Thomas Kuhn - Studentville

Thomas Kuhn

Pensiero e vita.

Il pensiero L’ impostazione fornita da Popper al problema della conoscenza scientifica ha portato l’ attenzione sul suo processo di crescita attraverso la dinamica della formulazione e della critica delle teorie. Dal che ò emersa la consapevolezza che per comprendere la natura della conoscenza scientifica non ò sufficiente esaminare la struttura logica interna delle teorie, ma bisogna investigare anche il modo in cui esse si sono affermate o sono state abbandonate nel corso della storia: di qui la necessità  di intrecciare la considerazione epistemologica con la storia della scienza. Questa impostazione ha avuto risonanza soprattutto grazie all’ opera del filosofo statunitense Thomas Kuhn (nato a Cincinnati nel 1922 e morto nel 1996), intitolata La struttura delle rivoluzioni scientifiche (1962). Professore di storia della scienza all’ università  di Princeton, e autore di un volume su La rivoluzione copernicana (1957), Kuhn si ò reso conto che il cammino della scienza procede non per accumulazioni, secondo una crescita continua, ma attraverso rivoluzioni. Le rivoluzioni, però, rappresentano soltanto momenti di eccezione rispetto a quella che egli chiama scienza normale, ossia una pratica di ricerca ” stabilmente fondata su uno o più risultati raggiunti dalla scienza del passato, ai quali una particolare comunità  scientifica, per un certo periodo di tempo, riconosce la capacità  di costruire il fondamento della sua prassi ulteriore “. La scienza normale ò, dunque, caratterizzata da un consenso sulla validità  di questi risultati, i quali vengono ad assumere la veste di paradigmi, ossia di modelli che determinano quali sono i problemi e i metodi legittimi e danno, quindi, origine e tradizioni di ricerca scientifica: tali sono, per esempio, l’ astronomia tolemaica o quella copernicana o la meccanica newtoniana. I paradigmi non sono regole rigide, ma devono avere due caratteristiche: devono essere abbastanza nuovi da attrarre un gruppo stabile e sufficientemente ampio di seguaci, distogliendoli da forme di attività  scientifica che contrastino con essi e devono essere abbastanza aperti da consentire di risolvere altri problemi. La scienza normale, che si costituisce su questa base, più che mirare a produrre novità , cerca di risolvere rompicapo (puzzles) entro le procedure riconosciute. Essa ò opera collettiva e cumulativa: estende la conoscenza dei fatti che il paradigma indica come particolarmente rivelatori, confrontando i fatti con la teoria, e procede ad articolare ulteriormente il paradigma mediante esperimenti. Contrariamente a quanto sostiene Popper, gli scienziati, stando a Kuhn, normalmente non si dedicano a controlli severi delle teorie. Questo può cominciare quando sorgono novità  insospettate, che si presentano come anomalie rispetto al paradigma: tale per esempio ò stata la scoperta dell’ ossigeno. Kuhn considera un luogo comune, privo di consistenza storica, l’ idea che una teoria sia invalidata mediante un suo confronto diretto con fatti o osservazioni e che questo conduca al suo abbandono. In realtà , i mutamenti di più vasta portata emergono soltanto con l’ invenzione di nuove teorie, in quanto una teoria che ha raggiunto lo stato di paradigma viene riconosciuta invalida soltanto se esiste un’ alternativa disponibile. Così ò avvenuto, per esempio, per il sistema tolemaico con la nascita di quello copernicano. Solo in questi momenti avviene una crisi e una rivoluzione, ossia la sostituzione di un paradigma con uno nuovo. In tal modo, Kuhn respinge ogni concezione della storia come processo continuo di assorbimento e ampliamento dei risultati precedenti; egli considera, pertanto, la teoria della relatività  di Einstein e il sistema di Newton incompatibili, in quanto paradigmi che ” dicono cose differenti sugli oggetti che popolano l’ universo e sul comportamento di tali oggetti “. Il che significa che il mutamento di paradigmi non riguarda soltanto singoli settori, ma comporta una trasformazione dell’ intera struttura concettuale, con la quale gli scienziati guardano il mondo. Questa transizione non ò istantanea; in analogia con le rivoluzioni politiche, Kuhn mette in rilievo che tra i paradigmi s’ ingaggia una lotta e che la scelta di uno di essi non ò mai risolvibile soltanto facendo ricorso alle argomentazioni logiche e all’ esperimento. Essa comporta, infatti, una decisione su quali problemi sia più importante risolvere e questo implica un riferimento a valori. La vittoria di un paradigma dipenderà , allora, dalla sua forza persuasiva nell’ ottenere il consenso della comunità  scientifica. All’ opera di Kuhn sono state mosse accuse di relativismo e irrazionalismo, in quanto elimina la verità  e la discussione razionale come criteri determinanti nella scelta tra le teorie. Da esse, Kuhn ha tentato di difendersi in vari saggi raccolti in La tensione essenziale (1977). Egli ha continuato a ribadire l’ incommensurabilità  fra le teorie, che guardano il mondo diversamente e usano le stesse parole in modo diverso, ma indicano vari criteri non arbitrari di scelta fra le teorie, quali l’ accuratezza, la coerenza, la semplicità , la fruttuosità . Su questa base, egli ha riconosciuto la legittimità  di parlare di progresso scientifico, ma con l’ avvertenza che, come avviene nella teoria darwiniana dell’ evoluzione, tale progresso deve essere misurato non rispetto a un fine prefissato, ma rispetto a quel che precede: il progresso consiste nell’ allontanamento da stadi più primitivi, meno ricchi e meno complessi, di ricerca. Dopo La struttura delle rivoluzioni scientifiche, che ò stato uno dei libri più recensiti e più discussi nella filosofia del Novecento, Kuhn non solo ha scritto altri libri importanti ma in un dialogo serrato con i maggiori filosofi della scienza, ha approfondito e modificato i suoi iniziali punti di vista. Kuhn, fino dal 1957, pose mano all’ambizioso progetto di introdurre nella filosofia e nella cultura del secondo Novecento una nuova immagine della scienza. Se la storia della scienza, scriveva allora, non fosse più considerata un deposito di aneddoti, potrebbe produrre una trasformazione decisiva nell’immagine della scienza dalla quale siamo dominati. La storia alla quale pensava Kuhn non doveva più ” rispondere a domande formulate in base agli stereotipi antistorici ricavati da manuali scientifici “, doveva richiamarsi allo stile e al tipo di approccio ai problemi presenti in grandi storici come Alexandre Koyrè e Arthur Lovejoy. I concetti scientifici – troviamo scritto ne La rivoluzione copernicana – ” sono idee e come tali sono oggetto della storia del pensiero “. Lo storico, affermava ancora Kuhn, ” deve acquisire un lessico che in alcuni punti differisce sistematicamente da quello corrente al suo tempo “. Come il suo fratello-nemico Paul K. Feyerabend, Thomas Kuhn era una mente libera. A entrambi la storia apparve come ” una realtà  più ricca di contenuto, più varia, multilaterale, viva, astuta di quanto anche il migliore storico e il migliore epistemologo non riescano a immaginare “. Nel caso di Kuhn, ò la storia della scienza ad offrirsi come luogo di confronto delle tesi epistemologiche: la storia doveva essere considerata “come qualcosa di più che un deposito di aneddoti o una cronologia”, si diceva in La struttura delle rivoluzioni scientifiche (1962), non poteva ridursi a serbatoio di esempi che confermassero l’immagine del progredire del sapere per congetture e confutazioni (del resto, proprio Popper ci ha spiegato che chi cerca conferme le trova sempre). La scienza dimentica facilmente il proprio passato, tende ad interpretarlo alla luce del presente, sulla base del “paradigma” del giorno; si finisce così per veicolare l’idea che la scienza proceda in modo lineare e cumulativo, da antichi precursori a futuri eredi. Ma, se proviamo a leggere gli scritti scientifici del passato inseguendone la coerenza interna e nel loro contesto culturale, scopriamo che non sempre gli antichi concetti si riferivano alle stesse realtà  a cui si rivolgono oggi. E’ come se, prima di Copernico o di Einstein, si guardasse il mondo in modo diverso da oggi, si vedesse un’anatra là  dove noi vediamo un coniglio, per riprendere la figura ambigua, resa nota dagli studiosi della Gestalt e ripresa nelle Ricerche filosofiche di Wittgenstein. Proprio questi mutamenti percettivi, questi slittamenti di significato, ci impongono di riconoscere l’esistenza di rivoluzioni scientifiche: la storia delle scienze ò percorsa da fratture, da discontinuità , e la variazione di un paradigma trasforma i fatti stessi presi in considerazione (l’energia e la materia non sono più la stessa cosa dopo Einstein). Non esiste dunque una base comune, un identico mondo osservabile, che possa fungere da terreno di confronto fra le teorie; dall’attenzione filologica alla storia delle scienze emergeva così quella nozione di incommensurabilità  fra teorie o paradigmi, a cui negli stessi anni giungeva Feyerabend. Gran parte della riflessione successiva di Kuhn, fino alla morte nel 1996, cercherà  di chiarire tale nozione, come attestano i saggi raccolti in Dogma contro critica, due dei quali risalgono ai primi anni Sessanta, gli altri agli anni Ottanta e Novanta. Il libro (con prefazione di Paul Hoyningen-Huene, a cura di Stefano Gattei, edito da Cortina) comprende anche due lettere in cui un Feyerabend ancora popperiano commenta le bozze della Struttura delle rivoluzioni scientifiche: ci viene così restituito il dialogo che avrebbe dovuto svolgersi al Bedford Colloquium del 1965 (il convegno da cui avrà  origine il volume ormai classico Critica e crescita della conoscenza Feltrinelli), in cui all’intervento di Kuhn, “Dogma contro critica”, avrebbe dovuto seguire quello di Feyerabend (assente per motivi di salute), dal titolo rovesciato, “Critica contro dogma”. Le obiezioni di Feyerabend scivolano spesso dall’ambito teorico a quello in senso lato politico, anche col ricorso alla nozione marxiana di ideologia; da esse emerge l’immagine di Kuhn come indagatore della “scienza normale” più che di teorico delle rivoluzioni, un’immagine che le opere successive (si veda in particolare il saggio che dà  il titolo alla raccolta La tensione essenziale, Einaudi) finiranno per confermare. Il “necessario preliminare” alla rivoluzione kuhniana ò il dogmatico rispetto delle norme accolte dalla comunità , l’osservanza rigorosa di un paradigma che caratterizza la scienza normale: “lo scienziato produttivo, per essere un innovatore…, deve essere un tradizionalista cui piace giocare complicati giochi secondo regole prestabilite”. La garanzia del successo delle comunità  scientifiche ò la resistenza al nuovo, l’adesione al “pensiero convergente”: la spregiudicata ricerca della verità , il “pensiero divergente”, flessibile e critico, assolve la sua funzione nella fase rivoluzionaria, ma solo l’accettazione di quanto appreso nel corso dell’addestramento professionale consente di scorgere quali anomalie intaccano le teorie dominanti. Le discontinuità  che spezzano la linearità  apparente del cammino delle scienze sorgono solo sullo sfondo di una tradizione di ricerca consolidata; come nel lessico della teoria delle catastrofi di Thom, ò la stabilità  strutturale a preparare il terreno della morfogenesi. Per Kuhn, ò l’abbandono del discorso critico a segnare la transizione alla scienza matura, nella quale si ò formata una ortodossia indiscussa; per Feyerabend, solo disponendo di paradigmi alternativi le anomalie diventano avvertibili. Meglio dunque la proliferazione di teorie che possano reciprocamente criticarsi piuttosto della “normalità ” di un consenso dogmatico; “rivoluzione permanente” ò lo slogan con cui Feyerabend, radicalizzando l’ideale dei controlli critici di Popper, si avviava a far scivolare il criterio liberal della proliferazione di concezioni verso l’anarchismo del “tutto va bene”. La “società  chiusa” degli scienziati normali appare incompatibile con la società  libera (o aperta), che dovrebbe fare della città  della scienza il modello della democrazia; per il Feyerabend popperiano di quegli anni la falsificabilità  o controllabilità  resta comunque il criterio per distinguere fra scienza e follia, fra adesione critica e dogmatismo. I saggi raccolti in Dogma contro critica permettono inoltre di apprezzare un significativo mutamento nella scatola degli attrezzi kuhniani: il lessico della psicologia (gestaltica o piagetiana) e della sociologia cede il passo a quello della linguistica e della critica letteraria (anche per la vicinanza con Noam Chomsky, al Mit di Boston, dove Kuhn insegna dal ’79). Se i paradigmi forniscono i filtri, gli a priori della conoscenza (era proprio Kuhn a proclamarsi “un kantiano con categorie mobili”), l’incommensurabilità  non ò più conseguenza dei modi diversi di percepire il mondo, ma dell’adozione di differenti vocabolari concettuali: diviene una sorta di intraducibilità . Le rivoluzioni mutano la struttura lessicale, e dunque cambiano i sistemi di classificazione, la tassonomia utilizzata dagli scienziati; gli oggetti vengono ridistribuiti secondo categorie differenti, la Terra e la Luna entrano in nuove relazioni di somiglianza dopo Copernico, la caduta dei gravi entra in nuovi insiemi di fenomeni dopo Galileo. Pur non esistendo una possibilità  completa di traduzione, la comunicazione fra paradigmi resta garantita da una condizione analoga al bilinguismo: “lo storico diventa bilingue”, consapevole che per alcuni termini non si dà  traduzione ottimale, che bisogna ricorrere a perifrasi, ad imperfette corrispondenze. Dalla storia delle scienze Kuhn entra così in un labirinto teorico su cui la filosofia, in particolare di tradizione analitica, si ò a lungo soffermata negli ultimi decenni, basti pensare a Putnam e a Quine. Lo storico delle scienze ò un narratore che deve dare inizio al suo racconto preparando la scena, cioò descrivendo le convinzioni e specificando il vocabolario degli attori del passato; “come gli altri insegnanti di lingue”, lo storico deve affrontare problemi di traduzione, nella consapevolezza che nelle scienze, come in letteratura, le difficoltà  di traduzione hanno la stessa causa, cioò l’incapacità  del linguaggi di conservare le relazioni strutturali fra le parole. Cambiando lingua, mutano anche le relazioni fra le cose. Era Kuhn stesso a proclamarsi sostenitore di un “kantismo postdarwiniano”. Popper utilizzava la metaforica darwiniana della competizione e della selezione per spiegare l’evoluzione delle teorie scientifiche. Il Kuhn degli anni ottanta appare contemporaneo della teoria degli equilibri punteggiati: sviluppo scientifico ed evoluzione biologica condividono lo stesso modello, uno schema di ramificazione ad albero, dove l’aspetto rilevante non ò il processo di mutazione, ma quello di speciazione. Gli episodi rivoluzionari sono spesso associati ad un incremento delle specializzazioni nella scienza; i fatti sono interpretati secondo una grana via via più fine, grazie ad una struttura lessicale più minuziosa, ma il rischio ò di rinchiudersi in nicchie sempre più isolate. Il progresso nella scienza ò sempre accompagnato da una perdita, da un restringimento di settori e competenze, che limita la comunicazione; ma tale progresso non ò un cammino verso la verità , un crescente approssimarsi alla corrispondenza con la realtà . Possiamo dire soltanto a partire da che cosa procediamo; la kantiana cosa in sè resta inconoscibile. Le rivoluzioni scientifiche In La struttura delle rivoluzioni scientifiche Kuhn scrive: La transizione da un paradigma in crisi ad uno nuovo, dal quale possa emergere una nuova tradizione di scienza normale, ò tutt’altro che un processo cumulativo, che si attui attraverso un’articolazione o un’estensione del vecchio paradigma. […]Questi esempi ci guidano verso il terzo e più fondamentale aspetto dell’incommensurabilità  tra paradigmi in competizione. In una maniera che sono incapace di spiegare ulteriormente, i sostenitori di paradigmi opposti praticano i loro affari in mondi differenti. […] I due gruppi di scienziati vedono cose differenti quando guardano dallo stesso punto nella stessa direzione. Ciò però, vale la pena ripeterlo, non significa che essi possano vedere qualunque cosa piaccia loro. Entrambi guardano il mondo, e ciò che guardano non cambia. Ma in alcune aree essi vedono cose differenti, e le vedono in differenti relazioni tra loro. [… ]. Per la stessa ragione, prima che possano sperare di comunicare completamente, uno dei due gruppi deve far l’esperienza di quella conversione che abbiamo chiamato spostamento di paradigma. Proprio perchè ò un passaggio tra incommensurabili, il passaggio da un paradigma ad uno opposto non può essere realizzato con un passo alla volta, nè imposto dalla logica o da un’esperienza neutrale. Come il riordinamento gestaltico, esso deve compiersi tutto in una volta (sebbene non necessariamente in un istante), oppure non si compirà  affatto. […] Il trasferimento della fiducia da un paradigma a un altro ò un’esperienza di conversione che non può essere imposta con la forza. La scienza normale e il paradigma In La struttura delle rivoluzioni scientifiche Kuhn scrive: In questo saggio, ‘scienza normale’ significa una ricerca stabilmente fondata su uno o più risultati raggiunti dalla scienza del passato, ai quali una particolare comunità  scientifica, per un certo periodo di tempo, riconosce la capacità  di costituire il fondamento della sua prassi ulteriore. […] La Fisica di Aristotele, l’Almagesto di Tolomeo, i Principia e l’Ottica di Newton, l’Elettricità  di Franklin, la Chimica di Lavoisier e la Geologia di Lyell e molte altre opere servirono per un certo periodo di tempo a definire implicitamente i problemi e i metodi legittimi in un determinato campo di ricerca per numerose generazioni di scienziati. […] D’ora in avanti, per indicare i risultati che hanno in comune queste due caratteristiche, userò il termine ‘paradigmi’, che ha una precisa relazione col termine ‘scienza normale’. […] Coloro la cui ricerca si basa sui paradigmi condivisi dalla comunità  scientifica si impegnano ad osservare le stesse regole e gli stessi modelli nella loro attività  scientifica. La crisi e l’emergere di nuove teorie In La struttura delle rivoluzioni scientifiche Kuhn scrive: Si consideri innanzitutto un caso particolarmente famoso di mutamento di paradigma: la nascita dell’astronomia copernicana. Quando la teoria precedente, il sistema tolemaico, fu sviluppata per la prima volta nel corso degli ultimi due secoli prima di Cristo e dei primi due dopo Cristo, esso riusciva meravigliosamente a prevedere le mutevoli posizioni sia delle stelle che dei pianeti.. [… ] Fin dall’inizio del XVI secolo, i migliori astronomi d’Europa in numero sempre crescente riconoscevano che il paradigma dell’astronomia non era riuscito a risolvere i suoi problemi tradizionali. Questo riconoscimento preparò il terreno sul quale fu possibile a Copernico abbandonare il paradigma tolemaico ed elaborarne uno nuovo. La sua famosa prefazione costituisce ancor oggi una descrizione classica di uno stato di crisi. [… ] In una scienza matura [… ] dei fattori esterni come quelli citati sopra sono importanti soprattutto nel determinare il momento in cui scoppierà  la crisi, la facilità  con cui essa può venire riconosciuta e l’area in cui si manifesterà  per la prima volta l’insuccesso, data la particolare attenzione che essa riceve.

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