Dopo le drammatiche vicende della prima guerra mondiale, in Europa venne affermandosi l’indirizzo filosofico dell’esistenzialismo, il cui tema centrale è l’analisi dell’esistenza, intesa come modo di essere specifico dell’uomo: questo modo di essere ha i caratteri della finitudine e della problematicità , dal momento che è legato costitutivamente alla possibilità di realizzare se stessi o di perdersi. In quest’ambito rientra la figura del filosofo Karl Jaspers, ben lungi dalle posizioni ottimistiche di molte filosofie del secolo precedente; nato a Oldenburg (Germania) nel 1883, iniziò a studiare giurisprudenza, ma, deluso, passò a medicina e nel 1909 si laureò, specializzandosi in psicologia e psichiatria. Fra il 1908 e il 1915 lavorò in una clinica psichiatrica a Heidelberg e nel 1913 pubblicò un trattato di Psicopatologia generale: nel 1916 conseguì la cattedra di Psicologia nell’università di Heidelberg. Nel 1919 pubblicò la Psicologia delle visioni del mondo, il primo vero documento dell’esistenzialismo. Ma l’opera più importante di Jaspers, frutto del suo insegnamento a Heidelberg, è quella in tre volumi, intitolata Filosofia e pubblicata nel 1931. In alcune lezioni tenute a Groninga e a Francoforte, poi raccolte nei volumi Ragione ed esistenza (1935) e Filosofia dell’esistenza (1938), egli cominciò a formulare le linee delle ricerche che avrebbe proseguito nel dopoguerra. Jaspers non fu immediatamente ostile al partito nazionalsocialista, ma ne prese progressivamente le distanze, fino a dover rinunciare, nel 1938, all’insegnamento per via di sua moglie ebrea. Alla fine della guerra, riprese la sua cattedra a Heidelberg, con un corso in cui affrontava la questione della colpa della Germania: nel Gennaio del 1945, infatti, l’esule Thomas Mann aveva chiamato il popolo tedesco a prendere coscienza della colpa imperdonabile della Germania nei confronti dell’umanità . Fino al termine della sua esistenza Jaspers tornerà incessantemente a discutere i gravi problemi del presente, come nello scritto La bomba atomica e il futuro dell’umanità (1958). Nel 1947 egli pubblicò il primo volume di un vasto progetto rimasto incompiuto di ‘logica filosofica’, intitolato Sulla verità ; un altro scritto importantissimo, La fede filosofica, fu pubblicato l’anno seguente (1948), quando Jaspers lasciò la Germania per recarsi ad insegnare in Svizzera, a Basilea, dove lo colse la morte nel 1969. L’iniziale esperienza psichiatrica mise Jaspers di fronte alle possibilità negative dell’esistenza umana, sollevando il problema di che cosa l’uomo possa essere e che cosa possa fare. Nella Psicologia delle visioni del mondo, influenzato sia dalla ‘psicologia comprendente’ di Dilthey, sia dal metodo fenomenologico di Husserl, egli costruì un quadro tipologico delle possibili visioni del mondo ( Weltanschauungen )che presiedono ai modi dell’esistenza umana. Poi Jaspers rifiuterà la forma di quest’opera, che si presenta come una descrizione psicologica obiettiva, un accertamento empirico dei dati di fatto e delle leggi che stanno alla base della vita psichica; ma per quel che riguarda i contenuti, essa era già orientata, ad avviso di Jaspers, verso l’obiettivo più propriamente filosofico di una chiarificazione dell’esistenza. In essa infatti agiva l’influenza di Kierkegaard, letto da Jaspers soprattutto durante gli anni della guerra: anche se rifiutò sempre le conseguenze negative del pensiero di Kierkegaard, che finivano per rinchiudere l’individuo in se stesso, Jaspers ritenne che Kierkegaard gli avesse insegnato ‘ che cosa può essere la filosofia oggi ‘. Jaspers intese la filosofia come connessione ordinata di pensieri e non come un procedere per aforismi, ma fu sempre contrario a concepirla come costruzione di un sistema. La filosofia non è un’attività disinteressata, che aspira solo alla conoscenza delle cose del mondo, ma è una forma di pensiero che include necessariamente il riferimento a se stessi e alla propria situazione e trasforma chi pensa. Infatti, le domande che sono alla base della filosofia (che cosa è l’essere? perchò esiste qualcosa e non il nulla? chi sono io? ) prorompono dalla vita, cosicchò la filosofia stessa è esistenza; ma l’esistenza può essere solo chiarita, non definita come un qualsiasi oggetto, dato che essa è sempre la mia esistenza, non un oggetto che io posso guardare in modo distaccato. Jaspers, infatti, definisce in modo molto particolare: ‘ l’esistenza è ciò che non diventa mai oggetto, l’origine partendo dalla quale penso e agisco, quel che si rapporta a se stessa e, in ciò, alla sua trascendenza ‘. Costitutivo dell’esistenza è l’essere in rapporto con la trascendenza, cioò con quel che è altro e al di là di essa, cosicchò il filosofare come chiarificazione dell’esistenza rimane permanentemente in movimento, alla ricerca dell’essere e di se stessi. L’esistenza, infatti, si contraddistingue dal puro esserci ( Dasein, ‘essere qui’): con questa parola Jaspers fa riferimento a tutte le cose semplicemente presenti nel mondo. Anche l’uomo è esserci, ma egli ha anche la peculiarità di essere esistenza, cioò ha la possibilità di non ridursi ad un’entità semplicemente presente, oggettivamente definita e compiuta una volta per tutte. L’esistenza, infatti, è sempre esistenza possibile e quindi possibilità di trascendere verso altro, alla ricerca dell’essere autentico e di se stesso: Jaspers asserisce che ‘ l’essere di chi cerca è esistenza possibile, la sua ricerca è il filosofare ‘. Il filosofare si configura dunque come trascendere verso altro. L’uomo, infatti, non è un essere autosufficiente e chiuso in se stesso, ma è sempre in relazione ad altro: ne consegue che il filosofare, come ricerca dell’essere autentico tramite il pensiero, deve oltrepassare tutto quel che è dato oggettivamente e che non coincide mai con l’essere autentico. Questa operazione però non avviene automaticamente e necessariamente, ma è una possibilità per l’esserci: questi, infatti, può anche rimanere soddisfatto del suo mondo e badare solo alla propria conservazione, ma in tal caso esso non è esistenza aperta verso la trascendenza, verso quel che è oltre il puro fatto di esserci. Laddove il pensiero non trascende quel che di volta in volta è dato non esiste, ad avviso di Jaspers, filosofia, ma solo, nella migliore delle ipotesi, la conoscenza oggettivata propria delle scienze. Jaspers ravvisa tre modi o impulsi fondamentali del trascendere, connesse tra loro, ma orientate in 3 direzioni distinte. Esse richiamano la tripartizione canonica, nella tradizione filosofica, di mondo, anima e Dio. L’ opera principale di Jaspers, Filosofia, è dedicata all’analisi di questi 3 modi. Un primo polo del trascendere ò dato dal mondo, cioò dalla totalità delle cose che di volta in volta si presentano come oggetti e della quale fa parte anche l’uomo in quanto esserci empirico. Rispetto ad esso si crea quella che Jaspers definisce orientazione filosofica nel mondo: qui il mondo si presenta come l’ Umgreifende, ‘ quel che tutto abbraccia e circoscrive ‘, che ai suoi tempi Anassimandro aveva chiamato in greco periòchon. Per quanto io estenda il mio orizzonte, non posso mai oltrepassare, ad avviso di Jaspers, il mondo entro il quale mi trovo e posso procedere; orientandomi nel mondo, infatti, oltrepasso i limiti di fronte ai quali di volta in volta mi trovo e però risorgono sempre altri limiti in nuove forme, così come avanzando entro uno spazio, oltrepasso di volta in volta l’orizzonte dato, che però continua a ripresentarsi, seppur ampliato, e circoscrive il mio sguardo. Se questo orizzonte circoscrivente fosse definitivamente superato, si arriverebbe a conoscere il mondo nella sua totalità e il mondo stesso si presenterebbe come totalità compiuta. In realtà la totalità del mondo resta sempre soltanto un pensiero limite; ogni sapere autentico, infatti, si presenta sempre come sapere particolare, limitato a determinati oggetti e caratterizzato da metodi specifici adeguati ai suoi oggetti. Sono invece il positivismo e l’idealismo che pretendono di essere visioni totali del mondo e quindi di assolutizzare in maniera dogmatica l’orientazione nel mondo, anche se il primo concepisce come reale solo quel che è percepibile nello spazio e nel tempo e il secondo solamente quel che esiste in relazione ad un soggetto cosciente. In realtà , il mondo come unità -totalità è qualcosa di irraggiungibile e rimane sempre una molteplicità non conchiusa e definitiva. Nasce di qui, a parere di Jaspers, la crisi della scienza moderna, che non è riuscita a dare quel che all’inizio sembrava promettere, cioò una visione globale del mondo, sulla quale fondare i valori in maniera stabile e universale. In questa situazione di ‘scacco’, il mondo viene a trovarsi frantumato in una miriade di prospettive e ogni pretesa di comprenderlo globalmente si scontra continuamente con i nuovi limiti sopraggiunti. Ma proprio avvertendo questo scacco l’uomo arriva a concepirsi come esistenza in rapporto alla trascendenza e quindi a cercare il proprio orientamento al di là del mondo così come esso è di volta in volta dato. Proprio in questo superamento l’esistenza si richiama a se stessa come esistenza possibile e quindi come apertura a quel che non è già dato. In questo modo ò superato il presupposto comune a positivismo e idealismo, che sono entrambe forme di pensiero meramente oggettivo staccato dall’esistenza. La filosofia arriva così a configurarsi come chiarificazione dell’esistenza: avviene qui il vero salto, in cui l’esistenza si desta dal mero esserci nel mondo, come un oggetto tra gli altri, si percepisce come indipendente dal mondo e tende pertanto a realizzare se stessa a partire dalle possibilità che le sono proprie. Ma tali possibilità vanno cercate, perchò non sono date una volta per tutte. Questo porta a filosofare non limitandosi a formulare visioni del mondo, ma tramite la vita filosofica propria dell’esistenza: e Jaspers dice che ‘ il mio esserci non è esistenza, ma l’uomo è, nell’esserci, possibile esistenza ‘, cioò si rapporta all’autentico se stesso come a quel che egli può e deve realizzare. Mentre il mero esserci sussiste solamente empiricamente, l’esistenza è soltanto come libertà dell’esistenza possibile. Questo vuol dire che non tutto per l’esistenza è già deciso ed anzi per essa, in quanto possibilità aperta, essere significa decidere e decidere da sò in direzione dell’essere o del nulla: in questo senso, afferma Jaspers, ‘ io sono responsabile di me perchò voglio me stesso ‘. Per non decadere a mero esserci l’esistenza rifiuta il mondo, ma d’altra parte essa ne è attratta, dato che il mondo costituisce la sfera della sua realizzazione: questa tensione tra esistenza e mondo, nò unificabili nò separabili del tutto, è un processo che non giunge mai a compimento. Al rapporto tra esistenza e mondo è dedicato il secondo libro (‘Chiarificazione dell’esistenza’) dell’opera più famosa di Jaspers, Filosofia: il filosofo tedesco descrive i modi in cui l’esistenza, per non ridursi ad una tra le tante cose semplicemente presenti nel mondo, trascende il mondo stesso per andare alla ricerca del proprio autentico poter-essere. Jaspers mostra, però, che questo trascendimento non equivale ad un’evasione dal mondo, in quanto tra l’esistenza e il mondo, come ambito di realizzabilità dell’esistenza stessa, continuano a sussistere sempre una tensione e un rapporto problematico, mai definitivamente risolti: ‘ l’esistenza è attratta dal mondo perchò questo è l’ambito della sua realizzazione, ma nello stesso tempo lo rifiuta per evitare il pericolo di decadere a mero esserci. Mondo ed esistenza sono tra loro in tensione. Non possono nò unificarsi nò separarsi. Questa tensione è il presupposto del filosofare che muove dall’esistenza possibile. Il mondo come ambito del conoscibile e l’esistenza come ciò che s’ha da chiarire sono dialetticamente distinti e poi di nuovo unificati. [… ] L’unificazione di esistenza e mondo è un processo illimitato di cui può averne coscienza solo chi vi si trova per realizzare se stesso ‘ ( Filosofia, libro II cap. 1). L’esistenza possibile è insoddisfatta del suo puro essere nel mondo e cerca così di chiarirne il senso, vuole sapere che cosa essa sia: in questo senso l’esistenza è l’esserci che comprende se stesso. Ma se vuole conoscere solo se stesso, l’uomo non si comprende più: il singolo non può mai per sò solo diventare veramente uomo. gli è se stesso solo nella comunicazione con un altro essere che intende anch’esso conoscere se stesso. Solo nella comunicazione con l’altro, il singolo è realmente sicuro della sua identità : manifestandosi ad altri, esso appare legato ad una successione di situazioni irripetibili che appartengono solo a lui. Questo vuol dire, per Jaspers, che ‘ nò io nò gli altri siamo un essere sostanzialmente fisso e determinato che precede la comunicazione ‘: infatti, siamo caratterizzati dal poter essere e, quindi, aperti nei confronti dell’altro e mai conchiusi una volta per tutte nel tempo. Proprio attraverso il processo della comunicazione si costituisce dunque la storicità , che è propria dell’esistenza. Il tempo infatti non è un semplice trascorrere, ma è manifestazione dell’esistenza: come futuro è possibilità , come passato è fedeltà , come presente è decisione. Esistere significa conquistare a mano a mano se stessi tramite le decisioni che via via si prendono nel tempo e questo si configura non come una trasformazione indefinita scevra di orientamento, ma come fedeltà alle origini. Per Jaspers, infatti, nessuno può cominciare radicalmente dall’inizio, come se nulla fosse alle sue spalle: ciascuno è quel che è in virtù del proprio passato. Ma in che senso si può allora parlare di libertà ? La libertà appartiene solo all’esserci che nel tempo si manifesta come esistenza possibile e si esprime nell’azione, in cui ciascuno mette in gioco se stesso: essa, dunque, è anche possibilità di non essere liberi. Jaspers puntualizza che la scelta esistenziale non è il risultato di un calcolo meramente oggettivo: essenziale nella scelta è, invece, il fatto che sono io a scegliere, decidendo di essere me stesso: questo costituisce un salto e rende la scelta incondizionata, in quanto comporta che il partito scelto venga mantenuto ed io sia responsabile di me stesso e delle conseguenze delle mie azioni. La mia scelta diventa allora l’unica vera, non è una possibilità fra tante altre, perchò se fosse tale non sarebbe veramente la mia scelta. La libertà non è dunque uno strumento dell’esistenza, ma coincide con l’esistenza stessa: ‘ io sono quando scelgo e, se non sono, non scelgo ‘ dice Jaspers. Ma nel cercare di essere autenticamente me stesso, io mi riconosco legato alla situazione da cui provengo e in essa, che fa di me quel che sono, ritrovo la possibilità che mi è più propria. In questo modo Jaspers finisce spesso per identificare la libertà con l’accettazione della situazione storica propria del singolo, avvicinandosi in questo modo, più del previsto, all’ ‘amor fati’ esposto da Nietzsche, caratterizzato come fedeltà all’origine, al proprio popolo e alla propria tradizione. Affiora in queste considerazioni di Jaspers un collegamento con modi di pensare e categorie elaborate soprattutto durante gli anni della 1° guerra mondiale, quando era emerso con forza negli intellettuali interventisti il richiamo all’appartenenza di tutti ad un’unica comunità nazionale, legata ad un comune destino. Nella decisione, ad avviso di Jaspers, il singolo si scopre esistente in una situazione e dunque proveniente da un passato: nella situazione, propria di ogni singolo, il mondo si manifesta come qualcosa a cui egli è interessato, esso ha un senso per lui e pertanto diventa il suo mondo, ma questo vuol dire che egli non è la totalità di tutte le possibilità . E’ vero che con la decisione ciascuno è origine delle proprie azioni, ma non può neppure pensarsi come inizio assoluto, in quanto nessuno ha scelto i propri genitori, il luogo in cui è nato, e via discorrendo, e pertanto non può pretendere di cambiare il mondo nella sua totalità , ma solo di realizzarsi in esso partendo dalla propria origine, cioò dalle possibilità che trova già date. L’esserci non può uscire da una situazione senza entrare in un’altra: la situazione è qualcosa d’invalicabile. Il fatto di non poter non essere sempre in una situazione è quel che Jaspers, impiegando un’espressione da lui già usata nella Psicologia delle visioni del mondo, definisce situazione-limite: situazioni-limte sono anche il non poter vivere senza lotta e dolore e il dover morire. La caratteristica propria delle situazioni-limite è la loro inevitabilità : esse sfuggono alla nostra comprensione, ‘ sono come un muro contro cui urtiamo e naufraghiamo ‘. Pur non potendo essere evitate, tali situazioni-limite possono essere affrontate realizzando in noi l’esistenza possibile: ‘ sperimentare situazioni-limite ed esistere è la stessa cosa ‘ spiega Jaspers. Di fronte a queste situazioni-limite affiora l’ angoscia, la vertigine della libertà di fronte alle scelte, il momento critico in cui si è consapevoli di poter essere annullati; ogni angoscia, infatti, nasce dall’angoscia della morte. L’uomo può rimanere paralizzato davanti ad essa o superarla, abbandonando l’esserci tramite il suicidio, oppure nascondersi le situazioni-limite e dimenticarle o rifugiarsi in una relazione immediata con la divinità e quindi abbandonare il mondo, pur rimanendo nel mondo; ma il vero modo di sopportare l’angoscia consiste nel raggiungere la decisione che dà luogo all’azione incondizionata, espressione dell’esistenza cosciente di sò, che fa quel che per essa è essenziale e non si disperde nel mondo. Dalle situazioni-limiti scaturisce la domanda per l’uomo ‘perchò l’esistenza è così? ‘ Naufragando di fronte a queste situazioni si apre un rinvio a quel che è al di là di esse, alla trascendenza e si compie un salto alla ricerca dell’essere. Nessuno può programmare il rapporto con la trascendenza: questa è presente solo quando l’esistenza, nelle situazioni-limite, si volge verso di essa. In questo modo si costituisce il terzo impulso del filosofare come trascendimento, connesso agli altri due dell’orientazione nel mondo e della chiarificazione dell’esistenza: la metafisica. Nella metafisica si pone la domanda centrale della filosofia: che cosa è l’essere? L’essere che io posso conoscere ò sempre un essere determinato, non ò mai la totalità dell’essere o l’assoluto. Anche l’esistenza possibile non esaurisce in sò tutto l’essere, dato che rinvia sempre ad altro, alla sua trascendenza; e Jaspers dice che ‘ io non ho mai l’essere, ma sempre e solo un essere ‘. Se l’esistenza potesse fondarsi esclusivamente su se stessa, avrebbe trovato la verità incondizionata nell’essere temporale, che è proprio dell’esistenza, ma questo è un tentativo disperato inattuabile. L’uomo è costretto a rendersi conto che il suo fondamento può venirgli solamente da fuori, dalla trascendenza: di fronte ad essa, l’esistenza possiede la coscienza autentica della propria finitezza e si manifesta come ‘ quell’insufficienza che coincide con la ricerca della trascendenza ‘. La trascendenza non si estrinseca come un oggetto empirico o sovrasensibile; il pensiero, infatti, non può conoscere Dio, ma solo prendere coscienza del modo in cui, nella situazione finita propria dell’ esistenza, la trascendenza si annuncia ad essa: le si annuncia come simbolo. Il mondo, considerato solo nella sua datità e nella sua conoscibilità , è solo realtà empirica, ma se considerato come immagine dell’essere autentico per l’esistenza possibile, allora si configura come simbolo. Il simbolo, a sua volta, non va inteso come la realtà empirica della trascendenza: esso va invece ascoltato solamente come linguaggio di essa. Il pensiero trascende la realtà empirica, leggendo tutto quel che è come se fosse una ‘scrittura cifrata’ della trascendenza, la quale si lascia decifrare dall’esistenza: quando, al di là di tutto l’esserci, l’esistenza si rivolge all’essere autentico, questo le appare solo in cifre; la cifra viene così definita da Jaspers come ‘ l’oggettività metafisica che in sò non è la trascendenza, ma il suo linguaggio ‘. L’essere, quindi, sussiste per noi in quanto si fa linguaggio, mentre un puro e semplice al di là sarebbe vuoto, come se non ci fosse: la cifra è l’essere che rende presente la trascendenza, ma senza che la trascendenza si tramuti in un oggetto come tutti gli altri. Tutto può essere cifra: la natura, la storia e l’uomo; si tratta di un simbolismo inconscio che sfugge alla coscienza, non è inventato dal singolo, come non è inventata dal singolo la lingua che egli parla. L’esistenza si configura allora come il luogo di lettura della scrittura cifrata; in modi diversi, anche contrapposti, mitologia, teologia e filosofia provano ad esprimere oggettivamente l’essere della trascendenza. In particolare, il pensiero speculativo è ‘ la scrittura cifrata diventata comunicabile ‘: tramite la sua mediazione si può entrare in contatto con l’incomprensibilità dell’essere, che mi costituisce nel suo fondamento. Con questi esiti Jaspers rende possibile l’apertura di un dialogo tra filosofia e religione, pur nella specificità dei rispettivi ambiti, così differenti tra loro. Ad avviso di Jaspers, nei grandi filosofi si trova la più ricca scrittura cifrata, ma per riappropriarsi del loro pensiero bisogna abbattere il loro edificio sistematico ed entrare, nella misura del possibile, nel loro mondo. Dopo la pubblicazione di Filosofia, uno dei compiti che Jaspers si assunse fu quello di comporre una storia universale della filosofia, che includesse anche l’Oriente, la Cina e l’India. Rientrano in questo progetto le monografie, pubblicate a partire dal 1936, su Nietzsche, Cartesio, Schelling e il volume rimasto incompiuto, I grandi filosofi. L’assimilazione dei testi del passato non è il compito di una scienza storica oggettiva, indifferente e passiva, ma vuol dire per Jaspers partecipare in modo attivo al travaglio del pensiero passato. In questo modo si può vivere, filosofando, entro un regno di spiriti e formando dunque se stessi tramite la comunicazione con tali spiriti. Nessun filosofo, infatti, offre agli altri la verità bell’e fatta e l’uomo diventa filosofo sempre come persona singola. Diversamente da quanto avviene nelle scienze, in filosofia non c’è progresso, dal momento che in essa quel che è compiuto non può essere migliorato, cosicchò è assurdo giudicare un filosofo, dicendo che per avere ragione avrebbe dovuto pensare in modo diverso da come ha pensato. Per comprendere queste tesi di Jaspers bisogna considerare il modo in cui, nell’ultimo periodo della sua riflessione, egli affronta il problema della regione e della verità . Dopo la 2° guerra mondiale, Jaspers rifiuterà le descrizioni della sua filosofia come irrazionalismo e come esistenzialismo, nella forma che questo aveva assunto specialmente nella cultura francese: a suo avviso, la chiarificazione dell’esistenza è un momento insostituibile, ma la ragione svolge in essa un ruolo essenziale. Jaspers lotta contro la politica di potenza, che ha provocato i disastri della guerra e rischia con la bomba atomica di essere letale per l’intera umanità . Non sono sufficienti i mezzi tecnici o le soluzioni politiche per allontanare la minaccia atomica: bisogna invece attuare una radicale trasformazione e assunzione di responsabilità da parte di ogni singola persona e di ogni singolo popolo, e questa può arrivare solamente dalla libertà e dall’uso della ragione. In queste condizioni, la filosofia ha il compito di ‘ contribuire col pensiero a far sì che l’umanità conservi le sue più alte possibilità ‘. Jaspers presagisce che un’obiezione possibile contro il modo di filosofare da lui applicato in Filosofia è che esso resta chiuso nei limiti dell’esistenza singola, è una meditazione meramente personale, che non può legittimamente presentarsi come teoria universale dell’esistenza. Per rispondere a questa obiezione egli deve affrontare il problema della ragione. Mentre la verità delle scienze è universale ed esiste anche senza di me, la verità filosofica non sussiste senza di me nò io senza di essa, che è sempre personale, è la mia verità . Ma se è così, come può pretendere di valere anche per gli altri? Riprendendo tesi kantiane, Jaspers sostiene che il pensiero non è solo operante nell’esistenza, ma è anche fondazione della possibilità della chiarificazione dell’esistenza, è cioò una meditazione critica, distinta sia da una teoria oggettiva dell’uomo, sia dalla semplice chiarificazione di un’esistenza singola. Sotto questo profilo, essa si configura come il movimento della ragione che, riflettendo su di sò, si pone come logica filosofica. La logica filosofica è l’autocoscienza della razionalità universale che penetra l’esistenza, è il diventare trasparente del movimento della ragione nell’esistenza. La ragione, infatti, è ricerca di unità e volontà di verità : in essa l’esistenza trova chiarezza, mentre dall’esistenza la ragione riceve i suoi contenuti; senza esistenza la ragione è solo intelletto oggettivo e impersonale, come quello delle scienze, mentre senza ragione l’esistenza è solo esserci, inerzia, priva del movimento che la porta alla trascendenza. Grazie alla ragione nella logica filosofica si evidenzia l’aspetto dell’esistenza che risulta intellegibile e comunicabile ad altri, e si può quindi parlare non solo di un’esistenza singola, ma dell’esistenza. In essa, infatti, sono formulabili proposizioni riguardanti l’esistenza possibile, le quali destano nell’ascoltatore il richiamo alla propria esperienza. Resta però aperto il problema della verità , che Jaspers affronta nell’opera Sulla verità : la verità oggettiva, propria delle scienze, è impersonale e unica per tutti, mentre la verità per l’esistenza ò scelta di sò e, dunque, ò solo mia; ma dato che l’esistente ò singolo, si può dire che ò tale anche la verità dell’esistente. Ciascuno, infatti, può cogliere la verità solo nella propria situazione storica, che si determina di volta in volta. E’ allora possibile una verità che sia singola, ma al tempo stesso comunicabile ad altri? Se ogni esistenza è irriducibile a qualsiasi altra e possiede la sua verità , ò ancora possibile parlare di unità della verità ? Per Jaspers sono possibili vari pervertimenti della verità : se si insiste in modo unilaterale sulla singolarità della verità , ne scaturisce la teoria della molteplicità della verità con le conseguenti forme di relativismo e di scetticismo; se invece si accentua solo l’unità della verità , se ne trae la conseguenza che la verità , essendo una, deve essere unica per tutti e, dunque, nascono le varie forme di dogmatismo e fanatismo; questo contrasto è superabile solo riconoscendo che le verità diverse dalla mia non sono propriamente altre verità , ma verità di altri. Molteplici sono le esistenze, non le verità , e un’esistenza non esclude altre esistenze, anzi è sempre con altre, per cui ‘ come nella mia verità riconosco la verità della mia esistenza, così posso al tempo stesso riconoscere nelle verità altrui la verità dell’altra esistenza ‘. Questo vuol dire che la verità è il concrescere delle diverse esistenze nella loro comunicazione, è la verità di un altro che sta cercando con me, anche se questo non vuol dire accettare ciecamente l’espressione oggettivata della verità altrui. E’ questo, agli occhi di Jaspers, il compito arduo e infinito dell’umanità , per la quale non c’è mai nel tempo la verità compiuta e totale: ‘ la verità è sempre per via ‘ dice il filosofo tedesco.
- Filosofia
- Filosofia - 1900