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Leibniz: La musica

La musica in Leibniz.

Il ruolo che la musica gioca nella filosofia di Leibniz non ò facilmente riassumibile o schematizzabile. Se da una parte ò noto l’interesse del filosofo nei confronti di problemi molto specifici riguardanti la teoria musicale, l’acustica e le pratiche esecutive, la musica rientra d’altro canto nel suo sistema logico e metafisico come una sorta di termine di paragone privilegiato, di analogon del rapporto tra logico e sensibile. 1) Per quanto riguarda il primo aspetto, ò di fondamentale importanza la corrispondenza di Leibniz con il matematico e musicologo Conrad Henfling sul problema del temperamento, e quella con Christian Goldbach, che verte invece sul problema del rapporto tra struttura matematica e fruizione estetica dell’oggetto musicale. In entrambe, ad una analisi algebrica delle strutture intervallari si accompagna la consapevolezza che tali strutture non rappresentano in sè la bellezza e la perfezione dell’oggetto musicale, e che questo esiste innanzitutto come oggetto uditivo, passibile di una fruizione estetica. Nella lettera a Goldbach del 17 aprile 1712 ò contenuta la celebre definizione della musica come aritmetica incosciente: “musica est exercitium arithmeticae occultum nescientis se numerare animi” (la musica ò una pratica occulta dell’aritmetica, nella quale l’anima non si rende conto di calcolare). La definizione apre la strada ad una serie di nodi teorici fondamentali nel sistema leibniziano: in primo luogo, il legame tra musica e matematica non ò visto, come nella tradizione pitagorico-cabalistica, in senso mistico o esoterico. La struttura numerica sottostante la musica ò innanzitutto il suo principio costruttivo, il quale tuttavia non viene analizzato nella pratica dell’ascolto, ma solo intuito come molteplicità  organizzata. In una tavola allegata alla corrispondenza con Henfling, risalente al 1709, troviamo una significativa definizione del bello musicale come “osservabilità  del molteplice”, atto di sintesi che coglie una molteplicità  strutturata aritmeticamente senza la necessità  di analizzarne le singole componenti e le loro relazioni. L’analisi – compito del teorico della musica – non serve a disvelare verità  rimaste occulte all’ascoltatore, ma a portare alla luce le ragioni che sottostanno al fatto uditivo. Nella definizione della musica come calcolo inconsapevole ò inoltre contenuto un richiamo alla teoria delle piccole percezioni, che, non essendo esse stesse oggetto di esperienza cosciente, garantiscono la continuità  dell’esperienza fornendole una struttura relazionale. L’analisi del teorico, che porta alla luce le regole del comporre, ha dunque una innegabile importanza per Leibniz, ma non nega la spontaneità  della creazione artistica. Questa anzi, – fa notare il filosofo in un frammento preparatorio ai Preceptes pour avancer les sciences, del 1680 – ò determinata da un’applicazione più o meno inconscia dei principi regolatori dell’arte musicale, da parte di un soggetto che si trova in una sorta di corrispondenza immediata con le regole dell’armonia: l’autentica opera d’arte ò determinata dalla convergenza tra l’attività  analitica della ragione e quella sintetica dell’immaginazione. 2) Gli studi filosofici e scientifici non devono riguardare, per Leibniz, solo i loro oggetti propri, ma mirare a universalità  di ordine superiore. Fine della ricerca ò, in ultima analisi, la comprensione di quel principio armonico che governa il mondo. Ecco quindi che la musica assume il ruolo di illustrazione privilegiata della struttura armonica dell’universo. Il bello musicale viene in ultima analisi a coincidere con la comprensione intuitiva dell’ordine sotteso alla composizione, e tale definizione si applica nella filosofia leibniziana al concetto generale di bellezza. Ciò che determina il piacere sensibile ò “sentire harmoniam” (Confessio philosophi, 1672), e quest’ultima non ò altro che il principio unificatore della varietà . L’ armonia sarà  peraltro tanto maggiore, quanto maggiore sarà  la varietà  delle componenti che essa struttura. Su questa base, dunque, come in una composizione tonale la presenza di dissonanze ha un fondamentale ruolo dinamizzatore, in quanto crea tensione verso la risoluzione consonante e con questa la possibilità  di uno sviluppo armonico, così ogni contrasto interno all’armonia del mondo viene ricondotto da Leibniz ad una apparenza, originatasi da una concezione della realtà  non abbastanza comprensiva. La varietà  ò condizione fondamentale dell’armonia, tanto sul piano estetico che su quello metafisico, e gli elementi apparentemente dissonanti contribuiscono al suo arricchimento. L’ars inveniendi che guida il compositore ò analoga all’attività  combinatoria che Dio esercita su una varietà  infinita di elementi, obbligandoli “ad accordarsi tra di loro” (Discorso di metafisica). 3) Sia l’ars inveniendi sia l’arte combinatoria divina esprimono una analoga razionalità  universale. La sua chiave viene rappresentata dalle leggi dell’ars combinatoria. Ed ò proprio nei tentativi del giovane Leibniz di elaborare una lingua artificiale che la musica inizia ad assumere quel ruolo privilegiato che caratterizzerà  il suo intero sistema filosofico. Importante, in questo senso, ò la corrispondenza che il ventiquattrenne filosofo di Hannover intrattenne, nel 1670, con l’allora celebre teorico gesuita Athanasius Kircher, autore di una vasta opera di teoria musicale dal titolo Musurgia Universalis. Leibniz inviò a Kircher la sua opera giovanile De arte combinatoria, per ottenerne un giudizio che in realtà  il religioso – per mancanza di tempo – non formulò che in modo vago. Più che il giudizio di Kircher su Leibniz, ò interessante il fatto che il giovane filosofo conoscesse le opere del gesuita, ed in particolare apprezzasse il suo tentativo di elaborare un sistema combinatorio finalizzato alla composizione di contrappunti a più voci anche da parte di chi fosse totalmente sprovvisto di cognizioni specifiche di tecnica musicale (tale sistema, cui Kircher dà  il nome di Arca musarithmica, ò esposto nell’ottavo libro della Musurgia e rappresenta un interessante tentativo di applicazione di un sistema algoritmico alla composizione musicale). Il fondamentale punto in comune tra i due studiosi ò costituito dalla nozione di simbolicità  del linguaggio musicale, che rappresenta l’ordine dell’universo, e – conseguentemente – dalla concezione del bello musicale come percezione della struttura numerica costituente l’armonia. Strutturata aritmeticamente e dotata di una valenza simbolica che le deriva anche dalla sua natura espressiva (espressione, afferma Leibniz nello scritto Quid sit idea, del 1678, ò “ciò in cui sussistono le strutture che corrispondono alle strutture analoghe della cosa da esprimere”), la musica ha dunque le caratteristiche che la rendono adatta a divenire strumento di costruzione della lingua universale, ovvero di un sistema logico relazionale, e non gerarchico, la cui base ò costituita da pochi elementi da cui dedurne infiniti altri “come supplementi” sulla base di un metodo combinatorio. L’immagine principale di cui Leibniz si serve per illustrare tale sistema relazionale ò quella dell’organo, che richiede per la propria costruzione calcoli matematici e dà  origine a combinazioni contrappuntistiche molto complesse, realizzando una sorta di combinatoria dei timbri e delle qualità  sonore. Dall’immagine dell’organo si passa sempre nel De Arte combinatoria, a tentativi di elaborazione della Characteristica universalis attraverso le note musicali. Nella sua opera giovanile, Leibniz adotta un modello aritmetico che si serve dei numeri primi a simbolizzare le nozioni semplici e della moltiplicazione per la formazione delle idee complesse. In seguito alla rilevazione di una non universale corrispondenza tra simboli e significati, pensò di integrare tale sistema esprimendo i numeri per mezzo degli intervalli musicali, integrando in tal modo il problema aritmetico con la valenza espressiva delle combinazioni degli intervalli In altri scritti di argomento logico, il linguaggio musicale viene strutturato al partire dal sistema binario (sistema che fa uso di due sole cifre: l’1 e lo 0): rappresentando l’1 con il tono e lo 0 con il semitono, si può esprimere il posto delle cifre con il posto di questi due elementi nella scala musicale. I tentativi di fare della musica una lingua universale vennero messi da parte, e la volontà  di Leibniz di costituire un catalogo di nozioni primitive correlate ad una organizzazione sintattica in grado di far derivare da esse l’intero sapere venne meno con la crescente esigenza di specializzazione delle scienze. La musica, tuttavia, rimane la pietra di paragone del suo sistema logico e metafisico, la sola arte in grado di esprimere compiutamente la fitta tessitura che tiene insieme, nel sistema leibniziano, il piano della elaborazione razionale e quello della percezione sensibile, e il fatto che a quest’ultima ò riservato, in ultima analisi, il coglimento della verità , come l’ orecchio dell’ascoltatore attento coglie, in un brano musicale, la presenza di un ordine immanente.

  • Filosofia del 1600

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