GABRIELE D'ANNUNZIO E L'ESTETA

L’esteta si isola dalla realtà meschina della società borghese contemporanea in un mondo rarefatto e sublimato di pura arte e bellezza, la cui maschera D’Annunzio indossa nella vita come nella produzione letteraria. Si tratta di una risposta ideologica ai processi sociali in atto nell’Italia dopo l’unità, i quali, in conseguenza dello sviluppo capitalistico moderno, tendevano a declassare e ad emarginare l’artista, togliendolo dalla posizione privilegiata di cui aveva goduto nelle epoche precedenti. D’Annunzio non si rassegna: vuole successo e fama, vuole condurre la vita di lusso aristocratico dei ceti privilegiati. Il personaggio dell’esteta, costruito nell’opera letteraria, è una forma di risarcimento da una condizione reale di degradazione dell’artista. Ma D’Annunzio non si limita all’immaginazione letteraria, vuole vivere quel personaggio anche nella realtà: si preoccupa di produrre libri di successo, sa utilizzare economicamente la pubblicità che gli deriva da scandali, amori eleganti, lusso sfrenato. Propone una nuova immagine di intellettuale, che si pone fuori dalla società borghese.

Il piacere (1889) e la crisi dell’estetismo. Presto D’Annunzio si rende conto della debolezza di questa figura: l’esteta non ha la forza di opporsi realmente alla borghesia. Il suo isolamento sdegnoso diventa sterilità e impotenza, il culto della bellezza si trasforma in menzogna: la costruzione dell’estetismo entra in crisi. Il primo romanzo scritto da D’Annunzio, Il piacere, in cui confluisce tutta l’esperienza mondana e letteraria da lui vissuta fino a quel momento, ne è la testimonianza più esplicita. Al centro del romanzo vi è un esteta, Andrea Sperelli, l’alter ego di D’Annunzio, in cui l’autore riflette la sua crisi e la sua insoddisfazione. Andrea è un giovane aristocratico, artista proveniente da una famiglia di artisti, tutto impregnato d’arte. Il principio “fare la propria vita, come si fa un’opera d’arte”, in un uomo dalla volontà debolissima quale è Andrea, diviene una forza distruttrice, che lo priva di ogni energia morale e creativa, diviene una forza distruttrice, che lo priva di ogni energia morale e creatrice, lo svuota e lo isterilisce. La crisi si manifesta anche nel rapporto con la donna: l’eroe è diviso tra due donne, Elena Muti, la donna fatale, che incarna l’erotismo lussurioso, e Maria Ferres, la donna pura, che rappresenta l’occasione di un’elevazione spirituale. L’esteta libertino mente a se stesso: Maria è solo un giocattolo che sostituisce Elena, che Andrea desidera e che lo rifiuta. Andrea tradisce la sua menzogna con Maria, che durante un rapporto chiama Elena, e viene abbandonato anche da lei, rimanendo solo con la sua sconfitta. L’autore nei confronti di Andrea si pone in atteggiamento critico, facendo pronunciare alla voce narrante duri giudizi nei suoi confronti. Il romanzo è percorso da una forte ambiguità, in quanto, nonostante tutto, Andrea esercita un certo fascino sull’autore, con il suo gusto raffinato e la sua amoralità. Nel romanzo D’Annunzio costruisce un quadro sociale popolato da figure tipiche di aristocratici oziosi e corrotti, alla maniera verista, ma nello stesso tempo crea un romanzo psicologico, analizzando i processi interiori del personaggio, complessi e tortuosi. Infine, nel romanzo è evidente un’altra tendenza fondamentale, cioè quella di costruire sotto i fatti concreti una trama di allusioni simboliche.

La fase della bontà: Giovanni Episcopo (1891). La storia di un umiliato e offeso, che tocca l’estrema degradazione, arrivando all’omicidio.

L’innocente (1892). Si intravede un’esigenza di rigenerazione e purezza, attraverso il recupero del legame coniugale e della vita a contatto con la campagna.

Poema paradisiaco (1893). Percorso da un desiderio di recuperare l’innocenza dell’infanzia, di ritornare alle cose semplici e agli affetti familiari. Vengono toccati temi dell’area decadente francese: languore voluttuoso, atmosfere sfatte, paesaggi su cui aleggia un senso di estenuazione e di morte.

D'ANNUNZIO: I ROMANZI DEL SUPERUOMO

La fase della bontà è provvisoria, e alla crisi dell’estetismo subentrerà la fase del superuomo, scaturita dalla lettura del filosofo Nietzsche intorno al 1892. D’Annunzio banalizza alcuni aspetti del pensiero di Nietzsche forzandoli in un proprio sistema di concezioni: rifiuto del conformismo borghese, dei principi egualitari che schiacciano e livellano la personalità, l’esaltazione dello spirito dionisiaco, cioè di un vitalismo gioioso, pieno, libero dagli impacci della morale comune, rifiuto dell’etica della pietà, l’esaltazione della volontà di potenza, il mito del superuomo, un nuovo tipo di umanità. D’Annunzio dà a questi motivi un’accentuata coloritura antiborghese, aristocratica, reazionaria, imperialistica. Egli si scaglia contro la realtà borghese, contro i principi egualitari e democratici. Vagheggia l’affermazione di una nuova aristocrazia, che sappia tenere schiava la moltitudine degli esseri comuni: il superuomo nietzschiano viene interpretato da D’Annunzio nel senso del diritto di pochi esseri eccezionali ad affermare se stessi, sprezzando le leggi comuni del bene e del male. Il superuomo di D’Annunzio ingloba in sé l’esteta, conferendogli una funzione diversa. Il culto della bellezza è essenziale nel processo di elevazione dei pochi eletti: l’estetismo diventa strumento di una volontà di dominio sulla realtà. L’eroe dannunziano non contempla più la realtà appartandosi e sdegnandosi, ma si sforza ad imporre il dominio di un’élite, violenta e raffinata insieme, su un mondo meschino e vile come quello borghese. Il mito del superuomo, come l’esteta, non è altro che una reazione alla tendenza della società capitalistica ad emarginare l’intellettuale. Mentre però l’esteta rimaneva passivo, l’artista-superuomo assume una funzione di vate, di guida, e anche di compiti più pratici attivi, una missione politica. D’Annunzio ambisce a riaffermare la posizione dell’intellettuale, a farle ritrovare un ruolo sociale, attribuendole un ruolo di profeta: l’artista, attraverso la sua attività intellettuale, deve aprire la strada al dominio delle nuove élites.

Il trionfo della morte (1894). Rappresenta una fase di transizione nella realizzazione della figura del superuomo. Il protagonista è Giorgio Aurispa, ancora esteta, travagliato da un’oscura malattia interiore, che lo svuota delle energie vitali. Egli va alla ricerca di un nuovo senso della vita, e un suo breve rientro in famiglia acuisce la sua crisi. Insieme con la donna amata, Ippolita Sanzio, si ritira poi in un villaggio abruzzese, dove riscopre il volto primordiale della gente e le credenze magico-superstiziose. Da questo mondo barbaro e primitivo l’esteta è disgustato e respinto. Fallisce allora qui la sua ricerca del senso della vita, ma alla fine riesce a trovare una soluzione: il messaggio dionisiaco di Nietzsche, in un’immersione nella vita in tutta la sua pienezza. Ma egli non riesce a realizzare il suo progetto, poiché gli si oppongono le forze oscure della sua psiche: la lussuria gli consuma le forze, gli impedisce di attingere all’ideale superumano a cui aspira. Prevalgono in lui le forze negative della morte, e al termine del romanzo si uccide, trascinando con sé la “Nemica” (Ippolita), la donna fatale che gli ha impedito l’ascesa al superomismo.

Le vergini delle rocce (1895). Le vergini delle rocce sviluppano l’intreccio in atmosfere rarefatte e proiettano i contenuti di attualità in un Rinascimento mitico, fuori dal tempo. Il programma ideologico dannunziano è incarnato dal protagonista, Guido Cantelmo, il primo compiuto superuomo dannunziano, cultore della bellezza, potente eroe, chiamato dal destino a un compito immane e tentato dall’idea di divenire persino un dio. Claudio Cantelmo è un nobile romano che si reca in Abruzzo per cercare una donna degna di procreare con lui un figlio, destinato a rigenerare l’Italia, dominata dai vili borghesi. Esamina allora 3 sorelle aristocratiche: la sottomessa Massimilla, l’energica e spirituale Anatolia, la sensuale Violante. Claudio sceglie Anatolia, ma ella rifiuta, in quanto il compito proposto è troppo grande.

Il fuoco (1900). Come Andrea Sperelli, anche il protagonista del Fuoco, Stelio Effrena, è un alter ego di D’Annunzio. Scrittore, autore di teatro, amante di una grande attrice in declino, Foscarina (Eleonora Duse). Stelio è un poeta fascinatore, teorico della rinascita di una società aristocratica che dia il giusto apprezzamento ai valori di arte e bellezza. Stelio, insomma, rappresenta l’artista-superuomo, un personaggio positivo ( a differenza di Sperelli), sicuro di sé e del successo del suo compito, incurante dei piccoli drammi che si svolgono intorno a lui, in particolare il sacrificio di Foscarina, che si allontana da lui per lasciarlo libero di raggiungere il suo scopo. L’erotismo e la sensualità vengono dominati dal protagonista, mentre nel Piacere essi schiacciavano il protagonista. Il romanzo è incentrato sull’amore tra Stelio e Foscarina, ed è ambientato nella Venezia di fine Ottocento. Stelio sogna una rinascita teatrale che sia fusione di tutte le manifestazioni di bellezza e teorizza una restaurazione dei valori aristocratici nella società. Espone allora il suo programma al Palazzo Ducale. La Foscarina, grande attrice, è cosciente della superiorità dell’amante, e teme di essere abbandonata dall’amante. Alla fine Foscarina decide di abbandonare Venezia per continuare il suo lavoro di attrice oltre l’Atlantico, lasciando libero l’eroe di compiere la sua missione.

Forse che sì forse che no (1910). E’ l’ultimo romanzo di questo ciclo, in cui si trova un superuomo più incline all’azione e alla sperimentazione della modernità, ma ancora intriso di erotismo e dal fascino di una femminilità perversa. Il protagonista è Paolo Tarsis, un aviatore conteso da due sorelle, Vana e Isabella. La prima si uccide, la seconda impazzisce, lasciando Paolo libero di dedicarsi alle sue imprese aviatorie.
 

Le Laudi. Nel 1896 D’Annunzio concepisce il progetto delle Laudi, previste in 7 libri come le mitiche Pleiadi, trasformate da Zeus nell’omonima costellazione. Nel 1903 escono i primi 3 libri:

• Maia
• Elettra
• Alcyone

Nel 1912 esce Merope, che raccoglie le Canzoni delle gesta d’oltremare, e nel 1934 escono i Canti della guerra latina (Asterope). Con le Laudi D’Annunzio si propone di costruire una poesia che afferma la gioia, la conquista da parte di una nuova unità pagana, capace di inserire nel mondo moderno la vitalità del mondo antico. Il linguaggio è di stampo classicistico, lo stile declamatorio, ridondante, fondato su una sintassi elementare, paratattica e ricca di procedimenti retorici semplici (parallelismi, simmetrie, elencazioni, figure di ripetizione). Il tratto principale della poesia di D’Annunzio è la trasfigurazione mitica della sua vita. In Maia per esempio, in Laus vitae, che tratta una sua crociera in Grecia, l’esperienza viene vissuta come un rituale iniziatico, con un’immersione nella natura e nel mito. Il secondo libro, Elettra, più erudito, è dedicato alla celebrazione di Roma, dell’Italia e di vari artisti ed eroi del passato e del presente. Il terzo libro, Alcyone, è il capolavoro assoluto di tutta l’opera dannunziana. Ecco costituisce un momento di pausa rigenerante, di immersione nella natura, nell’ebbrezza dei sensi, in un erotismo vitalistico che tocca le corde più autentiche della sensibilità di D’Annunzio. Alcyone è il nome della stella più luminosa delle Pleiadi, ma anche il nome di un uccello marino simile al gabbiano. Cielo e mare sono dunque evocati fin dal titolo. Ci troviamo di nuovo di fronte a una trasfigurazione mitica di un’esperienza del poeta, un’estate in Versilia, di cui egli rievoca colori, odori, suoni e profumi. Il sentimento panico è l’elemento decisivo della raccolta: Pan è la divinità della natura, ma in greco significa anche “tutto”. Dunque il panismo è il rapporto con la natura e con il tutto, identificati con un’unica divinità. Entrare in contatto con essa significa vivere un’esperienza primordiale e totalizzante.

Il teatro di D’Annunzio

Per D’Annunzio, il teatro è il mezzo con cui il poeta superuomo è in grado di attrarre le folle, un’opera d’arte che attinge le sue origini nei riti dionisiaci, in grado di sintetizzare parola, musica, canto, danza in una sola sintesi artistica. Tuttavia, le sue opere teatrali rimasero opere da leggere piuttosto che da rappresentare in scena.

Tra le più importanti opere teatrali ricordiamo:

• La città morta
• La figlia di Iorio
• Francesca da Rimini
 

Il Notturno

Dopo una ferita all’occhio riportata durante un volo nel 1916, D’Annunzio scrive un’opera memorialistica, il Notturno. Si attenuano il superomismo, il vitalismo, il sensualismo e dal buio emergono fantasmi dolorosi, ricordi oscuri e malinconici. Egli però non rinuncia alla propria ideologia eroica e guerresca, e sembra concepire la guerra e la morte come la degna conclusione di una vita inimitabile, che apre la strada a un’autoglorificazione cui si dedicherà con maggiore impegno negli ultimi anni.

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