Paragrafo
71
Quam ob rem melius apud bonos quam apud fortunatos beneficium collocari puto. Danda omnino opera est ut omni generi
satis facere possimus sed si res in contentionem veniet nimirum Themistocles est auctor adhibendus qui cum consuleretur utrum
bono viro pauperi an minus probato diviti filiam collocaret ‘Ego vero inquit malo virum qui pecunia egeat quam pecuniam quae
viro’. Sed corrupti mores depravatique sunt admiratione divitiarum; quarum magnitudo quid ad unumquemque nostrum pertinet?
Illum fortasse adiuvat qui habet; ne id quidem semper; sed fac iuvare; utentior sane sit honestior vero quomodo? Quod si etiam
bonus erit vir ne impediant divitiae quominus iuvetur modo ne adiuvent sitque omne iudicium non quam locuples sed qualis
quisque sit. Extremum autem praeceptum in beneficiis operaque danda ne quid contra aequitatem contendas ne quid pro iniuria;
fundamentum enim est perpetuae commendationis et famae iustitia sine qua nihil potest esse
laudabile.
Paragrafo 72
Sed quoniam de eo genere beneficiorum dictum est quae ad
singulos spectant deinceps de iis quae ad universos quaeque ad rem publicam pertinent disputandum est. Eorum autem ipsorum
partim eius modi sunt ut ad universos cives pertineant partim singulos ut attingant quae sunt etiam gratiora. Danda opera est
omnino si possit utrisque nec minus ut etiam singulis consulatur sed ita ut ea res aut prosit aut certe ne obsit rei publicae.
C. Gracchi frumentaria magna largitio exhauriebat igitur aerarium; modica M. Octavii et rei publicae tolerabilis et plebi
necessaria ergo et civibus et rei publicae salutaris.
Paragrafo 73
In primis autem
videndum erit ei qui rem publicam administrabit ut suum quisque teneat neque de bonis privatorum publice deminutio fiat.
Perniciose enim Philippus in tribunatu cum legem agrariam ferret quam tamen antiquari facile passus est et in eo vehementer se
moderatum praebuit–sed cum in agendo multa populariter tum illud male ‘non esse in civitate duo milia hominum qui rem
haberent’. Capitalis oratio est ad aequationem bonorum pertinens qua peste quae potest esse maior? Hanc enim ob causam maxime
ut sua tenerentur res publicae civitatesque constitutae sunt. Nam etsi duce natura congregabantur homines tamen spe custodiae
rerum suarum urbium praesidia quaerebant.
Paragrafo 74
Danda etiam opera est ne quod
apud maiores nostros saepe fiebat propter aerarii tenuitatem assiduitatemque bellorum tributum sit conferendum idque ne eveniat
multo ante erit providendum. Sin quae necessitas huius muneris alicui rei publicae obvenerit (malo enim quam nostrae ominari
neque tamen de nostra sed de omni re publica disputo) danda erit opera ut omnes intellegant si salvi esse velint necessitati
esse parendum. Atque etiam omnes qui rem publicam gubernabunt consulere debebunt ut earum rerum copia sit quae sunt
necessariae. Quarum qualis comparatio fieri soleat et debeat non est necesse disputare; est enim in promptu; tantum locus
attingendus fuit.
Paragrafo 75
Caput autem est in omni procuratione negotii et muneris
publici ut avaritiae pellatur etiam minima suspicio. ‘Utinam’ inquit C. Pontius Samnis ‘ad illa tempora me fortuna
reservavisset et tum essem natus quando Romani dona accipere coepissent. Non essem passus diutius eos imperare.’ Ne illi multa
saecula expectanda fuerunt: modo enim hoc malum in hanc rem publicam invasit. Itaque facile patior tum potius Pontium fuisse si
quidem in illo tantum fuit roboris. Nondum centum et decem anni sunt cum de pecuniis repetundis a L. Pisone lata lex est nulla
antea cum fuisset. At vero postea tot leges et proxumae quaeque duriores tot rei tot damnati tantum [Italicum] bellum propter
iudiciorum metum excitatum tanta sublatis legibus et iudiciis expilatio direptioque sociorum ut inbecillitate aliorum non
nostra virtute valeamus.
Versione tradotta
71
Perciò ritengo che sia meglio collocare un beneficio presso i buoni che presso i dotati di fortuna. Bisogna, in
genere, adoperarsi per soddisfare persone di ogni classe sociale, ma se si dovrà scegliere, certamente bisognerà seguire
l'esempio di Temistocle; avendogli chiesto un tale se dovesse dare la figlia in isposa ad un uomo onesto ma povero o ad un
uomo ricco ma meno onesto, rispose:
"Preferisco, in verità, un uomo che manchi di denaro, anziché il denaro che manchi di
un uomo ".
Ma a causa dell'ammirazione per le ricchezze si corrompono e depravano i costumi; ma la grandezza di esse in
che riguarda ciascuno di noi? Forse giova a colui che le possiede, e neppure sempre; ma ammettiamo che giovi: sia pure, ma in
qual modo potrà essere più onesto? Che se sarà anche un galantuomo, le sue ricchezze non dovranno impedire che gli si faccia
del bene, purché non ne siano la ragione. Ogni giudizio riguardi non quanto ciascuno sia ricco, ma quali siano le sue qualità
morali. L'ultimo consiglio nel dare benefici e nel rendere servigi è di non fare nulla contro l'equità e nulla a favore
dell'ingiustizia; il fondamento di un continuo favore e di una fama perpetua è la giustizia, senza la quale non può esistere
nulla degno di lode.
E poiché si è trattato di quel genere di
benefici che riguardano le singole persone, si deve, poi, discutere di quelli che riguardano tutto l'insieme dei cittadini e
lo Stato. Di questi stessi alcuni riguardano tutti i cittadini, altri i singoli, e questi sono anche più graditi. In genere ci
si deve adoperare, per quanto possibile, per l'una e l'altra categoria, e, se non è possibile, perché si provveda anche alle
singole persone, ma in modo tale che ciò o giovi o almeno non sia d'ostacolo allo Stato. Grande fu la distribuzione di grano
di Gaio Gracco: vuotava, perciò, l'erario; moderata quella di Marco Ottavio, tollerabile per lo Stato e necessaria alla plebe,
salutare, dunque, per i cittadini e per lo Stato.
In primo luogo chi
governa uno Stato dovrà badare a che ciascuno conservi il proprio patrimonio e non sia adoperata una decurtazione dei beni
privati per opera dello Stato. Si comportò in modo pericoloso Filippo durante il suo tribunato, proponendo la legge agraria,
che, tuttavia, egli permise facilmente che fosse abrogata, dimostrandosi in questo molto moderato; ma come nella sua attività
disse molte cose in modo gradito al popolo, così fu dannosa quella sua affermazione: "Non ci sono nelle città duemila persone
che abbiano una proprietà ". E' un discorso criminale, che porta al livellamento dei beni; quale peste può esser più rovinosa
di questa? Soprattutto per questo motivo, cioè per conservare le proprietà, si sono costituiti gli Stati e le città. Infatti
gli uomini si fossero riuniti in società per l'impulso della natura, tuttavia cercavano la protezione delle città nella
speranza di difendere i propri averi.
Si deve fare in modo che non si
applichino tasse. il che presso i nostri antenati accadeva spesso per la scarsezza dell'erario e la frequenza delle guerre, e
perché ciò non accada bisognerà prendere provvedimenti molto tempo prima. Se invece una qualche necessità di un tale contributo
si presenterà ad uno Stato (preferisco fare questa supposizione per un altro Stato piuttosto che per il nostro, e, del resto,
non parlo solo del nostro, ma di ogni Stato), ci si dovrà adoperàre a che tutti capiscano che si devono sottomettere alla
necessità, se vogliono essere salvi. Anche tutti quelli che governeranno uno Stato dovranno provvedere a che ci sia abbondanza
dei generi necessari per il sostentamento. Non è necessario trattare come si soglia e si debba provvedere a procurarseli: è
stato sufficiente l'avervi accennato.
Il punto principale nella cura
d'ognì affare e nell'amministrazione d'ogni pubblico ufficio è l'evitare anche il minimo sospetto di avidità. "Oh, se la
sorte - disse il Sannita Gaio Ponzio - mi avesse riservato per quei tempi, e fossi nato allora, quando i Romani cominciarono ad
accettare doni! Non avrei tollerato più a lungo che essi mantenessero il dominio ". E non si sarebbero dovuti attendere neppure
molti secoli, perché ora anche questo male è entrato nel nostro Stato. E perciò sono ben lieto che Ponzio sia vissuto piuttosto
allora, se veramente egli ebbe una così grande energia morale. Non sono ancora trascorsi centodieci anni da quando Lucio Pisone
propose la legge contro i delitti dì concussione, mentre prima non ce n'era stata alcuna; ma dopo, in verità, tante furono le
leggi e le più recenti anche più severe, tanti i colpevoli, tanti i condannati, tanto grave la guerra italica scoppiata per la
paura dei processi, e tante le spoliazioni e le estorsioni degli alleati, essendo state abrogate le leggi ed i tribunali, che
siamo salvi per la debolezza degli altri, non per il nostro valore.