Italo Svevo, il cui vero nome è, Ettore Schmitz, nasce, da padre tedesco e madre italiana di origine ebrea, nel 1861 a Trieste città cosmopolita e fervida di traffici. Geograficamente periferica e isolata dai grandi centri culturali in realtà Trieste si trovò ad essere il punto d’incontro privilegiato di due civiltà e di due culture che consentirono a Svevo di acquisire una profondità intellettuale non frequente negli scrittori italiani del tempo. Infatti al centro della sua formazione ci sono la conoscenza di filosofi tedeschi Nietzsche e Schopenauer, della psicoanalisi di Freud e gli interessi per gli scrittori francesi Balzac e Zola e per i grandi narratori russi.
Costretto ad abbandonare la salda preparazione intellettuale alla quale era stato avviato a causa del fallimento della ditta paterna trovò un impiego in banca dove lavorò per circa vent’anni. In questi anni scrive la sua prima opera il racconto “L’assassinio in via Belpaggio” ed i romanzi “Una vita” e “Senilità” che non ebbero alcun successo. I romanzi di Svevo sono imperniati nell’analisi interiore del protagonista, eroe in negativo, destinato al fallimento, tanto diverso dal superuomo dannunziano, che propugna la superiorità dell’aristocrazia e la vittoria della volontà sui sensi ed altrettanto lontano dal sentimentalismo neoromantico di Fogazzaro. Pertanto l’uomo di Svevo inserito in una quotidianità cruda e grigia, da vinto, non riesce a superare le difficoltà del mondo reale e si lascia andare verso una precoce senilità psicologica, rendendolo incomprensibile ai numerosi sostenitori del superuomo dannunziano e dei toni dolcemente sfumati di Fogazzaro. Un’altra ragione dell’insuccesso di Svevo fu la lingua che per i critici non era elegante né pura, ma piuttosto trasandata e trascurata realizzando uno stile narrativo sintatticamente impacciato, spesso involuto e rigido. Solo successivamente la critica ha riconosciuto che la lingua e lo stile di Svevo badano soprattutto alla concretezza, ad una robusta, solida corporosa stringatezza.
E se la sua scrittura per l’eccessiva linearità, è da ritenersi antiletteraria, essa risulta estremamente espressiva, suggestiva ed originale facendo di Svevo un artista autentico. L’insuccesso di queste prime opere indusse Svevo a circa vent’anni di silenzio letterario, anche se continua a scrivere, però solo per sé, novelle e testi teatrali. Per migliorare il suo inglese, per necessità legata alla sua nuova attività di direttore nelle fabbriche di vernici del suocero, conosce Joyce con il quale nasce una importante amicizia.
Joyce manifesta il proprio entusiasmo per i romanzi gia scritti e sprona Svevo a scrivere l’opera che è considerata il suo capolavoro: La coscienza di Zeno. In quest’opera l’autore sviluppa un’analisi psicologica di straordinaria profondità e costruisce tecniche narrative modernissime soprattutto per la tradizione del romanzo italiano. Infatti Svevo si svincola dalle convenzioni novellistiche dell’800 e crea la novità di un protagonista con una dissacrante ironia che lo rende un personaggio antitragico e antieroico. Con questa opera si consente alla letteratura italiana il passaggio tra le esperienze del decadentismo della fine dell’800 e la grande narrativa europea dei primi decenni del Novecento. Il successo del romanzo giunge un anno dopo la morte dell’autore avvenuta per un banale incidente automobilistico nel 1928.
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