Eneide, Libro 10, traduzione vv. 636-688 - Studentville

Eneide, Libro 10, traduzione vv. 636-688

tum dea nube cava tenuem sine viribus umbram 10.636

in faciem Aeneae visu mirabile monstrum
Dardaniis ornat telis, clipeumque iubasque
divini adsimulat capitis, dat

inania verba,
dat sine mente sonum gressusque effingit euntis, 10.640
morte obita qualis fama est volitare figuras

aut quae sopitos deludunt somnia sensus.
at primas laeta ante acies exsultat imago
inritatque virum telis et voce

lacessit.
instat cui Turnus stridentemque eminus hastam 645
conicit; illa dato vertit vestigia tergo.
tum vero

Aenean aversum ut cedere Turnus
credidit atque animo spem turbidus hausit inanem:
‘quo fugis, Aenea? thalamos ne

desere pactos;
hac dabitur dextra tellus quaesita per undas.’ 650
talia vociferans sequitur strictumque coruscat

mucronem, nec ferre videt sua gaudia ventos.
Forte ratis celsi coniuncta crepidine saxi
expositis stabat scalis et

ponte parato,
qua rex Clusinis advectus Osinius oris. 655
huc sese trepida Aeneae fugientis imago
conicit in

latebras, nec Turnus segnior instat
exsuperatque moras et pontis transilit altos.
vix proram attigerat, rumpit Saturnia

funem
avulsamque rapit revoluta per aequora navem. 10.660
tum levis haud ultra latebras iam quaerit imago,
sed

sublime volans nubi se immiscuit atrae,
illum autem Aeneas absentem in proelia poscit;
obvia multa virum demittit

corpora morti,
cum Turnum medio interea fert aequore turbo. 665
respicit ignarus rerum ingratusque salutis
et

duplicis cum voce manus ad sidera tendit:
‘omnipotens genitor, tanton me crimine dignum
duxisti et talis voluisti

expendere poenas?
quo feror? unde abii? quae me fuga quemve reducit? 670
Laurentisne iterum muros aut castra videbo?

quid manus illa virum, qui me meaque arma secuti?
quosque (nefas) omnis infanda in morte reliqui
et nunc palantis

video, gemitumque cadentum
accipio? quid ago? aut quae iam satis ima dehiscat 675
terra mihi? vos o potius miserescite,

venti;
in rupes, in saxa (volens vos Turnus adoro )
ferte ratem saevisque vadis immittite syrtis,
quo nec me Rutuli

nec conscia fama sequatur.’
haec memorans animo nunc huc, nunc fluctuat illuc, 680
an sese mucrone ob tantum dedecus

amens
induat et crudum per costas exigat ensem,
fluctibus an iaciat mediis et litora nando
curva petat Teucrumque

iterum se reddat in arma.
ter conatus utramque viam, ter maxima Iuno 685
continuit iuvenemque animi miserata repressit.

labitur alta secans fluctuque aestuque secundo
et patris antiquam Dauni defertur ad urbem.

Versione tradotta

Allora la dea con una nube cava crea un'ombra sottile
senza forze

dall'aspetto di Enea, mirabile prodigio a vedersi,
con armi dardanie, dimula lo scudo ed i pennacchi
del capo divino,

dà parole vuote,
dà una voce senza cuore e finge passi che vanno, 640
quale è fama che, giunta la morte, le forme

volteggino
o i sogni che ingannano i sensi assopiti.
Ma il fantasma lieto esulta davanti alle prime file
incita

l'eroe con le armi e lo provoca con la voce.
Turno lo incalza e lancia da lontano l'asta 645
stridente; quello,

date le spalle, cambia percorso.
Allora Turno credette che Enea voltatosi si ritirasse
e spavaldo in cuore bevve una vana

speranza:
"Dove fuggi, Enea? Non lasciare i talami pattuiti;
con questa destra sarà data la terra cercata per mare." 650

Così gridando insegue e vibra la punta sguainata,
non vede che i venti portano le sue gioie.
Per caso una nave stava

unita alla base di un'alta roccia,
le scale pronte ed il ponte preparato,
il re Osinio da Chiusi era stato portato da

quella. 655
Qui il trepido fantasma di Enea che fuggiva
si getta in nascondigli, né Turno più lento

incalza
oltrepassagli ostacoli e salta sugli alti ponti.
Aveva quasi toccato la prua, la Sturnia rompe la fune
ed

afferra la nave salpata nelle acque già percorse. 660
Allora leggero il fantasma non cerca più nascondigli,
ma volando in

alto si nascose in nera nube,
Eneaperò cerca lui assente per il duello;
spedisce molti corpi incontrati di eroi alla

morte,
mentre intanto una tempesta porta Turno in mezzo al mare. 665
Guarda ignarodella realtà ed ingrato della

salvezza
tende ambedue le mani alle stelle con la frase:
"Onnipotente genitore, mi ritenesti degno di così grave

delitto e velesti che pagassi simili pene?
Dove son portato? Donde scappai? Quale fuga o inche stato mi 670
riporta?

Vedrò di nuovo le mura ed i campi di Laurento?
E che?quella schiera d'eroi, hanseguito me e le mie armi?
Tutti quelli

che (orribile!) lasciai in vergognoasa morte
ed ora vedo allo sbaraglio, e sento il gemito
dei morenti? Che faccio?o

quale profondità della terra mi 675
inghiottirebbe a sufficienza? Voi, oh, venti piuttosto abbiate di me;
contro rupi,

contro rocce ( io Turno volente vi adoro)
portate la nave e gettatela nelle crudeli secche della sirte,
dove né i Rutuli

né la fama cosciente mi segua."
Dicendo questo con la mente vacilla ora qua ora là, 680
fuor di sè se colpirsi per così

gran disonore
con la punta e spinger tra le costole la spada crudele,
o buttarsi in mezzo ai flutti enuotando dirigersi

ai curvi
lidi e di nuovo darsi alle armi dei Teucri.
Tre volte tentò entrambe le vie, trevolte la massima Giunone 685

lo trattenne ed impietorita dell'anino, bloccò il giovane .
Corre solcando l'alto mare con flutto e marea

favorevole
e si riporta all'antica città del padre Dauno.

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