I popoli pagani con loro danno ritenevano che il bel pianeta Venere
diffondesse con i suoi raggi l’amore sensuale, volgendosi nel terzo epiciclo;
per la qual cosa le genti antiche, chiuse
nell’errore del paganesimo, non solo adoravano la dea Venere con sacrifici e con invocazioni accompagnate da voti,
ma
rendevano onore anche a Diana e Cupido, a quella come madre di Venere, a questo come figlio; e raccontavano che Cupido si era
seduto in grembo a Didone;
e da Venere, dal nome della quale inizio questo canto, trae il nome la stella che il sole
contempla come un innamorato ora mentre essa si trova alle sue spalle, ora mentre si trova davanti a lui.
lo non mi accorsi
di salire in esso; ma mi resi conto di esservi giunto quando vidi la mia donna farsi più bella.
E come nella fiamma si vede
la scintilla, e come in due voci (che, cantando insieme, sembrano una sola) si distingue l’altra voce, se una sta ferma su una
nota e la seconda si alza e si ad bassa, così nella luce del pianeta Venere scorsi altre luci muoversi in giro più o meno
veloci, in proporzione, credo, alla maggiore o minore intensità della loro visione di Dio.
Da una fredda nube non discesero
mai venti, visibili o no, tanto veloci, che non apparissero ritardati (nel loro procedere) e lenti a chi avesse veduto quelle
luci divine affrettarsi verso di noi interrompendo la danza circolare prima iniziata nel cielo degli alti Serafini;
e all’
interno di quelle luci che apparvero davanti alle altre risuonava la parola “Osanna” con tanta dolcezza, che mai poi rimasi
senza il desiderio di riudire quel canto.
Poi una di queste si avvicinò di più a noi ed essa sola cominciò a parlare:
“Tutti siamo pronti a soddisfare ogni tuo desiderio, affinché tu tragga da noi motivo di gioia.
Noi ci muoviamo con il coro
angelico dei Principati nello stesso cerchio e con lo stesso movimento eterno e con lo stesso desiderio di Dio;
ad essi tu
un tempo, quando eri nel mondo, ti rivolgesti con questa canzone: “Voi che stendendo il terzo ciel movete; e siamo così
pieni d’amore, che, per compiacerti, non ci sarà meno dolce (rispetto alla danza e al canto) fermarci un poco (con te)”.
Dopo che i miei occhi si furono rivolti a Beatrice per chiedere umilmente il permesso di parlare, ed ella li rese paghi e
certi del suo consenso, ritornarono allo spirito che con tanta generosità si era offerto (di soddisfare ogni mio desiderio ), e
le mie parole, pronunciate con tono di profondo affetto, furono: “Deh, chi siete?”
Come lo vidi farsi più grande in
ampiezza e fulgore per il nuovo gaudio che, quando gli rivolsi la parola, si aggiunse a quello che già provava come anima
beata!
Diventato più luminoso, mi disse: “Il mondo mi ebbe poco tempo con se; e se fossi vissuto di più, si sarebbe
evitato molto male, che invece avverrà. La letizia, che si diffonde intorno a me e mi ricopre come fossi un baco fasciato dal
suo bozzolo, mi nasconde ai tuoi occhi.
Assai mi amasti, e ben ne avesti ragione, perché se io fossi rimasto (più a lungo)
in terra, ti avrei mostrato molto più che le fronde del mio affetto (offrendoti anche i suoi frutti ) .
Mi aspettavano come
loro signore a tempo debito (dopo la morte di mio padre) la Provenza, che si stende lungo la riva sinistra del Rodano a sud
del luogo in cui esso riceve le acque del Sorga, e quella parte d’Italia fatta a modo di corno che protende i suoi borghi di
Bari, Gaeta e Catona a partire dal punto nel quale il Tronto e il Verde sfociano in mare.
Mi risplendeva già sulla fronte la
corona d’Ungheria, la terra che il Danubio bagna dopo essere uscito dal territorio germanico.
E la bella Sicilia, che si
vela di caligine nel tratto di costa fra il capo Passaro e il capo Faro presso il golfo di Catania, che è investito dallo
scirocco più che da altri venti,
non per colpa di Tifeo ma per le emanazioni sulfuree del terreno, avrebbe tuttora atteso i
suoi re legittimi, che sarebbero discesi attraverso me da Cario e da Rodolfo,
se il malgoverno, che sempre rattrista i
popoli soggetti, non avesse mosso la popolazione di Palermo a ribellarsi al grido: “Morte, morte (ai Francesi)!”
E se
mio fratello prevedesse le conseguenze del malgoverno, già allontanerebbe da se l’avida povertà dei Catalani, perché non gli
potessero nuocere;
poiché bisogna veramente che da parte sua, o da parte altrui, si provveda affinché il suo regno già
gravato (dalla sua cupidigia) non venga oppresso da nuovi pesi.
La sua indole, che derivo avara da antenati liberali e
generosi, avrebbe bisogno di funzionari tali che non si preoccupassero soltanto di riempire le loro borse.
“Poiché io
credo che la profonda gioia che mi danno le tue parole, o mio signore, in Dio, principio e termine di ogni bene, tu la veda con
la stessa chiarezza con la quale io la sento in me, tale gioia mi è più gradita;
e mi è cara anche per un altro motivo,
perché tu la vedi guardando direttamente in Dio (cosi come fanno tutti i beati).
Mi hai reso felice, ma ora chiarisci un mio
dubbio, poiché, con le tue parole, mi hai spinto a chiedermi in che modo da un seme dolce possa derivare un frutto amaro (cioè:
in che modo possano discendere da una nobile stirpe rappresentanti degeneri)”.
Io gli dissi queste cose; ed egli mi
rispose: “Se riuscirò a dimostrarti una verità fondamentale, tu potrai volgere gli occhi all’oggetto della tua domanda così
come ora gli volgi le spalle (cioè: capirai il problema del quale, per il momento, non riesci a renderti conto).
Dio, il
Bene che muove e rende lieti i cieli attraverso i quali tu sali, fa si che la sua provvidenza diventi, in questi grandi corpi
celesti, virtù ( capace di influire sul mondo sottostante ).
Nella mente divina, di per se perfetta, non solo si provvede
all’esistenza delle molteplici nature terrene, ma anche a quanto è loro utile:
per tale motivo tutto ciò che è generato
dall’influenza dei cieli è disposto secondo un fine prestabilito da Dio, come una freccia lanciata verso il suo bersaglio.
Se così non fosse, i cieli che tu attraversi produrrebbero effetti tali, che non sarebbero opere ordinate e razionali, ma
disordine e distruzione;
tuttavia ciò e impossibile, se le intelligenze motrici di questi cieli non sono difettose, e se
non è difettoso il primo intelletto (Dio), che, in questo caso, non le avrebbe create perfette.
Vuoi che ti illumini
maggiormente questa verità che ti ho enunciata?” Ed io: “No certamente, perché so che è impossibile che la natura venga meno
al fine che si è prefissa”. Perciò egli rispose:
“Ora dimmi: sarebbe peggio per l’uomo sulla terra, se non vivesse in
convivenza con gli altri?” “Sì – risposi, – e di questa verità non chiedo dimostrazione”.
E potrebbe l’uomo essere
cittadino (cioè far parte di un’organizzazione civile), se ciascuno nel mondo non vivesse in condizione diversa (rispetto a
quella degli altri ), esercitando funzioni diverse? No certo, se Aristotile, il vostro maestro, vi insegna esattamente”.
Cosi venne svolgendo le sue deduzioni fino a questo punto poi concluse: “Dunque (se gli uomini devono assumersi compiti
differenti) è necessario che ( in ciascuno di voi ) siano diverse le attitudini dalle quali siete indotti a compiere uffici
diversi:
per la qual cosa uno nasce (con l’attitudine del legislatore, come) Solone, e un altro ( con quella del
condottiero, come) Serse, uno (con la vocazione del sacerdote, come) Melchisedech e un altro (con quella dell’arte, come)
Dedalo, l’artefice che, volando nell’aria, perse il figlio.
Con il loro movimento circolare i cieli, che imprimono nelle
creature il suggello della loro influenza, svolgono saggiamente la loro opera (distribuendo fra gli uomini attitudini diverse),
ma (nel fare ciò) non distinguono tra casa e casa, tra famiglia e famiglia.
Di qui accade che Esaù si differenzia da
Giacobbe già al momento del concepimento, e che Romolo discende da un padre di così umile condizione, che se ne attribuisce la
paternità a Marte.
La natura dei figli sarebbe sempre simile a quella dei padri, se la provvidenza divina (per mezzo delle
influenze celesti) non vincesse (la naturale tendenza per cui il figlio assomiglia al padre).
Ora la verità che tu non
vedevi ti è davanti agli occhi: ma affinché sappia che mi è dolce intrattenermi con te, voglio aggiungerti un corollario.
Sempre la disposizione naturale, se trova discordanti da se le condizioni esterne, fa cattiva prova, come ogni seme che
venga gettato in un terreno non adatto.
E se il mondo laggiù tenesse conto delle inclinazioni poste dalla natura in
ciascuno e le seguisse, avrebbe sempre gente valente (adatta, cioè, ad eseguire i compiti affidati dalle influenze celesti ).
Ma voi costringete alla vita religiosa chi è nato per la vita militare, ed eleggete re chi è adatto a far prediche: per
questo il vostro cammino è fuori della retta via”.
- 200 e 300
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