Tesina: Umanistica[br] Di: Isabella B. [br] Tipo Scuola: Liceo Classico [br][br] [b]Abstract:[/b] [br]Nellâopera del grande Cesare Pavese è possibile individuare frequentemente, quasi continuamente, riferimenti più o meno espliciti alla mitologia: i lavori da lui composti, infatti, traboccano di simboli e immagini che il lettore attento può facilmente ricondurre alla sfera mitica. La riflessione sul mito, perciò, è una componente fondamentale del pensiero pavesiano. Gli studi che sono alla base di questa concezione dellâutilità del mito sono diversi: dalla meditazione sul Vico agli studi di etnologia e antropologia fino a un certo interesse per lâirrazionalismo decadente. In particolare, è evidente lo studio delle teorie junghiane sullâinconscio: infatti, particolarmente significativa per la comprensione delle opere di Pavese è lâidea del mito come espressione dellâinconscio collettivo, grande scoperta dello psicanalista svizzero. Egli infatti afferma: âI miti sono, originariamente, rivelazioni dellâanima pre-cosciente, involontarie testimonianze di processi psichici inconsci e tuttâaltro che allegorie di processi fisici. Allegorie di questo genere non sarebbero che giuochi oziosi di un intelletto non scientifico. I miti, invece, hanno un significato vitale. Essi non esprimono soltanto, ma sono essi stessi a costituire la vita psichica della tribù primitiva che si disgrega e tramonta, non appena viene a perdere la sua eredità mitica, come un uomo che perda la propria animaâ. Il patrimonio mitico, dunque, ha una funzione fondamentale perché esprime in maniera universale e definitiva la storia e lâesistenza umana, rendendola immortale e incancellabile. Lo scrittore di Santo Stefano Belbo, infatti, elaborò a partire da queste considerazioni una idea-base secondo la quale âin noi, in un aurorale contatto col mondo, si creano miti, simboli, che assurgono a significazione delle cose, irrazionale ma definitiva e determinante per il futuro: una sorta di memoria del sangueâ (Salvatore Guglielmino, Guida al Novecento). Lo stesso Pavese afferma in Feria dâagosto, dunque, che il mito è qualcosa fatto âuna volta per tutte, che perciò si riempie di significati e sempre se ne andrà riempiendo, in grazia appunto della sua fissità non più realistica [â¦] Per questo esso avviene sempre alle origini, come nellâinfanzia: è fuori del tempoâ. Il compito dellâartista, quindi, sta, secondo lui, nellâescavazione di questo fondo mitico, primigenio e irrazionale, nel recupero dei suoi momenti esemplari, nel dare forma, parola a tutto ciò.
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