Sul finire del 1843 Marx ha scoperto nel proletariato la forza in grado di trasformare la società ; ciò significa che le questioni sociali non possono più essere considerate e risolte in una prospettiva esclusivamente politica. Nell’ Abbozzo di una critica dell’economia politica, giudicato ‘geniale’ da Marx, Engels mostrava che l’aumento dell’accumulazione capitalistica genera crisi economiche, una riduzione dei salari e l’impoverimento progressivo delle classi lavoratrici, con il conseguente inasprirsi della lotta di classe. Questa situazione sembrava smentire l’esaltazione dei vantaggi della proprietà privata da parte dei teorici dell’economia: miseria e conflitti sociali potevano essere eliminati, secondo Engels, soltanto eliminando la proprietà privata, ossia instaurando il comunismo. Stimolato da questo scritto engelsiano, Marx si immerge a Parigi nella lettura degli economisti, in primis di Smith e di Ricardo, e dei loro critici, socialisti come Proudhon e romantici come Sismondi. Il risultato di questi studi marxiani sono i quaderni pubblicati, solamente nel nostro secolo, con il titolo Manoscritti economico-filosofici del 1844. Essi sono costituiti da tre parti, riguardanti essenzialmente tre temi: a ) la critica dell’economia classica; b ) la descrizione del comunismo; c ) la critica della dialettica hegeliana. Queste tre tematiche rinviano al tempo stesso alle tre fonti principali del pensiero di Marx; gli economisti classici, i pensatori socialisti ed Hegel; ma è tipico della procedura di Marx condurre insieme un lavoro di assimilazione e critica delle proprie fonti. Un primissimo obiettivo è individuare le leggi che regolano il movimento dell’ industria e spiegare, in base ad esso, la formazione del proletariato. Il mondo dell’economia non è una totalità di rapporti armonici, come era apparso a Smith, ma un terreno di conflitti, che contraddicono i presupposti di ordine naturale, felicità della maggioranza e armonia sociale, sostenuti dalla maggior parte degli economisti. Per gli economisti i conflitti sono solamente accidentali e perciò, quando si formulano le leggi economiche, bisogna farne astrazione. Questo significa attribuire a queste leggi, che di fatto coincidono con quelle della produzione capitalistica, un carattere di immutabilità ed eternità e, in particolare, assumere la proprietà privata come un fatto che non richiede spiegazioni. Proprio questo aveva invece messo in discussione, tra gli altri, Proudhon nel 1840, con la domanda formulata nel titolo del suo scritto ‘ Che cosa è la proprietà privata? ‘, alla quale aveva risposto: un furto. Di fatto, secondo Marx, la società industriale progredisce in ricchezza in misura proporzionale all’impoverimento della gran massa della popolazione. L’economia politica, trascurando il rapporto tra l’operaio e il suo lavoro e la produzione, occulta l’alienazione che caratterizza il lavoro nella società industriale moderna. Alienazione era un termine messo in circolo dalla filosofia di Hegel, che letteralmente vuol dire il ‘diventare altro’ e quindi anche il cedere ad altri ciò che è proprio. Nella produzione capitalistica essa assume, stando a Marx, vari aspetti, connessi tra loro. In primis, essa riguarda il rapporto dell’operaio con il prodotto del suo lavoro: tale prodotto è per lui un ente estraneo, che non gli appartiene, ma è esclusivo possesso del capitalista, per il quale egli lavora. In secondo luogo, nell’attività produttiva l’operaio si estrania da sò, ovvero non considera il proprio lavoro come parte della sua vita reale. Questa si svolge altrove, a casa, fuori e indipendentemente dal lavoro, che si trova sotto il comando di un potere estraneo. Infine, nella produzione capitalistica l’operaio perde la sua essenza generica (Gattungswesen), ovvero ciò che propriamente contrassegna l’essenza dell’uomo. Con questo termine, impiegato anche da Feuerbach, Marx intende l’essere che si realizza storicamente nella sua appartenenza al genere di cui fa parte, ossia il genere umano: contrassegno decisivo di esso è il lavoro, che distingue l’uomo dall’animale e stabilisce un rapporto costitutivo con la natura; attraverso il lavoro in cui, sotto la spinta dei bisogni, oggettiva le sue capacità , l’uomo si appropria della natura stessa. Nella moderna produzione capitalistica, al contrario, il lavoro diventa solo un mezzo di sopravvivenza individuale, non l’espressione positiva della natura umana; il lavoro viene dunque visto da Marx come un qualcosa di altamente positivo, connesso alla natura stessa dell’uomo; esso diventa però negativo quando diventa lavoro alienato, sfruttamento. Ma in tal modo l’uomo si trova anche estraniato dall’altro uomo, perchò attraverso l’attività lavorativa l’uomo è legato da un rapporto sostanziale con gli altri uomini, costituisce con essi una comunità . Con l’alienazione l’uomo è pertanto privato anche della sua essenza sociale. Questa unità organica dell’umanità , che si realizza oggettivamente nelle attività e nei rapporti sociali, è frantumata dalla proprietà privata, che separa l’uomo dalle sue attività e dai suoi prodotti, contrapponendoli ad esso come qualcosa di estraneo, che non gli appartiene più. A parere di Marx, tanto Hegel quanto gli economisti hanno riconosciuto che il lavoro è il tratto costitutivo dell’essenza dell’uomo, ma ne hanno ravvisato solo il lato positivo. Per gli economisti il lavoro è qualcosa di naturale, in qualche modo privo di storia; Marx riconosce ad Hegel il merito di aver colto il carattere storico del lavoro; per Hegel, infatti, nello spirito si esprime la vera essenza dell’uomo, e dal momento che lo spirito è autoproduzione di se stesso, allora anche il vero uomo è risultato del proprio lavoro. Questa autoproduzione è un processo di sviluppo, in cui lo spirito si oggettiva nel mondo, ovvero diventa altro da sò, si aliena e poi ritorna a sò arricchito da tutte le determinazioni acquisite in questo processo di autoproduzione. Il lavoro dello spirito è dunque un processo di alienazione e disalienazione, ma questo processo avviene solo nel pensiero: è la storia dell’autocoscienza. Hegel considera equivalenti alienazione e oggettivazione e Marx non può assolutamente condividere: ogni relazione con un oggetto altro dal soggetto è per ciò stesso alienazione, ossia perdita di sò in altro, cosicchò l’alienazione coincide con la disoggettivazione, ovvero con l’abbandono di ogni relazione con il mondo oggettivo e il ritorno del pensiero a se stesso. Certo Marx riconosce ad Hegel il merito di aver colto che l’essenza dell’uomo è suscettibile di perdita (alienazione) e di riappropriazione (disalienazione), e cioò che l’essenza dell’uomo è storica, è un autoprodursi dell’uomo tramite il lavoro: in questo modo Marx contrappone Hegel a Feuerbach, che aveva inteso l’essenza dell’uomo come un qualcosa di statico, di a-storico. Ma Hegel ha sbagliato a concepire il processo di alienazione e disalienazione in modo idealistico, come un processo meramente spirituale che riguarda solo il pensiero. Contro questo aspetto si può far valere l’istanza di Feuerbach, che ha rivendicato il primato della sensibilità e della corporeità , anche se in maniera statica. Bisogna allora rovesciare la dialettica hegeliana, rimettendola in piedi, e quindi riconoscere che per l’uomo l’oggettività è un condizionamento intrinseco e ineliminabile, non è un momento negativo, in quanto l’uomo ha un rapporto costitutivo con la natura. Per questo aspetto, l’uomo è un essere naturale, legato intrinsecamente alla natura; ma l’uomo è al tempo stesso un essere storico e, in quanto tale, può rimuovere l’alienazione, recuperare la sua essenza, che include come costitutiva l’ oggettivazione, ovvero l’uso della natura in cooperazione con gli altri uomini. La proprietà è ‘ l’espressione materiale, sensibile, della vita umana estraniata ‘ e, pertanto, la soppressione della proprietà e dei rapporti sociali fondati su essa coinciderà con la soppressione di ogni alienazione. La soluzione dell’alienazione coincide dunque con il comunismo, in cui l’esecuzione delle attività produttive è la realizzazione dell’essenza umana. Marx contrappone nettamente la sua concezione del comunismo a tutte le forme di ‘comunismo rozzo’, fondate sulla negazione della civiltà , in un livellamento degli uomini verso il basso: esse pretendono infatti di tornare alla ‘ innaturale semplicità ‘ dell’uomo povero e privo di bisogni, non ancora giunto alla proprietà privata. Comunismo significa invece per Marx non un regresso romantico verso un passato primitivo, ma la riappropriazione dell’essenza umana in tutta la ricchezza delle determinazioni acquisite nello sviluppo storico, ossia la liberazione e manifestazione totale di tutte le facoltà umane. Questo significa che le ‘tecniche’ e le produzioni culturali, sviluppate nelle epoche precedenti, restano disponibili anche per un tipo di società diversa da quella in cui si sono formate e possono pertanto essere recuperate e fatte proprie anche nella futura società comunista. Questo non vuol dire che il progresso dell’umanità coincida per Marx semplicemente col progresso tecnico, come invece credeva Adam Smith. Lo sviluppo tecnico, che migliora i rapporti dell’uomo con la natura, è condizione necessaria, ma non sufficiente per la realizzazione dell’essenza umana. Questa infatti include come costitutivi anche i rapporti sociali, dai quali dipende l’uso della tecnica. Nel comunismo l’agire umano sarà contrassegnato dalla libertà e dall’universalità , dall’assenza di ogni costrizione nei rapporti sociali, ma anche nel massimo dominio dell’uomo sulla natura, il quale permetterà di soddisfare il maggior numero di bisogni. Il comunismo, tuttavia, non è un’utopia o un’ideale astratto, come pensavano molti socialisti del tempo, ma l’esito verso il quale procede lo sviluppo storico: esso è dunque un fenomeno storico, la cui genesi va cercata nel movimento della storia.
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