Paleolitico Inferiore - Studentville

Paleolitico Inferiore

Aspetti e caratteristiche principali del Paleolitico Inferiore.

I resti più antichi

Le più antiche testimonianze archeologiche della presenza umana nella penisola italiana sembrano collocarsi tra poco meno di 1.000.000 e 800.000 anni fa, in sincronia con quanto avviene nel resto dell’Europa centro-mediterranea; nella loro singolare povertà, le prime fasi del popolamento umano in Italia appaiono tra loro non omogenee, senza apparente continuità rispetto a quanto documentato in epoche successive. Con poche eccezioni, un’analoga scarsità di ritrovamenti, per il periodo considerato, è ricorrente in altri paesi che si affacciano sul bacino del Mediterraneo, come ad esempio in Francia, Spagna e Portogallo.

La presenza di siti importanti le cui datazioni più antiche potrebbero essere collocate tra 600.000 e 500.000 anni fa, suggerisce invece che a un’iniziale, incerta e intermittente presa di contatto, seguirà il primo vero e proprio popolamento di diverse aree della penisola con caratteri di stabilità, di continuità e di intensità di frequentazione.
Tre principali episodi possono essere individuati nell’arco dei circa 8-700.000 anni che intercorrono tra il primo popolamento dell’Italia e il momento in cui si assiste alle fasi finali dell’Acheuleano, attorno a 150.000 anni fa .
La fase arcaica corrispondente alle prime, sicure, testimonianze della presenza di gruppi umani nella penisola.

La fase di Isernia la Pineta (Molise, Italia centrale).
–  Lo stadio acheuleano.

Gli inizi del popolamento: la fase arcaica

A partire da circa 1 milione di anni da oggi, nei primi 2-300.000 anni di popolamento sono finora documentati un numero relativamente esiguo di siti all’aperto o di ritrovamenti sporadici di superficie che hanno restituito pochi strumenti in pietra, caratterizzati da un alta percentuale di manufatti ricavati da ciottoli.

Una singola scheggia di selce rinvenuta in un deposito di ghiaia in località Costa del Forgione a Irsina in Basilicata, datato con il metodo del potassio/argon a 850.000 anni, è la prima muta testimonianza di un manufatto prodotto dall’attività umana della nostra più antica preistoria. Industrie ricavate da ciottoli o prodotte su scheggia sono state inoltre rinvenute in Romagna a Ca’Belvedere di Monte Poggiolo, in Umbria a Monte Peglia, in Toscana a Bibbiona e Collinaia, nel Lazio ad Arce, Fontana Liri, Castro dei Volsci e Colle Marino, in Calabria a Casella di Maida e in Sicilia a Capo Rossello, Bertolino di Mare e Menfi.

Con eccezione di Ca’Belvedere , sito datato tra 1.300.000 e 730.000 anni fa, nessuna o scarse ricerche sistematiche sono state effettuate nelle località sopra citate ai fini di un loro più preciso inquadramento cronologico. L’insieme di questi siti appare grosso modo cronologicamente corrispondente, o di poco precedente, a Isernia La Pineta, la cui industria, come si vedrà, presenta alcuni aspetti arcaici (frequenza e tipologia dei manufatti su ciottolo), associati ad altri più moderni. Un’età tra i 700.000 e 500.000 anni è in generale suggerita per  molte di queste industrie riferite alla fase arcaica del Paleolitico inferiore.

Gli strumenti utilizzati da questi primi gruppi umani sono ottenuti mediante la scheggiatura di blocchi o ciottoli di forma sferoidale od ovoidale in cui uno o più stacchi determinano un margine tagliente; la scheggiatura può interessare una sola faccia (chopper) o tutte e due (chopping-tools o chopper bifacciali) o infine estendersi a gran parte della superficie con numerosi stacchi multidirezionali (poliedri). Le schegge residue potevano inoltre essere lavorate con un’ulteriore scheggiature dei margini (ritocco) che ne modificavano la forma producendo manufatti di vario tipo, tra quali ad esempio raschiatoi o schegge denticolate.

Le materie prime più frequentemente utilizzate sono il quarzo, la quarzite, il calcare e la selce; da ciottoli di queste materie prime attraverso il distacco di poche schegge con la tecnica della percussione diretta vengono ottenuti chopper monofacciali e bifacciali, poliedri, grattatoi carenati, schegge irregolari e rari strumenti che presentano un ritocco irregolare o denticolato. Questi manufatti costituiscono lo strumentario di base dei primi gruppi umani che appartengono alla specie dell’Homo erectus.Il primo popolamento della penisola italiana e dell’Europa lo si deve all’Homo erectus. Si tratta di gruppi umani provenienti dall’Africa o dall’Asia o da entrambi questi continenti, che con penetrazioni successive portarono questa specie, nell’arco di circa mezzo milione di anni, a popolare per la prima volta l’Eurasia dopo aver abbandonato le savane africane, intorno a circa a un milione di anni fa. Le variazioni del volume dei ghiacci continentali determinarono infatti importanti oscillazioni delle linee di costa che influirono sull’assetto delle terre emerse. Queste modificazioni del paesaggio costiero mediterraneo resero possibili, durante il Pleistocene inferiore e l’inizio del medio, in una fase cronologicamente precedente a 500.000 anni fa, migrazioni di gruppi di Homo erectus dall’Africa all’Europa attraverso Gibilterra e la penisola iberica, attraverso la Sicilia e la penisola italiana e dall’Asia occidentale attraverso la penisola balcanica; le evidenze archeologiche sembrano costituire una conferma almeno per quanto concerne i primi due percorsi.

In base alla diversa incidenza nelle industrie litiche degli strumenti su ciottolo o su scheggia si può distinguere un insieme di siti caratterizzati dalla presenza più o meno consistente di manufatti su ciottolo, talora associati a strumenti su scheggia, da un gruppo con industrie su scheggia prive di ciottoli. Questa contemporaneità di due tradizioni litiche diverse, o solo apparentemente diverse, può infatti non essere la testimonianza diretta di distinzioni tra gruppi culturali diversi, poiché industrie tra loro differenziate dalla presenza di strumenti su ciottolo o su scheggia possono anche riflettere attività altrettanto differenziate nell’ambito di gruppi umani partecipi della medesima tradizione tecnologica. Per tale motivo è necessario rilevare come le condizioni di giacitura dei reperti archeologici nel terreno e le modalità di raccolta di essi possano avere notevolmente influito sulla reale rappresentatività di alcune industrie e sull’incidenza di determinati tipi di manufatti.

La fase di Isernia La Pineta

L’uomo ha dunque stabilito il primo contatto con la penisola. Diversi tipi di ambienti, come le aree costiere, le pianure interne, le sponde di grandi fiumi o di antichi bacini lacustri, sono state frequentate durante la fase arcaica del Paleolitico inferiore. Nessuna struttura di abitato però ci indica l’entità dell’impatto di questi primi gruppi umani  sull’ambiente circostante, né il grado di trasformazione che essi dovettero apportarvi per assicurasi la sopravvivenza nei territori occupati. Tutto ciò che appare estremamente confuso, indeterminato e frammentario nella cultura umana, ridotto a pochi strumenti in pietra scheggiata è, alla soglia di 736.000 anni fa, improvvisamente condensato con il massimo dell’evidenza in un sito. A Isernia La Pineta nel Molise, infatti, circostanze favorevoli hanno consentito la conservazione di un vasto abitato del quale è stato possibile ricostruire il contesto paleogeografico, avere datazioni assolute, individuare strutture abitative, definire un’imponente associazione faunistica e i caratteri di un’abbondante industria litica. Il giacimento preistorico in questione risulta così uno tra i più vasti e significativi accampamenti di Homo erectus noti in Europa.

L’ambiente che accolse l’insediamento umano di Isernia era, in base ai molti dati naturalistici recuperati, un’ampia pianura, ricca d’erba e con qualche albero sporadico, solcata da un corso d’acqua che durante la breve stagione delle piogge andava soggetto ad esondazioni. In questo paesaggio vivevano grandi mammiferi che pascolavano nelle aree più aperte muovendosi alla ricerca di macchie verdi necessarie al loro sostentamento. Tra i resti faunistici le specie più rappresentate sono il bisonte e il rinoceronte; è assai frequente anche l’elefante e, in minore entità, l’orso e l’ippopotamo, mentre sono rari i cervidi, il daino, il megacero e il cinghiale. Il clima doveva presentare due stagioni, una lunga arida e una breve umida con precipitazioni annuali, affinché si sviluppassero vaste superfici di pascolo adatte alle mandrie di erbivori.

Nonostante il pericolo di inondazioni i gruppi umani tornarono ripetutamente ad accamparsi in questa località, come attesta l’ampiezza dell’area interessata dai resti archeologici; frequentazioni stagionali in un luogo favorevole all’attività di caccia, delimitato da una fiume e da terreni paludosi che proteggevano da animali pericolosi.

La presenza dei cacciatori paleolitici è documentata non solo dai resti di caccia, ma dagli strumenti litici che essi usavano per le varie attività quotidiane e dalle strutture abitative dove questi cacciatori vivevano. I manufatti di pietra utilizzano selce e calcare; gli strumenti in selce, rappresentati per la maggior parte da denticolati, ma anche da grattatoi, raschiatoi e becchi, sono molto più numerosi di quelli in calcare, usati nella produzione di chopper e di qualche scheggia ritoccata.

Con questi strumenti e senza dubbio con altri, di cui non si sono conservate le tracce, come ad esempio il legno, l’uomo di Isernia provvedeva alla sua sussistenza e alla costruzione di una struttura di bonifica sulle sponde del fiume, atta a consolidare il terreno acquitrinoso. La scelta di grandi ossa, quali crani, zanne, bacini, ossa lunghe di elefante, assieme a numerosi frammenti di travertino fu ben oculata per costituire la base della struttura di bonifica del terreno. La presenza di aree abitative prive di ossa di animali, ma ricche di strumenti, fanno ipotizzare l’esistenza di aree specializzate in attività particolari in diversi punti dell’accampamento

Il sito, occupato ripetutamente per brevi periodi in anni successivi, fu abbandonato definitivamente quando le attività vulcaniche e sismiche della zona si fecero intense e pericolose.
L’eccezionalità dei resti archeologici riportati in luce a Isernia La Pineta documenta in un’epoca così antica un’organizzazione socio-economica già assai avanzata, come attestano le complesse attività intraprese, quali l’imponente struttura abitativa su bonifica o la caccia collettiva ai grandi mammiferi. I dati faunistici provano infatti che il gruppo umano che occupava il sito di Isernia praticava una caccia sistematica e indirizzata verso un ampio spettro di specie che rispecchia l’esistenza di una collettività socialmente organizzata e di strategie di sussistenza chiaramente innovative nella penisola italiana.
A un periodo successivo ad Isernia, ma antecedente lo sviluppo dell’Acheuleano possono essere riferite le industrie dei livelli A-B di Loreto di Venosa in Basilicata e quelle rinvenute nel giacimento di Visogliano sul Carso triestino.

Lo stadio acheuleano

Molti complessi litici più recenti della fase di Isernia La Pineta e distribuiti in un arco di tempo compreso tra le epoche glaciali di Mindel e Riss sono stati attribuiti, in base alle caratteristiche tecniche, al Protolevalloisiano e al Clactoniano. Queste industrie, prive di bifacciali, sono prevalentemente caratterizzate da strumenti su scheggia. L’interpretazione delle possibili relazioni tra queste due tradizioni litiche o della loro reciproca indipendenza, ed il significato funzionale della presenza/assenza di bifacciali, caratteristici invece dello stadio acheuleano, rappresentano un difficile argomento di dibattito. Industrie di questo tipo sono state rinvenute nel Gargano in Puglia, in Abruzzo, nei dintorni di Roma, nel Veneto e in Sardegna. Le due tradizioni litiche sono in realtà difficilmente inquadrabili, non solo dal punto di vista cronologico, ma anche culturale. La scarsità dei reperti, le raccolte di superficie parziali e la distinzione basata solo sullo stato fisico dei manufatti (patina, fluitazione) non consentono al momento un’ulteriore definizione del significato di queste tradizioni litiche nella penisola italiana.

Non siamo in grado di fissare con sufficiente precisione quando alle industrie su ciottolo succedono quelle a bifacciali. Nell’Acheuleano vengono generalmente fatte rientrare le industrie con bifacciali di età compresa tra circa 500.000 e 150.000 anni fa; esse sono molto numerose e distribuite su tutto il territorio peninsulare. I termini estremi dello stadio acheuleano si collocano tra i 458.000 anni di Fontana Ranuccio e i 200.000/150.000 anni a cui possono essere riferiti siti dell’Acheuleano finale, quali ad esempio Rosaneto in Calabria.

Il manufatto tipico di questo stadio è, come è stato detto, il bifacciale; sotto questa denominazione sono classificate forme differenti di manufatti, derivate da ciottoli o grandi schegge, prodotte mediante ritocco semplice o scagliato in modo da ricavare due facce principali. Un bifacciale può avere un profilo triangolare, cuoriforme, ovale, discoide e a mandorla (amigdala); il ritocco, ad ampi stacchi si estende alle due facce, talora parzialmente, determinando un andamento dei margini sinuoso o rettilineo. L’ampia distribuzione delle industrie di tradizione acheuleana è l’evidente testimonianza di un incremento demografico rispetto alle fasi precedenti e di una particolare adattabilità dei gruppi umani portatori di questa tradizione culturale alle diverse nicchie ecologiche.
Alcune aree privilegiate, come il già ricordato bacino di Venosa, le rive del paleo Sacco nel Lazio meridionale o le coste tirreniche a nord di Roma, presentano in questa epoca una concentrazione particolare di siti.

A Venosa, in località Notarchirico, è stata individuata un’eccezionale sovrapposizione di diversi suoli d’abitato molto estesi con addensamenti di manufatti associati a resti di elefanti, bovidi e cervidi. Negli undici livelli messi in luce, significativa è l’alternanza di industria a scarsi bifacciali e di industrie su scheggia totalmente prive di essi. La presenza/assenza di bifacciali nei  livelli di abitato suggerisce piuttosto delle diversità di adattamento a condizioni locali, o a momenti particolari dettati da attività diversificate (area di macellazione, area di sosta breve, estese superfici di abitato), o, ancora, appare in relazione alla maggiore o minore frequenza di resti di fauna, mentre è più difficile interpretare tale alternanza come manifestazione di gruppi tecnologicamente o culturalmente diversi. Il sito di Notarchirico è datato a circa 359.000 anni fa.
Nel territorio laziale sono state riconosciute nell’ambito dell’Acheuleano tre fasi cronologicamente differenziate e caratterizzate da una limitata estensione territoriale. Le tre fasi sono state riconosciute ad Anagni-Fontana-Ranuccio, in uno dei livelli di Lademagne (Frosinone) e a Torre in Pietra e Pontecorvo.

All’Acheuleano sono riferibili molti altri siti distribuiti su buona parte della penisola tra i quali si possono ricordare i rinvenimenti della Grotta del Principe ai Balzi Rossi in Liguria, il giacimento di Monte Conero presso Ancona, i numerosi siti dell’Abruzzo tra i quali si ricordi quello di Le Svolte di Popoli nella Conca Peligna, le numerose presenze acheuleane del Gargano in Puglia, le diverse località di Marina di Camerota presso Palinuro in Campagna ed infine il rinvenimento di bifacciali nell’isola di Capri.

Le fasi finali dell’Acheuleano sono caratterizzate dalla comparsa della tecnica Levallois in industrie con rari bifacciali. La scheggiatura può avvenire in maniera non predeterminata, ma anche secondo uno schema prestabilito, al fine di ottenere dei prodotti della scheggiatura di forma regolare adatti alla fabbricazione di strumenti. Uno di questi procedimenti di produzione di schegge di forma regolare è la tecnica Levallois; essa consiste nel preparare il nucleo dandogli una forma regolare, ovalare, triangolare o rettangolare, predeterminando così il distacco di una scheggia, una punta o di una lama di forma predeterminata. Siti di questo momento finale dell’Acheuleano sono presenti in numerose località del Pedeappennino emiliano-romagnolo, nel Veneto nelle Cave di Quinzano e a Monte Gazzo e nelle Marche; a questa fase sono inoltre riferibili anche alcune raccolte di superficie della Toscana a sud dell’Arno, dove l’incidenza dei bifacciali è scarsa, mentre l’industria su scheggia, ottenuta con tecnica Levallois è abbondante. Una bassa incidenza di bifacciali associata a schegge levallois caratterizza pure alcune industrie litiche del Gargano e il complesso di Rosaneto presso Praia a Mare in Calabria.

La progressiva evoluzione dalle industrie della fase finale della tradizione acheuleana portò allo sviluppo almeno in parte dei complessi del Paleolitico medio. Nel corso dell’ultimo interglaciale diversi complessi litici presentano infatti una serie importante di modificazioni strutturali. La progressiva scomparsa dei bifacciali, la standardizzazione spinta di determinati tipi di strumenti, come le punte e i raschiatoi, e una maggiore regolarità dei prodotti della scheggiatura preannunciano i caratteri tipologici dei futuri complessi würmiani.
La comparsa dell’Homo sapiens neanderthalensis e dei complessi musteriani, nell’Interglaciale riss-würmiano tra 130.000 e 80.000 anni fa, segna convenzionalmente la fine del Paleolitico inferiore.

– La vita quotidiana durante il Paleolitico inferiore

La presenza dell’Homo erectus  è documentata generalmente da concentrazioni di manufatti litici e di resti scheletrici di animali che presentano tracce di macellazione, di taglio o fratture intenzionali. L’organizzazione dello spazio abitato può risultare da alcune evidenze archeologiche come la diversa distribuzione di aree con resti ossei parzialmente separate da aree con manufatti litici e tra questi dalla concentrazione differenziata di alcune categorie di strumenti (ad esempio dei chopper e degli strumenti su scheggia), dalla presenza di superfici ricoperte di pietre di riporto (acciottolati) e da pavimentazioni ottenute con pietre piatte o infine dall’allineamento di blocchi di pietra. È difficile stabilire il significato reale di tali concentrazioni di reperti; nelle fasi più antiche i resti sono pochi, così è probabile che queste strutture corrispondessero a ripari, tende o a recinti di protezione dagli animali, mentre durante la fase più avanzata del Paleolitico inferiore, come abbiamo visto ad Isernia La Pineta e a Notarchirico, gli abitati diventano più estesi con allineamenti di pietre che delimitano aree di vari metri quadrati, capanne a pianta ovale, di cui ci rimangono le buche dei pali , e veri fondi di capanna rappresentati da depressioni scavate nel terreno circondate da muriccioli di pietra usati come paravento.

Con la comparsa dell’Homo erectus si osserva una ben più grande capacità di adattamento a differenti situazioni. Due fattori hanno favorito questo adattamento:

– la conoscenza del fuoco;

– la maggiore importanza assunta dalla caccia e l’applicazione di nuove tecniche venatorie.

Le tracce di fuoco più antiche che si conoscano risalgono ad un arco di tempo compreso tra 450.000 e 200.000 anni. I più antichi resti di carboni associati a un suolo d’abitato provengono da Terra Amata presso Nizza in Francia (380.000 anni), da Vértesszöllös in Ungheria (430.000-350.000 anni) e da Torralba in Spagna (250.000-130.000 anni). Il controllo del fuoco aumentò le possibilità di difesa, di conservazione e preparazione dei cibi e consentì la creazione di ambienti artificiali riscaldati, premessa della diffusione dell’uomo nelle regioni fredde.

I resti scheletrici degli animali cacciati rinvenuti negli abitati del Paleolitico inferiore provano che le attività venatorie si erano raffinate. Le armi impiegate nella caccia sono, in base a quanto è noto sino ad ora, il giavellotto di legno e forse la zanna di elefante. Prove dell’uso di giavellotti in legno sono state documentate a Clacton-on-Sea in Inghilterra e a Schöningen (400.000 anni) in Germania. In entrambe le località sono stati rinvenuti frammenti di giavellotti in legno: nel primo caso si tratta di un frammento di punta, mentre nel caso tedesco furono rinvenuti i frammenti di ben cinque giavellotti di cui uno rotto in due pezzi e lungo più di due metri. I giavellotti di Schöningen erano utilizzati nella caccia ai cavalli lungo le sponde di un piccolo lago. Accanto alle armi dovevano essere adottate anche altre tecniche, quali le trappole artificiali e il fuoco.

Le tecniche di caccia acquisite consentivano l’abbattimento sistematico di grandi mammiferi come l’elefante, il rinoceronte, il cavallo, il cinghiale, lo stambecco e il bue primigenio. La scelta era orientata di preferenza verso gli individui giovani che potevano essere più facilmente isolati e cacciati e davano anche carne di migliore qualità. Mentre si osserva un continuo sviluppo delle pratiche venatorie, sono pochissime le evidenze della raccolta di vegetali; allo stesso modo sono rare le tracce di raccolta di molluschi marini.

Nel corso del Paleolitico inferiore muta anche l’utilizzo delle varie parti degli animali cacciati. Se nei primi tempi era sfruttata soprattutto la carcassa, in una seconda fase si osserva una decisa preferenza per le membra. Lo studio dei resti scheletrici in vari siti acheuleani rileva che i cacciatori macellavano gli animali fuori dalle aree abitate quotidianamente, abbandonandone la parte assiale dello scheletro e portando con loro gli arti anteriori e posteriori. È inoltre documentata la pratica di perforazione del cranio per consumare il cervello.

L’organizzazione degli accampamenti e la pratica della caccia collettiva a prede di grande taglia, come agli elefanti e ai rinoceronti, suggeriscono un’organizzazione sociale molto sviluppata.

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