Libro 10, vv. 118-145 - Studentville

Libro 10, vv. 118-145

Interea Rutuli portis circum omnibus instant
sternere caede

viros et moenia cingere flammis.
at legio Aeneadum vallis obsessa tenetur 120
nec spes ulla fugae. miseri stant turribus

altis
nequiquam et rara muros cinxere corona:
Asius Imbrasides Hicetaoniusque Thymoetes
Assaracique duo et senior

cum Castore Thymbris,
prima acies; hos germani Sarpedonis ambo 125
et Clarus et Thaemon Lycia comitantur ab alta.

fert ingens toto conixus corpore saxum,
haud partem exiguam montis, Lyrnesius Acmon,
nec Clytio genitore minor nec

fratre Menestheo.
hi iaculis, illi certant defendere saxis 130
molirique ignem nervoque aptare sagittas.
ipse inter

medios, Veneris iustissima cura,
Dardanius caput, ecce, puer detectus honestum,
qualis gemma micat fulvum quae dividit

aurum,
aut collo decus aut capiti, vel quale per artem 135
inclusum buxo aut Oricia terebintho
lucet ebur; fusos

cervix cui lactea crinis
accipit et molli subnectens circulus auro.
te quoque magnanimae viderunt, Ismare, gentes

vulnera derigere et calamos armare veneno, 10.140
Maeonia generose domo, ubi pinguia culta
exercentque viri

Pactolusque inrigat auro.
adfuit et Mnestheus, quem pulsi pristina Turni
aggere murorum sublimem gloria tollit,
et

Capys: hinc nomen Campanae ducitur urbi. 145

Versione tradotta

Intanto i Rutuli incalzano su tutte le porte
a stendere uomini e cingere le

mura di fiamme.
Ma la legine degli Eneadi assediata è protetta dai valli 120
e nessuna speranza di fuga. Miseri stanno

sulle alte torri
invano e cinsero le mura di rada cerchia:
Asio, Imbraside, Timete l'icetaonio,
i due Assarici e

l'anziano Timbri con Castore
(son) prima schiera; li accompagnano entrambi i fratelli 125
di Sarpedone, e Claro e

Temone dall'alta Licia.
Limesio Acmone sforzandosi con tutto il corpo
porta un masso gigantesco, non piccola parte di

monte,
né inferiore al padre Clizio né al fratello Menesteo.
Questi con lanci, quelli con pietr tentatno di difendere

130
e maneggiare il fuoco ed adattare frecce sul nervo.
Lo stesso ragazzo dardanio, giustissima cura di Venere,
ecco,

in mezzo, scoperto la bella testa,
quale gemma che divide un rosso oro,
gioiello o per il collo o per il capo, o quale

avorio 135
incastonato nel bosso o nel terebinto di Orico
risplende; e il letteo collo raccoglie i capelli sciolti
ed

un cerchio d'oro flessibile che li trattiene.
Te pure, Ismaro, le magnanime genti videro
dirigere colpi ed armare le

frecce di veleno, 140
nobile dalla casata meonia, dove gli uomini lavorano
ricche coltivazioni ed il Pattolo li irriga

d'oro.
Ci fu anche Mnesteo, che l'antica gloria di Turno
scacciato dal bastione delle mura rende famoso,
e Capi:

di qui vien tratto il nome alla città campana. 145

  • Letteratura Latina
  • Eneide di Publio Virgilio Marone
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