L’Università di Torino torna al centro del dibattito nazionale con una decisione destinata a far discutere: il dipartimento di Cultura, Politica e Società ha approvato il boicottaggio accademico nei confronti di Israele, sospendendo gli scambi con l’Università Ben Gurion di Be’er Sheva.
La decisione segue le polemiche già scatenate lo scorso anno, quando l’ateneo torinese aveva scelto di non partecipare al bando Maeci della Farnesina, sollevando accuse di antisemitismo. Il provvedimento, che prevede lo stop ai progetti di mobilità per studenti e docenti, si inserisce in un contesto più ampio di tensioni e manifestazioni che hanno caratterizzato gli ultimi mesi della vita universitaria torinese, trasformando l’ateneo in un punto di riferimento per il movimento Pro Palestina a livello nazionale.
Decisione del dipartimento CPS
Il consiglio del dipartimento di Cultura, Politica e Società (CPS) ha approvato la mozione con una significativa maggioranza di 54 voti favorevoli su circa 70 presenti. La votazione, svoltasi nell’aula magna del campus Einaudi, ha accolto la proposta avanzata dal collettivo Studenti Indipendenti per sospendere la collaborazione con l’Università Ben Gurion di Be’er Sheva. Tra le motivazioni principali della decisione emerge il controverso legame dell’istituto israeliano con le principali aziende produttrici di armi del paese.
La direttrice del dipartimento, Anna Caffarena, ha contestualizzato la decisione spiegando che questa segue una precedente delibera di giugno, dove il consiglio si era già espresso favorevolmente al boicottaggio degli istituti israeliani. La rescissione riguarda specificamente la parte dell’accordo relativa ai corsi del dipartimento, con particolare riferimento ai progetti di mobilità per studenti e docenti. Caffarena ha sottolineato l’importanza del rispetto del diritto internazionale e della tutela dei diritti umani, pur ammettendo l’esistenza di opinioni divergenti sulle modalità d’azione da intraprendere.
Impatti e reazioni
L’Università di Torino è diventata il fulcro del movimento Pro Palestina a livello nazionale, con manifestazioni significative come l’occupazione di Palazzo Nuovo e del dipartimento di Fisica. La decisione del dipartimento CPS si inserisce in un contesto di crescente attivismo che ha coinvolto numerosi atenei italiani, dove il dibattito su guerra, etica della ricerca e rapporti con Israele ha assunto un ruolo centrale.
Dal Rettorato arriva una presa di posizione chiara: la decisione riguarda esclusivamente un dipartimento, mentre l’accordo quadro dell’ateneo rimane valido. La questione potrebbe essere affrontata dal prossimo rettore, la cui elezione è prevista in primavera. I candidati, al momento, mantengono un profilo riservato sulla questione. Particolarmente significativa la posizione dell’ex vicerettrice Cristina Prandi, che dopo aver inizialmente contestato con forza lo stop al bando Maeci attraverso una lettera pubblica, ha successivamente rivalutato la propria posizione, definendola un errore, proprio in concomitanza con l’annuncio della sua candidatura alla carica di rettore.
Foto copertina via corriere.it